La Libia è un paese sempre più sull’orlo del collasso, ormai in mano alle milizie tribali che controllano in modo autonomo le proprie città, mentre per le strade gli omicidi mirati, i regolamenti di conti e i rapimenti sono all’ordine del giorno.

La svolta positiva avvenuta la settimana scorsa, quando il governo era riuscito a siglare un’intesa con gli indipendentisti della Cirenaica per la riapertura dei terminal di petrolio fermi da otto mesi, non ha fatto invece che affossare il governo e le istituzioni libiche. Per il timore che il premier incaricato, Abdullah al Thani, potesse avere successo una milizia vicina ai Fratelli musulmani ha assaltato la sua abitazione, mentre il parlamento, dove gli islamici hanno la maggioranza, ha finito per mettergli i bastoni tra le ruote costringendolo alle dimissioni. E mentre la Libia si trova senza un governo, con un premier dimissionario, un primo ministro precedente, Ali Zidan, fuggito in Germania dopo la sfiducia del parlamento e un’indagine per corruzione sulla sua testa, anche l’unica figura politica rimasta in carica di alto livello, il presidente del parlamento, Nuri Abu Sahimin, che è anche capo dello stato, ha deciso di lasciare il paese per qualche settimana per sottoporsi a cure mediche all’estero.

In questo clima non possono che farla da padrone nel paese i terroristi e le milizie tribali. Forse per questo, proprio in questa fase, il terrorista algerino Mokhtar Belmokhtar, ex leader di al Qaeda nel Sahara ora a capo di una nuova formazione jihadista denominata Murabitun, ha deciso di rifugiarsi in Libia. Secondo quanto riferiscono fonti jihadiste algerine, citate dal quotidiano libico “Quryna”, il terrorista noto col nome di battaglia de “il Guercio”, ideatore dell’attentato alla raffineria di In Amenas (in Algeria), avrebbe lasciato le sue basi in Mali per recarsi in Libia. L’esercito ciadiano ne ha annunciato l’uccisione nel marzo del 2013, ma fonti dell’Onu in Mali fanno sapere che nel paese africano sono tutti convinti che Belmokhtar sia ancora vivo. Analoghe informazioni giungono da fonti vicine alla missione Onu presente in Niger. La presenza del terrorista islamico algerino in Libia “rappresenta un pericolo per la pace e la stabilità di tutta l’Africa”, ha spiegato il presidente maliano, Boubaker Keita, citato dall’agenzia di stampa libica “Lana”. Commentando la notizia dell’arrivo del terrorista Belmokhtar, che dal Mali si è spostato in Libia, il presidente maliano ha affermato che “se la notizia è vera rappresenta una grave minaccia. Si tratta di un personaggio noto per la sua pericolosità. Sono dispiaciuto per il fatto che non sia stato ucciso nel mio paese come annunciato in passato e che sia riuscito ad andare in Libia. Non ci sarà pace in tutta la regione del Sahara fino a quando ci sarà lui”. L’arrivo del terrorista algerino nel paese coincide con una partenza importante ed avviene in un momento di debolezza senza precedenti delle istituzioni libiche.

Insieme al pericolo jihadista c’è anche quello delle milizie tribali, che stanno portando all’emersione di un nuovo preoccupante fenomeno: quello dei sequestri di persona. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il sequestro avvenuto il 15 aprile a Tripoli quando un gruppo di miliziani ha rapito l’ambasciatore giordano in Libia, Fawaz al Aitan. I miliziani nell’attacco avvenuto nel quartiere di al Mansour della capitale, hanno ferito il suo autista. Si tratta del primo diplomatico straniero rapito, si ritiene per fare pressioni sul governo di Amman e rilasciare u jihadista libico in carcere in Giordania per terrorismo sul cui capo pende una condanna a morte. Due giorni dopo però un diplomatico tunisino è stato rapito a Tripoli. La persona sequestrata è un consigliere dell’ambasciatore. Il diplomatico è scomparso in serata, confermando che i diplomatici e i loro collaboratori sono entrati nel mirino delle milizie libiche. Il 21 marzo scorso, infatti, un altro diplomatico tunisino, Mohammed bin Sheikh, era stato rapito nella capitale libica da un gruppo di uomini armati non identificati, mentre il 16 aprile una impiegata dell’ambasciata degli Stati Uniti a Tripoli è sfuggita ad un tentativo di sequestro di persona. La donna è stata effettivamente rapita di notte, al termine del suo turno di lavoro in ambasciata, ma dopo poco è riuscita a scappare ed è stata ritrovata sulla via verso l’ospedale della città. Secondo quanto riferiscono alcuni siti internet libici la donna sarebbe rimasta ferita ad una gamba durante la fuga.

Si è conclusa a lito fine anche la vicenda di una ragazzina di 15 anni della zona di al Zawiya, nell’est della Libia. Secondo quanto riferisce il sito libico “al Wasat”, si tratta della figlia di un importante personaggio della zona, del clan degli al Fituri. La vittima del sequestro, Ritag Milad al Fituri, è stata portata in un luogo sconosciuto dai rapitori che l’hanno rilasciata dopo due giorni. Subito dopo il rapimento gli abitanti della zona hanno attuato una serie di blocchi stradali e proteste per la mancanza di sicurezza nella zona, essendo questo l’ultimo di una serie di sequestri di persona che si registrano nella regione. Anche tra i dipendenti della Banca centrale libica si sta diffondendo il timore di nuovi sequestri. Secondo quanto riferisce l’emittente televisiva “al Jazeera”, gli impiegati si sentono in grave pericolo dato che solo due settimane fa il direttore del servizio Informazione della Banca, Isam al Aul, è stato rapito da miliziani armati a volto coperto. L’uomo è stato poi rilasciato ma ha raccontato di essere stato picchiato e i rapitori gli hanno chiesto di riconoscere di essere un corrotto. Altri dipendenti sono stati sequestrati al solo scopo di carpire informazioni utili per accusare altri dirigenti di corruzione. 

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