In questi giorni l’Europa è tornata prepotentemente al centro della scena mondiale. Ancora una volta, come ciclicamente accade, viene messa in discussione la tenuta dell’Unione.

Un gruppo di paesi che ha deciso di condividere un percorso comune per “diventare grande” e per competere con le altre grandi potenze continentali come Stati Uniti e Cina, ma che soffre di problemi strutturali tuttora irrisolti.
Alla base del castello c’è senza dubbio l’unione economica, di cui l’Euro rappresenta la massima espressione. Quando questa si trova in bilico, quando prevale l’incertezza sul futuro, quando la differenza tra la ricchezza degli Stati Membri appare improvvisamente evidente, ecco che viene meno quell’unità politica di cui si avrebbe un disperato bisogno in momenti come questi.
Mentre gli occhi di tutti sono inevitabilmente puntati sulla questione delle nostre finanze pubbliche, sugli attacchi speculativi verso i debiti sovrani e sulle conseguenti manovre correttive del deficit, a Bruxelles sta iniziando il negoziato sul prossimo Quadro Finanziario Pluriennale, passando pressochè inosservato.
Il QFP, in sostanza, rappresenta il bilancio dell’Unione europea, lo strumento attraverso cui si decide come saranno utilizzati i soldi disponibili: per l’attuale settennato, che va dal 2007 al 2013, l’ammontare totale dei fondi è pari a circa 990 milardi di euro, ovvero circa l’1,11% del PIL complessivo comunitario.
Lo scorso 29 giungo la Commissione ha presentato la propria proposta per gli anni 2014-2020, ora al vaglio dei governi nazionali che saranno chiamati ad esprimere le proprie posizioni. Conoscere la struttura del bilancio aiuta a comprendere le difficoltà della “convivenza” europea, essendo il frutto dalla composizione di interessi particolari diversi, molto spesso in contrasto tra loro.
Prima ancora di decidere come spendere, i paesi devono accordarsi su come finanziare il bilancio, ovvero sulle modalità di reperimento delle risorse. Il meccanismo di finanziamento attuale è basato principalmente sui singoli PIL nazionali, per cui ogni paese contribuisce in funzione della ricchezza relativa, mentre una parte più piccola viene reperita attraverso una percentuale applicata all’IVA.
Alcuni paesi, tra cui l’Italia, presentano un “saldo netto” negativo, ovvero versano più soldi di quanti ne ricevano grazie alle politiche comunitarie. La questione suscita un certo malcontento, in quanto per i governi nazionali, specialmente in un periodo recessivo come quello attuale, non è politicamente conveniente continuare a devolvere soldi all’Europa.
Per quanto riguarda le spese, il QFP è articolato in cinque “rubriche”, che riguardano la crescita, le risorse naturali, gli affari interni, l’azione esterna e l’amministrazione della struttura comunitaria.

Quadro Finanziario Pluriennale 2007 – 2013, totale 990 milardi di euro

Fonte: dati Commissione europea 2011, elaborazione propria

grafico
Osservando la ripartizione dei fondi espressa dal grafico, appare evidente la preponderanza delle prime due rubriche, che insieme pesano per l’87% sul totale, con un ammontare di circa 860 miliardi.
La rubrica “Crescita sostenibile” è composta principalmente dalla Politica di Coesione, ossia l’insieme dei fondi strutturali destinati principalmente alle regioni più povere in termini di reddito medio procapite, finalizzati a favorire la convergenza rispetto alla media UE: in Italia usufruiscono di questi fondi Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, per un totale di circa 22 miliardi.
La quota rimanente riguarda i finanziamenti per la ricerca, la mobilità interna, le energie rinnovabili ed altre politiche volte promuovore la crescita.
La rubrica 2 contiene l’altra grande voce di spesa comunitaria, la Politica Agricola Comune, il cui scopo è quello di difendere il settore agricolo dalla volatilità del mercato, principalmente attraverso il sostegno al reddito degli agricoltori ed allo sviluppo tecnologico.
Le altre politiche hanno un budget molto più limitato, nonostante alcune di esse ricoprano un ruolo primario per l’Europa, come la rubrica 4. In questo capitolo sono inclusi i fondi per la Politica di Vicinato, sia orientale che meridionale, particolarmente importanti in questo periodo di forte instabilità politica in tutta l’area del Mediterraneo.
Alcuni Stati Membri, alla luce delle difficoltà economiche che affliggono i conti pubblici nazionali, hanno chiesto una sostanziale riduzione del bilancio.
Si tratta in particolare dei contributori netti, in primis il Regno Unito, che ritengono questo strumento poco efficace, in quanto i fondi vengono spesso male utilizzati, specialmente quelli per la Coesione e per l’agricoltura. Nella sua proposta, tuttavia, la Commissione non ha dato ascolto a tale critica, suggerendo anzi un leggero aumento del totale ed il mantenimento della struttura attuale. La vera novità, dunque, dovrebbe risiedere nel meccanismo di finanziamento. Per alleviare il peso sul PIL dei singoli paesi, la Commissione propone infatti l’introduzione di due nuove risorse proprie: una tassa sulle transazioni finanziarie ed un aumento della percentuale sull’IVA, da implementare nel 2018 e che permetta di finanziare il 40% del bilancio.
Al di là delle singole misure, si prevede un negoziato lungo e complesso, poiché ognuno è chiuso a difesa delle posizioni acquisite. Inoltre, tali posizioni non sono omogenee nemmeno tra i paesi ricchi, poiché alcuni, come Francia ed Italia, beneficiano tuttora di somme cospicue dalle politiche strutturali, che il Regno Unito ed i paesi nordici vorrebbero tagliare.
Al momento, comunque, siamo ancora ad una fase embrionale del dibattito e le reazioni sono piuttosto blande. Molto, ovviamente, dipenderà dagli sviluppi sul fronte della sostenibilità dei conti pubblici e degli eventuali ulteriori salvataggi dei paesi periferici.
Non c’è dubbio, tuttavia, che il negoziato sul QFP rappresenta un banco di prova fondamentale per la tenuta dell’Europa nel futuro prossimo.
I governi saranno chiamati ad agire in modo responsabile, cercando di resistere alla tentazione di scaricare le difficoltà interne sull’Europa e la sua struttura, in un momento in cui la fiducia dei cittadini verso le istituzioni comunitarie è già ai minimi storici.

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