Scritto da: Amin Dabwan..
Risuona l’eco di un’assenza dolorosa, l’assenza di una penna che è stata una lampada nell’oscurità degli eventi e di una voce audace che risuonava di verità. È l’assenza di Mohammed Dabwan Al-Mayah, il giornalista e scrittore che manca alla nazione. Al-Mayah era un vero e proprio fulcro del giornalismo yemenita, un occhio attento che monitorava i dettagli della complessa scena e una lingua eloquente che parlava del dolore e delle speranze della gente.
In un’epoca in cui la libertà di parola è un’accusa e esprimere un’opinione onesta è un reato, la penna di Al-Mayahy non è stata risparmiata dal potere dell’oscurità. Nel settembre dell’anno scorso, la mano del tradimento lo ha raggiunto dal centro della sua casa a Sana’a e lo ha strappato ai suoi cari, lasciandosi alle spalle un vuoto terrificante: due bambini piccoli che invocavano l’assenza del padre e una moglie che attendeva il ritorno del suo capofamiglia e compagno.
Il rapimento e l’incarcerazione di Al-Mayahy, in seguito alla pubblicazione di un articolo audace che criticava le pratiche degli Houthi, sono la prova conclusiva che la repressione è il linguaggio di chi non ha argomenti. È anche una tragica incarnazione della dura realtà affrontata dai giornalisti e dagli intellettuali in Yemen, che si trovano intrappolati tra l’incudine del silenzio forzato e il martello della detenzione arbitraria.
La tragedia della scomparsa di Al-Mayahy trascende la professione giornalistica e tocca il profondo dell’umanità. Non è solo uno scrittore scomparso dietro le mura di una prigione, ma un padre premuroso privato dell’abbraccio dei suoi due figli e il capofamiglia della sua famiglia, che ora affronta da sola la durezza della vita. La storia del suo rapimento è una storia di profondo dolore umano, che si aggiunge alla lunga lista di sofferenze del popolo yemenita sotto il minaccioso colpo di stato.
Cresce la preoccupazione per la vita del giornalista Mohammed Dabwan al-Mayah, che langue dietro le sbarre in condizioni difficili che terrorizzano i suoi cari e i suoi colleghi. I resoconti provenienti dall’interno del centro di detenzione dipingono un quadro fosco. Al-Mayah è tenuto in isolamento, aggravando così il suo isolamento e la sua solitudine, e gli vengono negati i più elementari diritti umani. Queste condizioni disumane sollevano serie preoccupazioni per il suo benessere fisico e psicologico e rappresentano una minaccia reale alla sua vita.
I crimini commessi dalle milizie Houthi contro i rapiti e i giornalisti rappresentano un capitolo orribile nella storia delle violazioni dei diritti umani nello Yemen. In particolare, i giornalisti sono oggetto di una feroce campagna repressiva: vengono rapiti e torturati semplicemente per aver svolto il loro dovere di trasmettere la verità. La libertà di espressione è diventata un crimine punibile con le pene più severe e la voce della verità è minacciata dal silenzio.
Il silenzio della penna di Mohammed Dabwan Al-Mayahy risuona nei cuori di tutti coloro che credono nella libertà di parola e nella sacralità dell’opinione. È un’eco del dolore di una patria sanguinante e un grido di protesta contro l’ingiustizia e l’oppressione. La sua assenza è un promemoria costante del fatto che la battaglia per la libertà di espressione nello Yemen è ben lungi dall’essere finita e che ogni coscienza vivente al mondo ha la responsabilità di essere solidale con lui e con tutte le penne libere che cercano di illuminare il cammino della verità di fronte all’oscurità.