Di occhi, si sa, ne abbiamo due. E vanno più che bene per la nostra visione binoculare e stereoscopica. Ma, in ambito esoterico, si parla di un “terzo occhio”. Un occhio che sarebbe situato in mezzo alla fronte, tra le sopracciglia, in corrispondenza di un piccolo avvallamento dell’osso frontale, percepibile ad una leggera pressione con il dito; un occhio che non si vede, ma che serve a vedere.

Si tratta dell’occhio che permette la “visione interiore”. Il discorso si ricollega alla “teoria” dei chakra. Il termine sanscrito chakra, tradotto letteralmente, significa ruota, disco. Ora, secondo la dottrina dello yoga, lungo il nostro corpo (principalmente lungo la colonna vertebrale) si trovano alcuni chakra, da intendere come centri vibratori che, stimolati dall’energia di base, dalla potenza vitale (kundalini), vengono “risvegliati” e producono vari effetti. E tra le sopracciglia (in corrispondenza del plesso cavernoso), si trova l’ajna chakra, disegnato come un loto bianco a due petali, in cui è inscritto un triangolo bianco con la punta rivolta verso il basso (simbolo dell’organo femminile); al centro del triangolo è raffigurato un lingam (organo maschile) pure bianco. Questo chakra è la sede della facoltà conoscitiva.

Ma di che quale conoscenza di tratta? Di una conoscenza “sottile”. Così, ad un livello più “basso”, abbiamo le percezioni paranormali, extrasensoriali, la telepatia, la chiaroveggenza, la previsione del futuro. Ad un livello più “alto”, invece, si ha la visione delle realtà superiori, spirituali. Visione, abbiamo detto. Non a caso il testo fondamentale dell’induismo si chiama Veda, termine che vuol dire sì rivelazione ma anche “le cose viste”. I compilatori dei Veda sono i rishi (veggenti), che riportano quanto hanno visto; naturalmente con l’ajna chakra, col terzo occhio.

Si è molto favoleggiato, negli anni ’50 del secolo scorso, sul terzo occhio; ciò sulla scia di un libro scritto da un finto tibetano, Lobsang Rampa (in realtà di trattava dell’inglese Cyril Henry Hoskin). Il libro, intitolato appunto Il terzo occhio, narra le esperienze avventurose dell’autore che, nel misterioso Tibet, avrebbe ottenuto l’apertura del terzo occhio attraverso… un’operazione chirurgica all’osso frontale. Al di là di queste fantasie (anche pericolose), resta il fatto che ciascuno di noi può sviluppare il terzo occhio ed acuire la propria sensibilità. Come? Con esercizi di meditazione e concentrazione ed uno di stile rigoroso di vita, ai limiti dell’ascetismo. Coloro che praticano lo yoga, seduti a gambe incrociate, ad occhi chiusi, possono concentrarsi sull’occhio interiore, pronunciando la ben nota sillaba sacra OM (o AUM).

C’è anche chi suggerisce di meditare su un cristallo, elemento minerale che rappresenta la capacità d vedere dentro e fuori le cose, come se il passato, il presente e il futuro fossero un insieme limpido e trasparente, appunto cristallino…In altre culture si parla, invece che di terzo occhio, ma con lo stesso significato, di un “occhio dell’anima”, capace di una visione globale e sintetica (ne parlano Platone e Clemente Alessandrino), ma anche si usa l’espressione “occhio del cuore”, come fanno Plotino, Sant’Agostino e San Paolo nonché i mistici musulmani, alludendo alla sede dell’Intelletto Assoluto. Lo stesso vale per i pellerossa Sioux: l’occhio del cuore è quello dell’uomo che vede Dio.

I due occhi fisici, nella tradizione indiana, corrispondono al Sole (il destro) e alla Luna (il sinistro), mentre il terzo occhio si lega al fuoco: è l’occhio frontale di Shiva, il dio indiano distruttore, il cui sguardo riduce tutto in cenere. Anche il terzo occhio del Buddha (il risvegliato), del resto, viene definito “perla fiammeggiante”. Ciò significa che colui che sa, è ben cosciente della illusorietà, della impermanenza, della caducità del mondo materiale.

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