Quello che avevo già iniziato a scrivere viene posposto di alcune righe. Sono le ore 9,01 di Martedì 29 maggio 2012, nel mio studio di Milano mi accingo a scrivere il mio articolo per GOLEM, quando sento in modo netto e distinto la scossa ondulatoria del terremoto che ha il suo epicentro nella zona di Mantova; dura quasi un minuto, ballano le pareti e i mobili, oscillano vistosamente lampadari e soprammobili, antifurti suonano.

Non posso scrivere d’altro ora. Posso solo dire che sono testimone diretto e in diretta di che cosa significa e quali sensazioni si provano quando si sente un terremoto mentre si è intenti a scrivere, o, naturalmente, leggere, guardare in TV qualcosa che nulla ha a che vedere con l’evento in atto.

Non si può fare attenzione ad altro, non si può scrivere se non del terremoto, mantenere la calma, ma intanto nel tuo “io” è già accaduto tutto ciò che doveva accadere; si girano i canali per captare il servizio speciale che presto apparirà, il libro o il giornale che si sta leggendo vengono accantonati immediatamente. E’ l’istinto di sopravvivenza che prorompe scavalcando ogni riflessione, riportando la mente ai primordi, quando nessuna attenzione meditata, nessun cauto ragionamento valeva una infinitesimale frazione del trasporto diretto e immediato verso la salvezza, il riparo dal male imponderabile.

E’ probabilmente lo stesso impulso naturale che spingeva Camilla, il nostro husky, fin dalle prime ore di questa mattina a rifugiarsi sotto il letto, o dietro un divano (abbiamo successivamente saputo che fin dalla notte si susseguivano impercettibili scosse preparatorie); ed il tempo stesso della propria vita, il tempo storico delle nostre reminiscenze scolastiche non vale una frazione di quei lunghi secondi della scossa.
Ma che cosa è già accaduto dentro di te?

Quando finalmente hai contezza del tuo essere, in relazione a che cosa c’è da fare, a chi c’è da pensare, ma anche qui il tempo sembra dilatarsi in modo indefinito ed invece, in sostanza, non stiamo parlando d’altro che di una sommatoria di frazioni di secondo, hai un susseguirsi fitto ed intenso di sensazioni, o impulsi cerebrali: 1) il luogo in cui ti trovi può certo crollare in un istante; 2) non puoi fare nulla né per evitarlo, né per sfuggire; 3) forse non accadrà; 4) dove sono gli altri? 5) telefonare… tutti bene; 6) dove sarà stato l’epicentro, quali danni umani e materiali avrà cagionato? 7) scendere in strada… forse sì… ma ormai quasi non si sente più; 8) sirene varie da lontano; 9) potrà esserci un’altra scossa, ma in genere non accade in un intervallo di tempo così ravvicinato.

Ecco che si attenua l’escalation, non è stato neanche raggiunto il punto critico (qui, in questo caso) e già si torna indietro, qualcuno, magari, è sceso per strada, c’è chi si rifugia sotto l’architrave della porta d’ingresso, ma bisogna avere il tempo e la testa per questo, ma in fin dei conti non si farà nulla.
Vai su facebook per sapere semmai qualcosa di prima mano, per scrivere qualcosa che informi altri, vedi che già molti hanno scritto. Poi da TV o radio arriveranno altri dettagli. Bilancio pesante, luttuoso, morti, molti feriti, si cercano dispersi, edifici crollati.
Possiamo fermarci qui, ma anche qui, che voglia c’è più di riprendere a scrivere da dove si era lasciato?

Ora il ragionamento si fa più pacato, più disteso, ma un certo “terremoto” interno c’è stato e quindi ruotiamo ancora intorno allo stesso argomento.
Trovo degli spunti di aggancio con quello che stavo scrivendo.

Se non fossi stato interrotto dal terremoto, avrei scritto una sorta di seguito all’articolo della scorsa settimana, dove in chiave più o meno provocatoria, invitavo i nostri governanti ad andare a chiedere lumi ai governanti di altri Paesi, come Francia, Germania, Inghilterra, più o meno appartenenti al nostro stesso sistema politico e sociale e alla nostra stessa area storica e geografica, nonché demografica, ma più moderni e democraticamente avanzati, circa una migliore conduzione dello Stato, della vita civile, economica, culturale ecc., e le iniziative, le strade da percorrere per un maggiore sviluppo, in tutti i sensi; in questo articolo avrei completato, in un certo senso, il discorso, mettendo in luce (come dal titolo, a questo punto, improprio, si evince) le AFFINITA’, ma soprattutto le DIFFERENZE del nostro Paese rispetto agli altri, che costituiscono, certo, peculiarità di cui tener conto, magari molte volte migliorative per noi, nei loro confronti, ma costituenti spesso anche cause di arretratezze, incomprensioni, difficoltà varie. E quindi… che cosa fare in proposito?

A questo punto, sarà per la prossima volta, ma anche qui, come dicevo, il terremoto ci fa balzare all’evidenza qualcosa di attinente con quanto appena detto. Lascio immutato il titolo come un vulnus, una maceria, un capannone crollato del terremoto.

Sono trascorse alcune ore; c’è stata, nel frattempo un’altra scossa, quasi di pari intensità, ma ormai… come a tutte le cose, ci si abitua.
Posso ora, a mente fredda ragionare, collocare questo fatto episodico in un contesto generale e ordinario.
E’ un’emergenza, noi viviamo in un’eterna emergenza rispetto agli altri: le bombe, gli attentati, gli incendi, le inondazioni e nubifragi, terremoti vari, processi biblici, casi giudiziari irrisolti, persone scomparse, la criminalità organizzata, la “monnezza”, la nave che affonda, si susseguono e si accavallano senza tregua, come in Italia mai da nessun’altra parte, mentre la protezione civile insegue l’emergenza, né, nelle attuali condizioni, può fare altro, probabilmente; forse è stato Dante a darci l’imprimatur… se solo avesse cambiato quel famoso verso!

Ora c’è da chiedersi: non si poteva proprio evitare che un somaro fosse messo a comandare una nave da crociera, magari grazie ad una raccomandazioncella? O forse chi l’ha selezionato era un incapace raccomandato; non c’è altra spiegazione. E il somaro stesso non avrebbe potuto astenersi, in ultima analisi, da fare l’”inchino” che non sapeva fare? Non si potevano proprio costruire, di recente, dei capannoni più solidi, visto che i vecchi resistono e i nuovi crollano? Sarebbe stata inaccettabile un’ordinanza di divieto di accedere per andare a lavorare, dopo la prima violenta scossa tellurica, quella di una settimana fa, nei capannoni non in regola con la normativa antisismica? E’ proprio inevitabile che, durante un’alluvione vengano lasciati i bambini intrappolati nelle scuole, e poi di un tale scelta ci si faccia anche un vanto? Non si può proprio riprendere dalle scuole di polizia, ad insegnare ai detective l’A, B, C delle indagini, e dalle scuole dell’amministrazione della Giustizia, ad insegnare ai Giudici l’A, B, C, del Diritto? E più in generale riformare le procedure di inchieste e processi, creare soprattutto una mentalità per cui, quando appare il solito “Porta a Porta” col modellino, la Matone e il Crepet, tutti, e dico tutti, cambiano canale? E’ davvero impossibile potenziare la portata culturale della Politica (i Paesi Anglofoni sono maestri indiscussi in questo) di modo che non possano sedere in Parlamento persone che, quando aprono bocca, non sanno di che cosa stanno parlando? Non sanno che cosa è il PIL, che cosa è lo SPREAD, a quanto ammonta il debito pubblico, e così via?

Ma prendiamo occasionalmente spunto proprio dal terremoto, che può avere un valore emblematico rispetto anche agli altri catastrofici eventi che ricorrentemente ci riguardano.
Si dice comunemente che un terremoto non è “prevedibile”, ma è “prevenibile”. Altre sciagure sono, invece, prevedibili e prevenibili, come incendi, inondazioni ecc.
Restiamo allora al comune denominatore della PREVENIBILITA’.

E’ davvero da fantascienza che si suddivida a scacchiera l’intero territorio nazionale e si faccia un completo monitoraggio per mettere in sicurezza i palazzi, gli argini, le dighe, le fabbriche, le coste? Mettere sotto tutela i monumenti e i palazzi più antichi, le chiese, i campanili? Adottare criteri antisismici nelle nuove costruzioni in tutto il territorio nazionale (se c’è la bolla immobiliare significa che non occorrono poi, tanti edifici, che però siano idonei a restare in piedi nelle calamità)? Che si crei un’educazione alla sicurezza, sui posti di lavoro, nelle scuole? Si facciano dei piani di intervento e di evacuazione e delle esercitazioni in proposito? Che si abituino i cittadini a trovare subito, nell’immediatezza e nella necessità, da soli le prime soluzioni, fare prove, sgombrare, ecc.? Per i giovanissimi sarebbe educativo e divertente addirittura, quasi un gioco, ma fatto bene, sul serio. Non c’è nulla di più serio di un gioco fatto bene.

Leggiamo, vediamo nei film che in Paesi non sciroccati come il nostro, si assegnano dei ruoli per i casi di emergenza, oltre che nei posti di lavoro e di studio, addirittura nei quartieri, negli isolati; si divulgano criteri, percorsi, e periodicamente si fanno prove generali. C’è cultura, c’è attenzione.
E da noi?

Ricordo una strana giornata di ordinaria follia, negli anni ’70, a Napoli, dove all’epoca vivevo. Un camion della monnezza ostruiva la viabilità, nel centro cittadino, per raccogliere un paio di cassonetti stracolmi. Io in modo inurbano e strafottente, del che mi pento fortemente, bussavo insistentemente il clacson. Ad un certo punto uno degli addetti mi urlò contro: “Uè! Stammo ‘int’all’emergenza!”
Eh sì, l’emergenza di allora consisteva in qualche cassonetto non raccolto qua e là. Si poteva fattivamente fronteggiare e superare. Invece… visto a che cosa si è arrivati di “emergenza monnezza” ai nostri giorni?

Ricordo il terremoto dell’80 in Irpinia e a Napoli, che cosa ci ha lasciato? Una nuova classe politica molto più vorace e inetta di quella precedente, che è andata a innestarsi nel corpo di quest’ultima, potenziandola, oltre alle fabbriche obsolete, create coi fondi pubblici e subito abbandonate, e i cantieri navali in Alta Irpinia, più che cattedrali nel deserto, torri di ferraglia arrugginita negli splendidi boschi massacrati.
Ho avuto occasione di fare personalmente il percorso dello splendido “piano di evacuazione” della città di Pozzuoli, ideato dagli amministratori e tecnici locali, in occasione del bradisismo di alcuni anni fa che, come è noto, è un fenomeno tipico dei Campi Flegrei e mette a rischio la stabilità di una intera città. Dico solo questo: credevo di aver sbagliato, di essermi perso, ma non era così; una larga via di fuga a due corsie che sventrava la città terminava, ad un certo punto, contro un terrapieno non eliminabile perché su di esso passavano i binari della ferrovia Cumana.

E il terremoto di L’Aquila che cosa ci ha insegnato, a parte i ghigni telefonici degli imprenditori rifioriti? Come si fa a fare, in contemporanea, un doppio G8 invece che uno, e tonificare il mercato dei prefabbricati (chilli ca costano ‘e cchiù, ovviamente) sotto la supervisione della joint venture C.C. e B.B. (Caimano Company & Bertolaso Business), con il beneplacito di evacuati intervistati affetti da protagonismo, selezionati dai Vespa e dai Fede (all’epoca ruggenti), dopo di che tutto abbandonato all’olio di gomito dei sopravvissuti, rinvigoriti dalle avversità, dalle intemperie, e dalla fatica, che sotto il profilo atletico è una figata, da Olimpiadi, forse, come gli Etiopi e i Giamaicani dimostrano, beh vedremo!
Ora, non dico di fare come in Giappone, dove il terremoto è materia di insegnamento scolastico, ma è davvero irrichiedibile un po’ di cura in più, un po’ di attenzione, un po’ di cultura in più? Un pizzico di onestà e buona fede?
Certo… fin quando si va avanti alternando i Governi Canaglia, con i Governi Fantoccio…

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