La premessa del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136 (Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare  emergenze  ambientali  e industriali  ed  a  favorire  lo  sviluppo  delle  aree  interessate), considera “la estrema gravità sanitaria, ambientale, economica e della legalità in cui versano alcune aree della regione Campania”. Effettivamente, la legalità richiede, per essere perseguita, una certa gravitas, che forse non si sposa con la grave situazione ambientale sanitaria ed economica in cui versa la Campania, ma che rischia – in quel contesto – di apparire troppo spesso un fardello gravoso.

Non soccorre, però, ad alleviare la pena, il modestissimo contenuto delle misure economiche intraprese dal Governo per fronteggiare la diffusione (con pesanti ricadute economiche) di notizie sullo stato di contaminazione dei terreni agricoli campani e sulla conseguente contaminazione e pericolosità per la salute umana dei prodotti agroalimentari di quella regione.

L’articolo 1 del decreto-legge, infatti, si limita ad apprestare i mezzi per acquisire una mappatura delle aree: ciò al fine di individuare quelle interessate da fenomeni di inquinamento tali da rendere necessaria la limitazione a colture “no food”, sradicando la convinzione sempre più diffusa ed in modo preoccupante che tutti i prodotti della Campania siano contaminati e che tutti i terreni destinati all’agroalimentare della regione siano pregiudicati da gravi fenomeni di inquinamento.  Nell’attuale situazione economica di vacche magre, per individuare e potenziare azioni e interventi di monitoraggio e tutela (da realizzarsi nell’area della regione Campania interessata) è costituito un comitato interministeriale per accelerare l’impiego delle disponibilità ordinarie di bilancio, oltre a dirottarvi fondi europei già stanziati dal POR Campania 2007-2013 e dal Piano di Azione e Coesione, a valere sulla programmazione 2014-2020.

Questa mappatura avverrà attraverso l’apporto di istituti ed agenzie statali e regionali che già dispongono di dati e di elementi di conoscenza tecnica sulle aree da verificare: tra di essi, il  Nucleo  operativo ecologico dei Carabinieri,  il  Corpo  forestale  dello  Stato,  il Comando Carabinieri politiche agricole e alimentari, l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della  repressione  frodi  dei prodotti alimentari, l’Istituto superiore di sanità, l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura, l’Agenzia per l’Italia digitale (sic!), l’Istituto geografico militare, organismi scientifici  pubblici competenti in materia e le strutture e organismi della Regione Campania. La previsione secondo cui “il Nucleo operativo ecologico dei  Carabinieri,  il Corpo  forestale  dello  Stato,  il  Comando  Carabinieri   politiche agricole e alimentari, il Comando carabinieri  per  la  tutela  della salute assicurano, per le finalità di cui al presente articolo, agli enti di cui al comma  1  l’accesso  ai  terreni  in  proprietà,  nel possesso o comunque nella disponibilità di soggetti privati” dà poi l’impressione che si tratti di una caccia ad orme ancora fresche, di un inseguimento da quasi-flagranza.

Nulla di più falso: il nostro Direttore ci ha già validamente dimostrato come quei dati fossero di pubblico dominio quanto meno dall’udienza dibattimentale del Tribunale che conobbe dei relativi reati, in sede di processo penale. Quali siano le insondabili priorità del giornalismo, nel dare le notizie, è veramente incomprensibile: J. F. Kennedy convocò il mitico James Reston del New York Times alla Casa Bianca nel 1961, chiedendogli dieci giorni di silenzio per non far saltare lo sbarco alla Baia dei Porci, ma all’undicesimo la notizia era in macchina. Qui, l’undicesimo giorno non è mai venuto, ed il “cane da guardia” della democrazia sonnecchiava così bene che la notizia – che si sarebbe potuta dare già tre lustri fa, portandoci avanti col lavoro – è esplosa solo oggi come una bomba.

Certo, un “secondo binario” informativo si sarebbe potuto dare: a fronte della difficoltà di maneggiare atti processuali scabrosi (ma pubblici, ci ricorda il cronista: pubbliche le letture dibattimentali, pubblici gli interrogatori ed i confronti, pubbliche le sentenze di condanna e le loro motivazioni) una democrazia evoluta e raffinata che cosa fa? Appresta mezzi più meditati, di risoluzione del problema: coinvolge il decisore politico, che procedimentalizza il metodo di acquisizione delle informazioni approvando una legge istitutiva di una commissione bicamerale di inchiesta parlamentare. Non quindi la notizia sbattuta in prima pagina: audizioni riservate del dichiarante, riscontri operati leggendo gli atti processuali, valutazioni di contesto socio-economico effettuate (anche con sopralluoghi) ascoltando i sindaci delle aree interessate, raccogliendo le doglianze delle associazioni di categoria, degli ambientalisti, ecc. ecc..

Lo scopo di tutto ciò, ovviamente, è diverso da quello della ricerca di visibilità pubblica: ma se puta caso la sordina fosse stata imposta da un’auto-censura localistica (nell’attesa di escogitare la modalità di una divulgazione non allarmistica di quelle rivelazioni), la “tribuna” del Parlamento avrebbe potuto/dovuto sormontare tali argomenti e porgere al pubblico, insieme, problema e soluzione. Nulla di tutto ciò: l’esaustività dell’enunciazione del problema è vasta ed a tratti pignola (vedansi gli stralci delle tre relazioni della Commissione parlamentare che affrontarono l’argomento, e che si riproducono in allegato); la proposta di soluzione è singolarmente lacunosa.

Due buoni motivi per ripensare l’istituto della commissione d’inchiesta: nessuna capacità di sfondamento del “muro di gomma” informativo, visto che le relazioni stampate e distribuite sono rimaste ad impolverarsi negli scaffali delle biblioteche parlamentari (come ed ancor più degli interrogatori “secretati” dello Schiavone); nessuna capacità di incidere sulla legislazione di spesa, visto che taluno dei componenti della Commissione uti singulus ha proposto qualche emendamento nelle leggi di quel periodo godereccio della spesa pubblica, ma nessuno è riuscito a fare squadra con gli altri ed a “mandare in buca” (rectius in Gazzetta Ufficiale) misure legislative di finanziamento del necessario risanamento ambientale della “terra dei fuochi”. Oggi, invece, a buoi scappati chiudiamo le porte della stalla…

Il risibile, in tutto questo, è l’ipocrisia con cui si vuole mandare in giro il messaggio subliminale secondo cui ciò che ostò (e che osta) era il mancato accertamento con sentenza passata in giudicato. A che scopo, altrimenti, proporre il seguente comma all’articolo 129 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (norme di attuazione del codice di procedura penale)? «3-ter. Quando esercita l’azione penale per i  reati  previsti  nel decreto legislativo 3  aprile  2006,  n.  152,  ovvero  per  i  reati previsti dal codice penale comportanti un pericolo o  un  pregiudizio per  l’ambiente,  il  pubblico   ministero   informa   il   Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e  la  Regione nel cui territorio i fatti si sono verificati. Qualora i reati di cui al primo periodo arrechino un concreto  pericolo  alla  tutela  della salute o alla sicurezza agroalimentare, il pubblico ministero informa anche il Ministero  della  salute  o  il  Ministero  delle  politiche agricole   alimentari   e   forestali.   Il    pubblico    ministero, nell’informazione, indica le norme di legge che si  assumono  violate anche quando il soggetto sottoposto a indagine per i  reati  indicati nel secondo periodo è stato arrestato o fermato ovvero si  trova  in stato di custodia cautelare. Le sentenze e i provvedimenti definitori di ciascun grado di giudizio sono  trasmessi  per  estratto,  a  cura della cancelleria del giudice che ha emesso i provvedimenti medesimi, alle amministrazioni indicate nei  primi  due  periodi  del  presente comma».

Non può essere stata certo un’inerzia dei pubblici ministeri, all’origine della messa in sordina dell’indagine dei casalesi! Nel Paese in cui il segreto dell’indagine preliminare ha più buchi del groviera, è mai possibile credere che il silenzio sulla “terra dei fuochi” sia dipeso da una mancata comunicazione del pm al Ministero dell’ambiente?
Se non fosse sopraggiunta la fortunata pubblicistica savianea, se i potentati economici – che stanno dietro le corazzate informative del Nord – non ne avessero colto la convenienza editoriale (e, forse, competitiva), se i referenti amministrativi della camorra non versassero in cattive acque, potremmo noi sinceramente credere che una letterina al Ministro e alla Regione avrebbe prevenuto l’inerzia ventennale delle amministrazioni pubbliche preposte alla tutela della salute dei cittadini e dell’ambiente?
Sarebbe come credere che la secretazione della famosa dichiarazione del camorrista Schiavone – negli archivi della Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, dalla XIII legislatura – fosse all’origine della mancata scoperta del caso “terra dei fuochi”. Oppure, come credere che all’undicesimo giorno dalla sua visita alla Casa Bianca, James Reston era troppo occupato a scrivere dell’uomo che morde il cane, per cercare sulla cartina dove si trova la Baia dei Porci.
La terra dei fuochi – Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, stralcio del documento sui traffici illeciti approvato il 25 ottobre 2000
La terra dei fuochi – Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, stralcio della relazione finale approvata il 28 marzo 2001
La terra dei fuochi – Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, stralcio della Relazione sulla Campania approvata l’8 luglio 1998
La terra dei fuochi – Decreto legge 136 – 2013, Disposizioni urgenti in materia di reati ambientali e per la tutela delle produzioni agroalimentari in Campania

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