Rocamadour è un pittoresco villaggio francese nella regione del Midi-Pirenei, e un luogo di meditazione sulla via dei pellegrini diretti a Santiago de Compostela, perché nella Cappella di Notre Dame, del 1749 si venera la statua miracolosa di una Madonna del XII secolo, scolpita in un pezzo di legno nero.
Lì si recò Francis Poulenc nel 1936, dopo la morte, in un incidente automobilistico, del compositore Pierre-Octave Ferroud, suo grande amico: «La decapitazione atroce di questo musicista, pieno di forza, mi ha profondamente colpito. Pensando al poco peso del nostro involucro umano, mi attirava di nuovo la vita spirituale». Quel breve pellegrinaggio riaccese in lui la fede: «Questo santuario, sicuramente il più antico di tutta la Francia, aveva ogni mezzo per soggiogarmi. Disteso in pieno sole in un vertiginoso anfratto di roccia, Rocamadour è un luogo di pace straordinaria […]». Poulenc acquistò un libricino che riportava le preghiere dei pellegrini, le Litanies à la Vierge Noire, e cominciò a metterle in musica per un coro femminile a tre voci e organo. Questo lavoro segnò l’avvio di una nuova fase della sua carriera compositiva, e di un nuovo interesse per la musica sacra che culminò nello Stabat Mater del 1951, e nel Gloria, composto nel 1960. Paavo Järvi si cimenta proprio con queste tre partiture, ed è bravo a coglierne i differenti caratteri. Delle Litanies, eseguite in un arrangiamento per archi e percussioni che Poulenc fece nel 1947, sottolinea l’atmosfera contemplativa che emerge dalla purezza delle linee polifoniche, dall’impianto modale, dagli echi del cantus planus, dalla struttura antifonale che si instaura tra il coro e l’orchestra. Il grande affresco per soprano, coro misto e orchestra dello Stabat Mater (composto ancora come omaggio ad un amico scomparso, il pittore e scenografo Christian Bérard) ha invece un carattere drammatico, varietà di espressioni, una grande ricchezza timbrica e armonica (Claude Rostand nei suoi Entretiens avec Francis Poulenc, descrive così questa evoluzione stilistica: «Le vostre prime opere fanno pensare alle chiese romaniche, mentre lo Stabat Mater sembra piuttosto evocare lo stile gesuitico francese»). E la lettura di Järvi non è austera, ma piena di fervore, intensamente lirica, e sfrutta bene anche l’interpretazione vocale non proprio ortodossa di Patricia Petibon, che dà una luce nuova a questa musica. La sua voce quasi bianca, i suoi filati nel registro acuto, dominano anche nel Gloria, che è il più elaborato e complesso tra i lavori sacri di Poulenc, concepito come una grande architettura sinfonica («il mio Stabat Mater è un coro a cappella, il mio Gloria una grande sinfonia corale»). È anche un pezzo festoso, quasi dissacratorio, ispirato dai dipinti fiorentini di Benozzo Gozzoli, dove «gli angeli sembrano fare le linguacce». Il canto della Petibon è di una bellezza rapinosa, sembra una voce soprannaturale nel Domine Deus, Agnus Dei. Järvi, dal canto suo, mette in risalto le asimmetrie, i colori accesi, le originali armonie. E ne viene un Gloria pieno umori, di profumi, anche di sensualità.
Stabat Mater, Gloria, Litanies à la Vierge noire
di Francis Poulenc
Soprano Patricia Petibon
Choeur de l’Orchestre de Paris, Orchestre de Paris diretta da Paavo Järvi
Cd Deutsche Grammophon 479 1497 GH
Sinfonie
di Robert Schumann
Berliner Philharmoniker, direttore Simon Rattle
2 cd + bd Berliner Philharmoniker Recordins BPHR 140011 EAN
I Berliner Philharmoniker inaugurano una propria casa discografica. E lo fanno con le quattro sinfonie di Schumann dirette da Simon Rattle, un cofanetto deluxe, che contiene due cd, un blu-ray disc (in alta risoluzione) con i video dei concerti live, un booklet che è quasi un libro, curatissimo sia nei contenuti che nella grafica, ricco di saggi sulle quattro sinfonie, sullo stile sinfonico e la poetica romantica di Schumann, sulla tradizione schumanniana nella storia dei Berliner Philharmoniker. Le sinfonie di Schumann sono sempre state nel repertorio della grande orchestra tedesca, che le ha registrate per la prima volta nel 1953, sotto la direzione di Wilhelm Furtwängler, e poi ancora con direttori del calibro di Kubelik e di Karajan. Rattle, che le ha presentate a Berlino nella stagione 2013, con grande successo, e le ha portate poi in tournée in diverse città europee e in Asia, le considera tra le partiture più in sintonia con la sensibilità della sua orchestra («penso che sia una cosa fantastica lanciare la nostra nuova casa discografica con Schumann. Credo che queste registrazioni siano davvero qualcosa di speciale, e che i Berliner abbiano un punto di vista molto chiaro e personale su questi pezzi straordinari»). La sua è una lettura molto romantica, attenta a ogni dettaglio ma mai fredda o troppo analitica, con tempi ampi, grande respiro, e una sottile inquietudine che attraversa tutti i movimenti lenti (magnifico, commovente, quasi brahmsiano l’Adagio espressivo della Seconda). Le trame orchestrali sono dipanate sempre con grande chiarezza, e vividezza di colori e di ritmi, con i fiati e i timpani sempre in evidenza, ma all’interno di una sonorità complessiva sempre molto densa. Rattle cerca di catturare l’essenza dell’orchestrazione schumanniana, la sua originalità, proponendo anche la prima versione (quella del 1841) della Quarta Sinfonia, per mostrarne la «luminostià, la grazia e la bellezza», soprattutto nell’imprevedibile finale.
Musica per pianoforte, vol.2
di Camillo Togni
Pianoforte Aldo Orvieto
Cd Naxos 8.572991
È una figura in gran parte ancora da riscoprire, quella di Camillo Togni, compositore bresciano scomparso nel 1993. Un importante contributo lo dà senz’altro questa integrale pianistica in quattro volumi, progettata da Aldo Orvieto per la Naxos, che ha scovato anche alcune pagine inedite, conservate alla Fondazione “Cini” di Venezia. Il pianista veneziano (che ha studiato con Aldo Ciccolini, ed è tra i fondatori dell’Ex Novo Ensemble) dimostra la sua dimestichezza con il repertorio contemporaneo, cogliendo bene la concentrazione espressiva, la densità della scrittura, l’acuto senso della forma che caratterizza queste musiche di Togni, che rivelano anche la formazione pianistica del compositore bresciano (allievo di Casella, Giovanni Anfossi, Benedetti Michelangeli). Questo secondo volume dell’integrale abbraccia un arco assai ampio della produzione di Togni, più di 50 anni, partendo da alcune composizioni giovanili nelle quali è evidente l’infatuazione per la musica di Arnold Schönberg (Togni fu uno dei primi compositori in Italia ad adottare le tecniche dodecafoniche e seriali, partecipando anche i Congressi Dodecafonici nel 1949 e nel 1951, e frequentando assiduamente i Ferienkurse di Darmstadt fino al 1957): sia nella dodecafonica Serenata n.1 op.10, composta nel 1940 da un Togni appena diciottenne, sia negli originali Sei Preludi op.21 (1944), dove le serie dodecafoniche si fondono con elementi tipici del pianismo romantico. La personalissima rilettura di Bach nella Prima Partita Corale op.29 del 1949 (trascrizione di cinque preludi corali per organo di Bach) dimostra invece come Togni abbia assorbito la lezione di Busoni. Ancora diverso è lo stile degli ultimi Capricci (successivi ai Tre Capricci op.38, del 1954-57) che mostrano una chiara urgenza drammatica e si svincolano dai dogmi seriali. Il Quarto Capriccio (1969) è per esempio uno studio di virtuosismo pianistico basato sulle ottave, su un intervallo considerato un tabù nell’ortodossia dodecafonica («Questo DIABOLUS della musica atonale del nostro secolo, cui tuttavia uno strumento quale il pianoforte, per sua natura, apre continui spiragli, ora poteva essere riammesso, a condizione però che i diavoli fossero tanti e fossero tutti presenti e si combattessero tra loro , ossia che il diavolo si divorasse la coda»); il Quinto Capriccio (1987) è un omaggio a Bellini, che prende spunto dall’incipit del duetto dei Puritani «Suoni la tromba, e intrepido io pugnerò da forte»; il Sesto Capriccio (1991) è un «aforisma», brevissimo, scritto per il sessantesimo compleanno di Bussotti, ed è anche l’ultima composizione pianistica di Togni.
Concerti e Sonate per violino
di Johann Sebastian Bach
Violino Janine Jansen, oboe Ramón Ortega Quero
Cd Decca 478 5362
Dal suo debutto discografico nel 2004, la violinista olandese Janine Jansen è stata una delle “top selling artist” della Decca, con più di 300.000 dischi venduti. Ma lei non ama esibirsi solo come solista. Ha come ideale musicale quello del “fare musica insieme”. E dopo il bel cd con Veklärte Nacht di Schönberg e il Quintetto in do maggiore D956 di Schubert (Decca 478 3551), è tornata a riunire un gruppo di amici musicisti (tra i quali il fratello violoncellista e il padre clavicembalista) per dedicarsi a Bach, dimostrando un’estrema versatilità nell’affrontare stili e musiche di periodi diversi. Raffinatissima e molto musicale, la sua interpretazione di due delle sei Sonate per violino e clavicembalo (quella in do minore BWV 1017, e quella in mi maggiore BWV 1016), accompagnata al clavicembalo dal padre Jan Jansen, si ammira anche per il suono del suo Stradivari del 1727: «La musica che Bach ha scritto per il violino testimonia quanto contasse per lui questo strumento. Bach ha saputo esaltarne talmente le potenzialità che sembra quasi sia stato inventato da lui. O almeno lui lo ha portato a raggiungere traguardi che erano difficili da immaginare. Penso naturalmente alle Partite ma anche alle Sonate per violino e clavicembalo […] Sono pagine che non finiscono di sorprendermi. La complessità della scrittura impone un’attenzione infinita da parte di chi le esegue. Eppure il contrappunto riesce a liberare un’energia creativa impressionante, una fantasia che sembra procedere a briglia sciolta». Ma ancora più accattivante in questo cd è l’esecuzione dei concerti bachiani: due concerti per violino, quello in mi maggiore BWV 1042, e quello in la minore BWV 1041, e una ricostruzione del Concerto per violino e oboe in do minore BWV 1060 (con Ramón Ortega Quero, giovane oboista spagnolo, vincitore già due volte di un ECHO Award). La Jansen li suona (e li dirige) con rigore ed energia, staccando tempi piuttosto veloci, integrandosi senza l’ansia di primeggiare nelle trame del piccolo ensemble: non un’orchestra, ma solo dodici musicisti che riescono a fondersi magnificamente insieme, trovando una sonorità complessiva di grande pienezza, e una quantità di sfumature difficili da ottenere con un’orchestra. È una lettura di grande freschezza, dal fraseggiare fluido ed estroverso, attenta a ogni dettaglio dinamico e timbrico, con ornamentazioni molto sciolte, con i temi che, nel gioco delle imitazioni contrappuntistiche, sembrano circolare tra i vari strumenti in maniera gioiosa, con uno spirito danzante, e un respiro comune. Un Bach molto vivo, pieno di umori diversi, che non rinuncia al virtuosismo, che però appare sempre subordinato alle esigenze espressive. Un’interpretazione che ha il gusto “casalingo” della Hausmusik, diffusa da sempre nei paesi nordici, e che la Jansen fa rivivere ogni anno anche nel suo Festival Internazionale di Musica da Camera di Utrecht. Ascoltando questo cd, si ha davvero l’impressione di vedere i musicisti che si scambiano sguardi complici.
Le nozze di Figaro
di Wolfgang Amadeus Mozart
Interpreti: Fanie Antonelou, Christian van Horn, Simone Kermes, Andrei Bondarenko, Mary-Ellen Nesi, Maria Forsstrom, Nikolai Loskutkin, Krystian Adam, James Elliott, Garry Agadzhanian, Natalya Kirillova
Orchestra MusicAeterna diretta da Teodor Currentzis
3 cd Sony 88883709262
Sembrava impossibile dire qualcosa di nuovo nell’interpretazione di un’opera come Le Nozze di Figaro, considerando anche le innumerevoli incisioni esistenti. Ci è riuscito Teodor Currentzis, direttore greco che ha studiato al Conservatorio di San Pietroburgo sotto la guida di Ilya Musin (maestro, tra gli altri, di Gergiev, Temirkanov, Bychkov), dal 2011 direttore dell’Opera di Perm. Refrattario ad ogni forma di routine, convinto che la musica sia una sorta di missione («il mio credo è che ogni esecuzione deve essere come un parto. Bisogna sognare e aspettare finché non arriva il momento di vedere il miracolo che si realizza. Se non si è così, si perde l’idea centrale della musica. La musica non è una professione, è una missione»), usa strumenti antichi con l’ensemble MusicAetema (fondato a Novosibirsk), ottenendo così un suono fragrante, pieno di energia. E soprattutto impone ai cantanti e agli orchestrali una preparazione maniacale, meticolosa, attraverso una disciplina severa e una serie infinita di prove. Il “parto” di questo cd ha richiesto 11 giorni consecutivi in sala di registrazione con impegno di 14 ore al giorno. Ma il risultato è incredibile: tutto, in queste Nozze di Figaro, scorre con naturalezza, con una perfetta articolazione ritmica, con tempi veloci, nervosi, sonorità appuntite (sin dall’Ouverture), una temperatura teatrale sempre alta, anche nei recitativi. I cantanti sono poco conosciuti (pochi si adatterebbero a un impegno così massacrante), a parte Simone Kermes, nei panni di una contessa dal canto espressivo e pieno di sfumature. Ma tutti appaiono ben centrati nei rispettivi ruoli, cantano con estrema chiarezza e con un uso molto moderato del vibrato, a partire da una spiritosa, pimpante Fanie Antonelou (Susanna), dal nobile Andrei Bondarenko (il conte), dal trascinante Christian van Horn (Figaro).