Emma Houda ha poco meno di due anni, quando il 19 dicembre del 2011 viene rapita da suo padre. Suo padre si chiama Mohammed Kharat, ha 26 anni ed è siriano: è l’ex marito della mamma di Emma, Alice Rossini. Siamo a Velasca, frazione di Vimercate, Brianza orientale. Mohammed, aiutato da una sua conoscente italiana, prende la piccola e fugge in Siria con lei. Rapimento.

E’ l’inizio di un dramma per Alice, un incubo che viene raccontato da diverse trasmissioni televisive, Chi l’ha visto?, I fatti vostri, Pomeriggio 5. Sono mesi di paure, dubbi, illusioni interrotte. Fino a quando, poche settimane fa, una telefonata, sperata ma inaspettata, alimenta una flebile speranza. E’ Mohammed, contattato grazie all’aiuto dell’avvocato Luca Zita, il legale di Alice. Il sogno di rivedere la piccola Emma, però, per la giovane mamma si infrange subito: il marito, infatti, la ricatta. Dammi 300mila euro o non rivedrai più tua figlia, le dice.
Ricatto, estorsione: una richiesta naturalmente esagerata, e Mohammed lo sa. Alice tutti quei soldi non ce li ha, non può averli, visto che ha solo un impiego part-time per un’impresa di pulizie. Una minaccia vera e propria, che Mohammed non ha avuto il coraggio di pronunciare in prima persona, affidandola alla voce di un parente.
Per Alice, da quel momento, è solo angoscia, senza nemmeno la certezza o la conferma che Emma sia ancora viva. Una condizione disperata, evidentemente resa peggiore dalla guerra civile che sta colpendo la Siria in questo momento.

Mohammed Kherat è già stato privato della patria potestà dal Tribunale di Milano: ma si è trattato – come è facile immaginare – di un provvedimento puramente simbolico, che non ha sortito effetti pratici. Così come è andata a vuoto anche la richiesta di un mandato di arresto internazionale presentata dall’avvocato Zita. Tutto inutile, perché la Siria non rispetta le convenzioni dell’Aja in materia di sottrazione dei minori (Convenzione sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori – L’Aja 25 ottobre 1980). Nessuna certezza, dunque, sulla sorte di Emma.

Una storia simile a quella della piccola Martina: tre anni, figlia di Marzio Tolomeo e di Hassen Abdeljelil, il padre tunisino che l’ha rapita nel mese di maggio dello scorso anno. Siamo a Briosco, ancora Brianza, questa volta a ovest, al confine con la provincia di Como. Marzia, per fortuna, da allora sua figlia è riuscita a vederla recandosi in Africa, anche se tra mille minacce e difficoltà, compreso un pestaggio di gruppo compiuto dall’ex compagno nei confronti dell’interprete che la seguiva nel suo primo viaggio in Tunisia. Ad aprile di quest’anno Marzia ha potuto incontrare la figlia per la seconda volta, da sola, senza genitori (i nonni materni di Martina) e funzionari dell’ambasciata: come richiesto dal padre. Un’altra storia di terrore, incolumità a rischio, dubbi e paure sul futuro di una bambina, che intanto – essendo in Tunisia da quindici mesi – parla l’arabo meglio dell’italiano.
Quelli di Emma e Martina non sono casi isolati, purtroppo.
Secondo l’analisi statistica dei dati relativi ai casi di sottrazione internazionale di minori del Dipartimento di Giustizia Minorile, nel 2011 sono state 176 le istanze di questo tipo trattate dall’Ufficio dell’Autorità Centrale Italiana. Nel 2010, i casi di sottrazione di minori pendenti presso il Ministero degli Esteri riguardavano per il 56 % l’Europa, per il 29 % le Americhe, per il 5 % l’Asia e l’Oceania, per l’8 % il Mediterraneo e il Medio Oriente e per il 2 % l’Africa sub-sahariana. Dal 2009 è attivo il numero 116.00 del Telefono Azzurro, dedicato ai bambini scomparsi: la sottrazione internazionale riguarda il 54 % dei casi trattati. Il problema, insomma, è più diffuso di quel che si creda, e riguarda anche casi che sfuggono all’attenzione dei mezzi di comunicazione, come confermato dal documento “Bambini contesi – Guida per i genitori”, diffuso dal Ministero degli Esteri lo scorso anno.
Guida che specifica tutte le azioni che è possibile intraprendere per tutelare il minore rapito, e che al tempo stesso indica (forse banalmente, di certo giustamente) che “c’è una sola ‘prevenzione’ possibile per evitare situazioni di conflitto: ciascuno dei genitori deve porre al centro di ogni azione intrapresa il benessere e l’interesse del minore”.
I casi di Emma e Martina ne sono la dimostrazione più lampante.

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