“Non mi aspettavo la scomparsa di Stefano Borgonovo: per questo è stata per me ancora più dolorosa, come immagino per i figli e per la moglie”. A parlare, o meglio a scrivere, è Piergiorgio Corno, ex calciatore dell’Atalanta in serie A, classe 1943.

Con Borgonovo, Piergiorgio condivide due cose: la malattia – la Sla, anche lui la combatte da anni – e aver giocato nel Como.
Già, il Como: sono ben sei gli ex calciatori lariani che si sono ammalati di sclerosi laterale amiotrofica. Oltre a Corno (l’unico ancora vivo) e a Borgonovo(scomparso lo scorso giugno), anche Albano Canazza (morto nel 2000), Celestino Meroni (morto nel 2001), Adriano Lombardi (morto nel 2007) e Maurizio Gabbana (morto nel 2009).
Al punto che c’è chi ha ipotizzato una correlazione tra l’insorgere della patologia e l’aver fatto parte della squadra lombarda: la colpa sarebbe del sottosuolo del campo dello stadio Sinigaglia, e della presenza di scorie di industrie elettriche, manganese, piombo, nichel, cromo, silicati di calcio, cadmio, materiali di scarto provenienti dalle fonderie di Dongo (dove minerali e metalli tossici abbondavano), residui fini di locomotive e residui della combustione del carbone, cui si dovrebbero aggiungere i veleni, i diserbanti e le vernici impiegati negli anni Settanta e negli anni Ottanta per il mantenimento del manto erboso.

Al momento si tratta solo di ipotesi, entrate a far parte, nel 2008, dell’inchiesta – tuttora in corso – condotta dal pm torinese Raffaele Guariniello sulla possibile correlazione tra il mondo del calcio e la Sla. Patologia rara (in Italia ne sono colpite sei persone ogni 100mila), che però sembra colpire in particolare determinate categorie professionali: contadini, muratori, agricoltori e, appunto, calciatori. Passate in rassegna le vite di oltre 7mila giocatori professionisti dagli anni Sessanta agli anni Duemila, l’incidenza della Sla osservata è di 6.45, a fronte di un’incidenza attesa di 1.24: in pratica, cinque volte più del previsto. Con la maggior parte dei casi concentrata in sei squadre: Pisa, Fiorentina, Torino, Sampdoria, Genoa e Como.

Stefano Borgonovo nel Como ci era cresciuto: proprio con la maglia dei lariani aveva esordito in Serie A, e in riva al lago era tornato dopo aver appeso gli scarpini al chiodo, per insegnare ai più giovani, allenando i Pulcini, gli Allievi e la Primavera. Anche Adriano Lombardi aveva costruito qui un bel pezzo di carriera, negli anni Settanta: oltre 130 presenze, tra Serie A e B, e un marchio indelebile nel cuore dei tifosi. E poi ancora Celestino Meroni, fratello della Farfalla Granata Gigi, cresciuto nelle giovanili; Albano Canazza, nato al caldo di San Paolo del Brasile e cresciuto al freddo di Bolzano, che calcò il campo del Sinigaglia all’inizio degli anni Ottanta, e, dopo aver scoperto di essere ammalato di Sla nel 1997, morì a soli 38 anni; Maurizio Gabbana, piemontese, scomparso nel 2009, dopo aver fatto parte della squadra lombarda negli anni Settanta.

La morte di Stefano Borgonovo, in riva al lago, ha riportato al centro dell’attenzione la malattia: la Stronza, come la chiamava il campione di Giussano, la sclerosi laterale amiotrofica, come la chiamano i medici, la Sla, come la chiama chi vuole rendere più veloce la pronuncia per provare a nascondere il dolore. Piergiorgio Corno contro la patologia combatte da oltre vent’anni; in esclusiva ci racconta di quando, nel 2008, lui e Borgonovo erano tornati allo stadio di Como: era “un incontro calcistico a scopo benefico per la sua fondazione, siamo entrati in campo assieme. La giornata era soprattutto per lui, la sua fama valicava i confini italici: lui era una tripla AAA, io, rispetto a Borgo, una C. In ogni caso, ricordavano anche me”. Piergiorgio ha sottolineato, in un messaggio inviato anche al quotidiano La Provincia di Como: “Penso di essere, grazie a Dio, tra i più longevi di questa terribile patologia. Il mio scritto vuole testimoniare che è pure bello vivere anche con la Sla e dare, se possibile, una speranza ai tanti malati. Sono consapevole dei drammi familiari che provoca la Sla: non essere accettati e amati, problemi economici, non riuscire a ottenere gli ausili giusti: respiratori leggeri, macchina della tosse, computer oculare, carrozzina con il respiratore e altro ancora. Ho scelto di vivere a dispetto di chi pensa che quella scelta non sia una vita dignitosa. Vuole essere anche un grazie a chi mi è stato vicino. Molti non hanno idea di quanto sento meritata e dignitosa la mia vita pur mutilata. Mi sento molto amato, soprattutto da mia moglie Mariagrazia, che mi è accanto in modo inimitabile a condividere battiti e ogni mio respiro, poi dai miei figli, Fabrizio, Dario e Lucia che ho visto laurearsi, sposarsi e che mi hanno regalato sei splendidi nipoti. Mariagrazia è la vera artefice della mia sopravvivenza. Prima di ammalarmi ho vissuto una vita molto soddisfacente. Ho giocato a calcio per diciassette anni. Penso che la sofferenza non abbia nessun senso se non è intesa come un percorso che ci conduce a riconoscere la nostra debole natura umana e per i credenti come me, è motivo di consolazione abbandonarsi ad una volontà superiore. Attingo tanta forza da una fede salda”.
Piergiorgio, Albano, Maurizio, Stefano, Celestino, Adriano: hanno giocato a Como e si sono ammalati di Sla, o si sono ammalati di Sla perché hanno giocato a Como?

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