Pubblichiamo in anteprima il capitolo 4 del libro “Storia del Cinema di Cartone (animato)” edito da Infinito Edizioni, che uscirà nelle librerie dal prossimo 5 ottobre.

Soltanto nel 1906 Winsor Zenis McCay, considerato il progenitore del cinema d’animazione, scommette con un gruppo di amici fumettisti che riuscirà a filmare in pochi minuti un migliaio di disegni. Sembra un’impresa impossibile: le tecniche di ripresa a fotogramma singolo sono ancora sconosciute e soltanto grazie a una geniale intuizione che ha già sperimentato in gran segreto, McCay vince la scommessa. Winsor, autore dal 1905 della striscia a fumetti Little Nemo in Slumberland pubblicata quotidianamente sul New York Herald, scopre che per ridurre le sostituzioni di disegni davanti alla neonata macchina da presa basta sovrapporre immagini realizzate su materiale lucido e trasparente (rodovetro), così da non essere costretti a ridisegnare ogni volta tutto da capo. Una tecnica che permette di non disegnare mai il “quadro” completo, ma realizzarne soltanto una parte, quella principale che resta per gran parte immutata e immutabile, e sovrapporre a questa i particolari, uno o più d’uno, che nel corso della scena devono modificarsi.

Nel 1906 Winsor McCay proietta il primo film di animazione a teatro, nel corso del suo Vaudeville act (gli spettacoli di vaudeville sono all’epoca molto popolari: un attore intrattiene il pubblico con monologhi su argomenti diversi mentre disegna caricature su una lavagna). Il pubblico applaude, il meccanismo funziona e quattro anni dopo arriva sugli schermi, trasportato dai comics, Little Nemo, realizzato con i consigli di James Stuart Blackton che lavora per la casa produttrice Vitagraph, di William Hearst, che distribuisce poi il film a partire dall’aprile del 1911. E ancora, nel 1914 McCay tiene a battesimo, in una sala di Chicago, il primo Jurassik Park della storia: il cartoon di Gertie the Dinosaur. La distribuzione del cortometraggio nei cinema viene affidata a William Fox. Protagonista è un brontosauro femmina, pacioccona e ricca di personalità. Un personaggio al quale è difficile credere sia riuscito a resistere, ottanta anni dopo, Don Bluth, il primo animatore di dinosauri dell’èra moderna, allievo di Walt Disney.

Winsor McCay nasce il 26 settembre 1871 nel Michigan. Nel 1903 arriva a New York e comincia a lavorare nei giornali. Al successo professionale è già arrivato alcuni anni prima a Cincinnati, dove ha il compito di illustrare la facciata e i manifesti pubblicitari del Kohl and Middleton Vine Street Dime Museum, un’esposizione permanente di mostri e anomalie della natura. I suoi cartelloni, che raffigurano creature di ogni tipo, ottengono un tale successo di pubblico e sui giornali che l’interesse per le immagini di McCay diventa superiore a quello per il pur inusuale museo. Tre anni dopo sale per la prima volta su un palcoscenico di un teatro per il suo vaudeville act: The Seven Ages of Man, nel corso del quale – tra l’altro – sfrutta la sua abilità nel disegnare con rapidità per esibirsi in diverse caricature di spettatori (ancora una volta un caricaturista – un cartoonist in senso letterale – passa al cartoon). Dopo la realizzazione del primo film d’animazione con Little Nemo (quattromila disegni, uno per ogni fotogramma), e prima della nascita di Gertie, McCay nel 1912 realizza un secondo cartoon: The Story of a Mosquito, che però non viene distribuito su sua stessa richiesta per poterlo utilizzare nel corso del suo spettacolo teatrale. Due anni dopo Gertie fa capolino dallo schermo del Palace Theater di Chicago: è l’8 febbraio 1914.
La tecnica di realizzazione di McCay è particolarmente raffinata: oltre a disegnare migliaia di quadri, prima di procedere con le riprese, scena per scena i fogli vengono montati su un rullo per farli scorrere e controllare così la qualità finale dell’animazione. Una procedura del genere, soprattutto per i suoi costi, è impensabile per una produzione che non sia amatoriale, tuttavia garantisce al prodotto finale un’estrema fluidità di movimenti. Le proiezioni di Gertie il dinosauro vengono allestite come un vero e proprio spettacolo. Mentre le immagini del film scorrono sullo schermo, McCay, davanti al telo di proiezione, con una bacchetta si finge domatore di Gertie e, conoscendo a menadito tutte le immagini e tutti i movimenti che il dinosauro si accinge a fare, riesce a dare la sensazione che è egli stesso, di volta in volta, a ordinarli. L’effetto finale è un po’ come quello dell’animazione mista che verrà alcuni decenni dopo: un attore si confronta con un disegno e le due “entità incompatibili” sembrano comunicare. È questo il paradosso che agisce sulla psicologia dello spettatore e decreta il successo dello spettacolo. Il successo di Gertie induce McCay a realizzare tre seguiti: tra il 1914 e il 1918 vengono presentati Gertie, the trained dinosaur, Gertie on tour e The centaurus.
Nel 1915 Winsor McCay produce anche un mediometraggio (poco più di venti minuti) basato sull’affondamento del Lusitania, il piroscafo britannico colpito da un sottomarino tedesco nel 1915. Nel naufragio muoiono duemila passeggeri tra cui centoventiquattro americani e l’episodio è determinante per indurre gli Stati Uniti a entrare in guerra. Il film di McCay, per l’impatto e le sensazioni suscitate, ha un suo peso nella formazione dell’opinione pubblica per la necessità dell’intervento bellico. Altri cinque film realizzati fino al 1921, poi McCay torna a dedicarsi soltanto al fumetto. Muore il 26 luglio 1934.

Winsor McCay non è il primo a cimentarsi con la sfida dell’animazione. Il francese Emile Reynaud brevetta nel 1877 il suo praxinoscope e undici anni più tardi invita un gruppo di amici a casa sua per assistere a una proiezione sperimentale. Una scatola cilindrica, fissata su un perno centrale, reca sulla faccia interna una striscia di carta su cui sono disegnate le fasi successive di uno o più personaggi in movimento. Facendo ruotare il cilindro con un meccanismo di ruote dentate collegate a una manovella, le immagini si riflettono in rapida successione su un prisma di specchi montato sul perno centrale: basta che lo spettatore guardi il prisma per vedere la figura muoversi. L’11 ottobre 1892 Reynaud firma un contratto con il museo Grévin di Parigi. Grazie a un proiettore e a ulteriori specchi che ingrandiscono le immagini riflesse nel prisma, il movimento dei disegni viene proiettato sulla parte posteriore di uno schermo.

Per otto anni, ogni giorno, l’inventore aziona il suo prassinoscopio e mezzo milione di persone, complessivamente, assistono alle rappresentazioni. Dopo la storica proiezione dei fratelli Lumière, nel 1895, l’interesse per l’invenzione di Reynaud diminuisce. Finché, il 1° marzo 1900, il museo Grévin comunica al disegnatore di preferire le marionette al prassinoscopio. Emile Reynaud tenta invano di vendere ad altri la sua scoperta: in una crisi di disperazione distrugge i tre praxinoscope costruiti e getta nella Senna le centinaia di strisce disegnate. Muore in ospedale il 9 gennaio 1917.

Nato nel 1844 a Montreuil-sous-Bois, Reynaud è aiutante in un’officina meccanica e impara il disegno grazie alle lezioni della madre. Il suo prassinoscopio è il perfezionamento di precedenti strumenti ottici come il fenakistiscopio e lo zootropio. Tuttavia essendo il prassinoscopio un cilindro, e il movimento provenendo dalla rotazione, è ovvio che le immagini si ripetano a ogni giro. Per questo gli unici soggetti possibili sono danze, esercizi di equilibrio e acrobazie atletiche. Le proiezioni organizzate al museo Grévin, con il prassinoscopio associato ai prismi ottici (un sistema brevettato a sua volta nel 1888), si basano anche su strisce disegnate di trentasei metri (come il film Pauvre Pierrot) che comprendono cinquecento pose diverse. In questo modo lo spettacolo dura anche dodici minuti, durante i quali lo stesso Reynaud gira incessantemente la manovella che fa ruotare il cilindro, tentando di imprimere “effetti speciali” rallentando o accelerando la rotazione a seconda delle scene.

I primi tasselli di storia del cartoon sono nascosti già nelle pieghe degli spettacoli settecenteschi. Ma l’idea di far muovere i disegni ha accompagnato l’uomo fin dalla sua nascita. Nelle grotte di Altamira, nella Spagna settentrionale, nel 1879 sono state ritrovate pitture che risalgono al magdaleniano finale, ossia lo stadio più recente del paleolitico superiore: in parole povere, disegni realizzati quattordicimila anni fa. In qualcuna delle venticinque scene – a colori – in cui si vedono bisonti e tori, gli animali hanno sei o otto zampe e quelle in più sono come sovrapposte alle quattro di base. È probabile che non si tratti di errori commessi da pittori incapaci, ma di un geniale – per l’epoca – tentativo di rendere l’idea del movimento. Passando per gli spettacoli di ombre allestiti dai babilonesi, si arriva alla lanterna magica di padre Athanasius Kircher che nel libro Ars magna lucis et umbrae, del 1646, espone i suoi studi ottici collegati alla proiezione delle immagini. Il cinema d’animazione è perciò, prima che una scoperta e un’industria, un luogo dello spirito presente nell’animo di ogni disegnatore, già quando – nel 1895 – nasce il primo fumetto della storia, Yellow Kid di Richard Felton Outcault, pubblicato ogni domenica sul The World di New York. A Yellow Kid, un allampanato bambino vestito con una lunga casacca che ancora non parla con i fumetti veri e propri – i ballon sopra la testa – ma le sue parole vengono disegnate nello spazio bianco del camicione che indossa, seguono nel giro di pochi mesi Buster Brown sempre di Outcault, Happy Hooligan di Frederik Burr Opper, i terribili Katzenjammer Kids di Rudpolh Dirks (Bibì e Bibò), fino a Krazy Kat di Herriman, Little Nemo di McCay, Mutt and Jeff di Fisher, Jiggs e Maggie di MacManus (Ar cibaldo e Petronilla). Tutti personaggi che affondano le radici nel romanzo popolare ottocentesco.
Nel 1736 la lanterna magica secentesca viene perfezionata dal fisico olandese Pieter van Munschenbroeck che riesce a ottenere, oltre alla proiezione dell’ombra, anche il movimento dell’immagine attraverso la sovrapposizione di due pezzi di vetro. Lo spettacolo che ne viene fuori è però ancora la semplice successione di immagini statiche (non dissimile, concettualmente, da quella realizzata nelle grotte di Altamira quattordicimila anni fa).
Nel 1799 il fisico belga Etienne Gaspard Robert brevetta il fantascopio. Si tratta di una forma più complessa di lanterna magica, composta da diverse lanterne, collegate con carrucole e dotate di otturatori che consentono di incrociare e variare le ombre allontanando dal punto di proiezione, od otturando, una o più lanterne servendosi delle carrucole. I giornali europei accolgono la scoperta in termini entusiastici.

Il thaumatropio, nel 1827, è il primo apparecchio a sfruttare il principio fisico della persistenza delle immagini sulla retina dell’occhio (lo stesso che è alla base del cinema e del cinema d’animazione, per cui tanti fotogrammi diversi, proiettati in rapida successione, vengono conservati nella memoria dell’occhio, associati, e producono la sensazione del movimento). Il thaumatropio è niente più che un cilindro forato ai lati, all’interno del quale, sulle due facce, ci sono due disegni. Guardando attraverso i buchi laterali e contemporaneamente facendo girare il cilindro, le due immagini, che sono separate, vengono fissate sulla retina dell’occhio in stretta successione. Dunque, ad esempio, un uomo disegnato in modo da poter essere associato a una bottiglia posta, sul lato opposto, all’altezza della sua bocca, appare come un uomo che beve dalla bottiglia.

Nel 1833 il fenakistoscopio del belga Jospeh Plateau per la prima volta riproduce il movimento sfruttando la stessa tecnica del thaumatropio. In pratica all’interno del cilindro non vi sono soltanto due figure, ma sedici, ognuna leggermente diversa dall’altra, così che ruotando il cilindro chi guarda attraverso le finestrelle ha la sensazione del movimento. Sarà a questo apparecchio, e alle sue variazioni del daedalum e dello zootropio, che si ispira Reynaud per il praxinoscope.

Contemporaneamente alle esperienze di McCay, nel 1908 viene realizzato in Europa, dall’altra parte dell’Oceano, un film a disegni animati, Fantasmagorie, da Emile Cohl (pseudonimo di Courtet). A finanziare Cohl ci pensa la Gaumont e Fantasmagorie viene presentato il 17 agosto 1908 al Théatre du Gymnase di Parigi. Il film dura due minuti (è lungo trentasei metri). Nello stesso anno Cohl realizza altri due film, stavolta di quattro minuti, e fino al 1912 lavora prima per la Gaumont e poi per la Pathé. Quindi emigra negli Stati Uniti dove resta fino al 1914. Poi torna in Francia e la sua produzione è incessante. Ma il pubblico nel frattempo cambia gusto e Cohl muore povero nel 1938.

Il primo industriale del cartoon, il primo che riesce a tirare fuori dal cartoon redditi che consentano di dare lavoro anche ad altri è John Randolph Bray, nato nel Michigan nel 1879 e morto a 99 anni, nel 1978, nel Connecticut. A Bray si devono le fondamenta del cinema d’animazione “a passo uno”, ossia la possibilità di riprendere un fotogramma per volta. Bray presenta nel 1913 Artist’s dream a New York. Il produttore cinematografico Charles Pathé è a New York per un viaggio, viene a sapere del film, lo vede e chiude con Bray un contratto per sei nuovi film d’animazione. Nascono i Bray Studios e Bray assume animatori, aiuti e assistenti e tra il 1914 e il 1915 registra tre brevetti che gli danno il monopolio della tecnologia allora esistente per produrre cinema d’animazione: l’uso di scenografie stampate sulle quali far scorrere i personaggi, il ricorso alle sfumature di grigio e le scenografie su rodovetro (lo stesso di McCay) da applicare sopra e non sotto al disegno del personaggio. Scherzo del destino vuole che questi brevetti bloccano la registrazione, sempre nel 1914, di un procedimento molto simile con rodovetro, il cosiddetto cel process (processo di celluloide) che Earl Hurd vorrebbe brevettare: il rodovetro (cel in inglese) in questo procedimento serve per disegnare il personaggio e non la scenografia e a questa viene sovrapposto e non il contrario, come ha brevettato Bray. Hurd non riesce a brevettare nulla per la precedente registrazione di Bray, ma nei decenni successivi il cartoon utilizza l’idea di Hurd e non quella di Bray che, guarda caso, assume Hurd nel suo studio. Diversi sono i personaggi prodotti dal Bray Studios, tra questi Colonel Heeza Liar, un omino che si caccia in avventure mirabolanti. Bray, infine, durante la Grande Guerra produce un gran numero di film didattici e di addestramento commissionatigli dal governo.

L’industria di Bray viene scalzata dall’impero dell’International Film Service, fondata nel 1916 da William Hearst, il magnate cinico a cui si ispira poi Orson Welles per Charles Foster Kane in Citizen Kane (1941). Hearst, proprietario di molti giornali e dunque, per i contratti dell’epoca, di tutte le strisce che vengono pubblicate, decide di sfruttare questi personaggi per il cinema d’animazione e impianta degli studi diretti da Gregory La Cava che monopolizzano gran parte delle produzioni di cartoon fino alla fine degli anni Venti, quanto Hearst viene travolto da uno scandalo politico.

La storia del cartoon non si ferma qui: prima di approdare ai successi di McCay e dopo di lui di Messmer, dei fratelli Fleischer, di Lantz e di Disney, il sogno dell’animazione è passato attraverso l’opera dell’italiano Arnaldo Ginna (Arnaldo Ginnani Corradini), pittore e teorico futurista che precedendo di quasi quarant’anni Walt Disney e di settanta Norman McLaren, tenta di tradurre il suono direttamente in immagini. Autore del primo quadro astratto della storia dell’arte (Nevrastenia, 1908), Ginna afferma che “come l’accordo è in musica un suono fisso nello spazio, così l’accordo cromatico intreccia il motivo con il motivo cromatico”. Arnaldo Ginna realizza nei primi dieci anni del Novecento quattro dipinti su pellicola.
Uno, il Canto di Primavera, è la “traduzione cromatica” della musica di Mendelssohn. Il lavoro di Ginna non fa scuola, non ha neppure mercato, ma getta inequivocabilmente le basi per quel matrimonio musica-immagini destinato a realizzarsi qualche decennio più tardi.

Appare poco credibile, come pure sostenuto da molti, che Walt Disney ignorasse del tutto queste prime esperienze e i notevolissimi insegnamenti che se ne potevano trarre. È piuttosto verosimile supporre che sebbene il mago di Burbank lavorasse in piena autonomia abituato com’era a essere egli stesso caposcuola e punto di riferimento, i suoi collaboratori e animatori, avendo alle spalle un passato fatto anche di ricerche e tentativi, utilizzassero parte del bagaglio storico come capitale di partenza. Si spiega così più facilmente come, anche in Steamboat Willie, ci siano elementi e reminiscenze che è possibile collegare a precedenti – seppure più limitate – conquiste del cartoon.

Prima di ritornare nel fantasmagorico mondo di Cartoonia che stanno costruendo Disney, Fleischer e Lantz, ai quali si affiancheranno William Hanna e Joseph Barbera, vale la pena di curiosare un po’ tra la produzione argentina, che in alcuni casi ha raggiunto importanti traguardi precedendo gli studi americani.

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