Sono sempre di più gli italiani che preferiscono pagare le visite mediche di tasca propria piuttosto che subire i lunghissimi tempi di attesa della sanità pubblica. In aumento anche coloro che rinunciano a curarsi scoraggiati dalle attese ma anche dagli alti costi delle strutture non convenzionate.

Secondo una recente indagine di Altroconsumo, negli ultimi dieci anni i cittadini che hanno preferito rivolgersi al mercato della sanità privata sono aumentati del 25, spinti prevalentemente dalla necessità di accorciare i tempi di attesa e in qualche caso, dalla maggiore convenienza economica delle visite private che offrono una maggiore flessibilità di orario con disponibilità di posti anche il sabato o, più raramente, tariffe più convenienti.
Il giro di affari delle prestazioni cosiddette out of pocket, ossia ad esclusivo carico dei privati, è di oltre 30 miliardi di euro tra visite specialistiche, medicinali e prestazioni ambulatoriali. Una cifra che oggi rappresenta, secondo un’indagine dell’università Bocconi, circa il 20% della spesa sanitaria totale ma che è destinata ad aumentare sempre di più anche alla luce delle recenti dichiarazioni del presidente del consiglio Mario Monti che, non più tardi di una decina di giorni fa, ha affermato che la sostenibilità futura del sistema sanitario nazionale potrebbe non essere più garantita. Se questa non è una dichiarazione di default della sanità pubblica, poco ci manca. Le ragioni sono evidenti: da un lato cresce la domanda di prestazioni sanitarie, soprattutto per via dell’aumento dell’aspettativa di vita, dall’altro si riducono sempre di più le disponibilità economiche pubbliche anche a causa di cattive gestioni che si sono protratte negli anni.

Tempi ridotti e maggiore affidabilità
La necessità evidenziata dal premier Monti di «individuare, nei prossimi due anni, nuove modalità di finanziamento e di riorganizzazione dei servizi e delle prestazioni» sembra aprire ancora di più la strada ai privati. Ma cosa significa questo in parole povere?
La prima cosa che balza all’occhio è senza dubbio la vera e propria giungla dei prezzi che – a parità di prestazione – può determinare differenze di spesa che arrivano anche fino a mille euro. Lo rivela l’indagine di Altroconsumo condotta, lo scorso settembre, su 106 strutture sanitarie private distribuite in 8 città italiane: Milano, Torino, Padova, Firenze, Roma, Bari, Napoli e Palermo.
La ricerca ha dimostrato, per esempio, come il prezzo per una gastroscopia oscilla da un minimo di 100 euro (soprattutto nelle strutture del sud come quelle di Bari, Napoli e Palermo) fino a un tetto di 800/1.000 euro registrati in alcune strutture di Roma e Milano. Altroconsumo ha anche evidenziato forti differenze di prezzo all’interno della stessa città. Per cui, restando sempre nell’ambito della gastroscopia, a Milano ci sono strutture private che offrono l’esame a un costo di 280 euro ed altre in cui la spesa lievita fino ad 800. A Roma si oscilla tra le 100 e le 1.000 euro. Ancora: per un’ecografia all’addome, a Torino la cifra varia dalle 70 alle 269 euro mentre per una visita ortopedica i costi variano da un minimo di 50 euro di Palermo, Roma e Torino a tetti massimi di 160 e 200 euro di Firenze e Milano.

Gastroscopia, variazioni romane
«La differenza – spiega Laura Filippucci, curatrice della ricerca – può dipendere dal fatto che alcune strutture abbinano alla visita alcuni comfort in più compresi nel prezzo. Nel caso della gastroscopia può essere prevista l’ospitalità provvisoria in una camera d’ospedale dopo l’accertamento, ovvero la sedazione e quindi la presenza di un’anestesista durante l’esame. Il prezzo poi dipende anche dal prestigio del medico che visita e dal numero di richieste che riceve. Più un medico è richiesto, più costa. È la legge del mercato. È anche vero che oggi assistiamo a un uso improprio dei servizi sanitari. L’eccessiva attenzione che dedichiamo alla nostra salute, infatti, ci porta a richiedere delle visite mediche anche quando non è necessario».
Con 70 milioni di richieste di accertamento ogni anno, i laboratori pubblici sono letteralmente intasati. Per il sito cittadinanzattiva.it, le attese arrivano a 15 mesi per gli esami MOC per l’osteoporosi (dato di media nazionale che alleggerisce i picchi che si registrano in alcune strutture e che arrivano anche a 3 anni); 14 mesi per una mammografia; più di 10 mesi per una risonanza magnetica o una tac; 8 mesi per un’ecografia. È lunga l’anticamera anche per gli interventi chirurgici più diffusi: 14 mesi per una chirurgia plastica ricostruttiva, 13 mesi per una maxillo facciale, 9 mesi per una protesi d’anca, 8,5 mesi per un intervento alla prostata e 7 per quello alla tiroide.
L’unico modo per accelerare i tempi e pagare di tasca propria. Ma non sempre le strutture private sono più costose delle pubbliche. In alcuni casi e in alcuni settori, sono diventate molto concorrenziali. Si pensi alle visite odontoiatriche quasi completamente svolte in regime privato.

Se il ticket e la parcella si equivalgono
«In questo settore – continua Filippucci – le differenze di prezzo tra ticket e parcella sono minime se si considera che per una panoramica dei denti il costo del ticket è di 30 euro mentre la media delle tariffe private è di 39 euro. L’unico modo per orientarsi nel mercato non convenzionato, se non si ha un’assicurazione che copra i costi, è confrontare i prezzi di più strutture di modo da avere un quadro completo della situazione per potere scegliere più serenamente».
Per il Censis, a spingere gli italiani verso la sanità privata è anche la percezione che la qualità media dei servizi sanitari stia scadendo. Se nel 2009 il 21,7% degli intervistati riteneva che il servizio sanitario nella propria regione fosse peggiorato, nel 2012 il dato sale al 31,7%. A conferma di ciò basterebbe prendere in esame i dati del rallentamento della spesa pubblica sanitaria. Con riferimento all’anno 2011, la spesa sanitaria è risultata pari a circa 112 milioni, con una riduzione di 0,6% rispetto all’anno precedente. Siamo in presenza di una forte inversione di tendenza se si considera il +6% di crescita della spesa sanitaria registrato nel periodo 2000-2007.
L’ingolfamento della sanità pubblica non produce solo file di utenti che si riversano verso il sistema privato. Un italiano su cinque, infatti, per i costi eccessivi e i tempi troppo lunghi, rinuncia a curarsi. Lo rivela l’indagine del Forum per la Ricerca Biomedica e del Censis. Nell’ ultimo anno il 35% degli italiani si è rivolto alle strutture sanitarie pubbliche, con liste di attesa più lunghe, per ottenere analisi, visite mediche e cure che in altri tempi avrebbero fatto, pagando, in strutture private. La percentuale sale al 40% tra gli anziani, al 41% tra i residenti nel Centro, ad oltre il 47 per cento tra i soggetti meno istruiti. Più del 18% degli italiani ha rinunciato a visite e prestazioni specialistiche per motivi economici (il 21% tra i residenti del Centro e ben il 23,5% al Sud). Quasi il 21% degli intervistati ha anche ridotto l’acquisto di farmaci pagati di tasca propria mentre hanno dovuto rinunciare alla badante più del 7% degli italiani.

 

Per saperne di più:
http://www.altroconsumo.it/salute/diritti-del-malato/calcola-risparmia/esami-medici-confronta-i-costi

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