FIRENZE. Sono gli Uffizi di Firenze a ospitare l’ultima grande mostra delle celebrazioni del 150° anniversario dei rapporti bilaterali tra l’Italia e il Giappone. Il Rinascimento giapponese. La natura nei dipinti su paravento dal XV al XVII secolo sarà aperta al pubblico fino al 7 gennaio 2018 nell’Aula Magliabechiana del museo.
Una mostra unica, non solo perché la prima nel suo genere in Europa, ma per la preziosità e importanza delle opere, considerate una delle massime espressioni dell’arte giapponese, delicatissime al punto che le 39 esposte – coppie di paraventi pieghevoli (byobu) e porte scorrevoli (fusumae) dipinti, designati tesori nazionali e proprietà culturali importanti e provenienti da musei, templi e dall’Agenzia per gli Affari Culturali del Giappone – saranno a rotazione: 13 per volta al fine di garantire la massima sicurezza in termini conservativi, iniziata già diversi mesi quando per poterle poi trasportare a Firenze sono state conservate al buio. La mostra – organizzata dalle Gallerie degli Uffizi e dall’Agenzia per gli Affari Culturali del Giappone, curata dalla professoressa Rossella Menegazzo, docente di storia dell’arte orientale all’Università degli Studi di Milano e realizzata con il supporto dell’Ambasciata d’Italia a Tokyo e dell’Ambasciata del Giappone a Roma in collaborazione con Mondomostre – intende evidenziare l’epoca d’oro della produzione artistica giapponese di queste opere. Il periodo aureo fu concentrato tra l’epoca Muromachi e l’inizio dell’epoca Edo (XV – XVII secolo), in cui emergono le due grandi tendenze che hanno segnato l’intera produzione pittorica nipponica, affermando quegli ideali estetici che ancora oggi riconosciamo al Giappone: si afferma la pittura monocroma ed evocativa, fatta di vuoti e linee essenziali e veloci, vicina alla tradizione cinese e legata alla filosofia zen che la classe guerriera sposa a partire già dall’epoca Kamakura e che decorava templi e residenze samuraiche; a questa si contrappone la pittura autoctona, con fondi oro e campiture di colore piatte, più esplicita e di facile intendimento, adatta a decorare grandi spazi abitativi come residenze aristocratiche e borghesi. Quasi esattamente nello steso periodo del cinquecento in cui fiorisce l’arte europea – di cui gli Uffizi di Firenze conservano i grandi capolavori – nel Giappone delle cosiddette epoche Muromachi e Momoyama, si assiste a uno sviluppo di committenze che porterà a un altrettanto grande fioritura delle arti come un vero e proprio rinascimento orientale. Da una parte, quindi, opere di paesaggio legate a nomi come quello di Sesshu Toyo, Hasegawa Tohaku, Unkoku Togan, Sesson con le loro atmosfere rarefatte e simboliche, dall’altra nomi della tradizione Kano con soggetti di fiori e uccelli, delle quattro stagioni, di luoghi divenuti celebri grazie alla letteratura e alla poesia rappresentati con colori brillanti secondo le modalità dello yamatoe. La bellezza e la mutevolezza della natura – espresse nelle dimensioni importanti di uno o più spesso due paraventi, a due o sei ante, affiancati l’uno all’altro, o nei pannelli delle porte scorrevoli che dividevano le stanze – comunicano il profondo legame che lega il popolo giapponese al mondo vegetale e animale, facendone parte integrante secondo il sentimento religioso panteistico shintoista alla base di tutta la cultura letteraria e visiva del Giappone. I paraventi erano una manifestazione del prestigio del proprietario (o del donatore), del quale dovevano riflettere autorità, ricchezza, potere culturale, livello d’istruzione: per i pittori che ricevevano la commissione dai ricchi e dai potenti, il dipinto su paravento assumeva un valore particolare. Quello che si percepisce è la capacità di assimilazione della cultura giapponese di stimoli provenienti dall’esterno senza mai perdere la propria identità più intima: i caratteri dello zen riconducibili all’austerità, alla povertà, all’imperfezione, all’irregolarità di forme e materiali si aggiungono infatti a quel sentimento per la natura come specchio dell’animo umano già presente da secoli e definito con il termine mono no aware, ”il sentimento per le cose”. Un insegnamento prezioso e uno spunto di riflessione anche per l’Occidente, per una riconsiderazione dell’ambiente e del rapporto che l’uomo ha proprio con l’ambiente che lo circonda. Certo in Europa la natura era sì manifestazione del divino e del creato, ma aveva al suo centro l’uomo, superiore e signore della natura, mentre in Giappone, tra natura e divino, vi era assoluta corrispondenza, per cui rappresentare la natura in tutte le sue forme equivaleva a rappresentare l’esperienza del divino. Ed è per via di questa concezione che il Rinascimento fiorentino è l’icona dell’arte italiana in Giappone – basti pensare alla Primavera di Botticelli che risponde appieno al sentimento della natura nel Paese del Sol Levante – ed è sempre per questo che Firenze è la prima meta di turismo dei giapponesi: è parso dunque naturale e consequenziale scegliere come sede della mostra il museo degli Uffizi.