Il Cnf esprime il più radicale dissenso. Duro il giudizio dell’Oua sul pacchetto per la giustizia civile: nei prossimi giorni verrà reso pubblico anche un documento complessivo di analisi e di proposte che verranno inviate al Parlamento. 

Per Nicola Marino, presidente Oua, l’intervento del Governo dimostra l’assenza di una strategia di riforma efficace del processo civile e una totale “ignoranza” sui reali problemi che investono imprese e cittadini: «È un passo indietro, sempre nella direzione della rottamazione della nostra giustizia civile. Le principali misure contenute nel ddl di legge delega sono state “vendute” ai mezzi di comunicazione come il rimedio alle evidenti lungaggini dei procedimenti nel nostro Paese, ma in realtà sono una “lista della spesa” infarcita di norme sbagliate ed inutili come sempre a “costo zero” (come si precisa nell’ultimo articolo del ddl )».  
Il presidente dell’Oua quindi, va nel merito del testo: «Inaccettabile la motivazione a pagamento assolutamente in contrasto con l’articolo 111 (comma 6) della Costituzione. Così si limita la possibilità per una vittima di poter ricorrere contro una sentenza sbagliata, se non pagando ulteriormente per la tutela di un diritto.
Giudizio negativo anche per la previsione del giudice unico in appello per alcune materie e per le cause pendenti da oltre tre anni: anche in questo caso assistiamo a una maggiore decisionalità in capo al magistrato e, visto l’enorme arretrato, di fatto ritorneranno in campo proprio quegli “ausiliari”, oltretutto mai assunti e sui cui criteri di qualità nel reclutamento vi sono parecchie criticità.  
Sul cosiddetto “appello veloce”: si punta sulla riduzione della capacità di revisione da parte del magistrato, che viene spinto a rifarsi direttamente a quanto stabilito nel precedente grado senza analisi critica.
Inoltre, in questa visione “kafkiana” del processo, il magistrato può anche decidere se una causa è “temeraria”, o no. A scapito di un avvocato che si vedrebbe costretto a pagarne economicamente le conseguenze in solido con il proprio cliente che, oltretutto, è il titolare del diritto in contestazione. Quindi, un altro enorme potere di decisione affidato alla discrezionalità o arbitrarietà giudice.
Infine, sinteticamente: negativa la valutazione sugli articoli relativi ai beni pignorati e alle garanzie mobiliari: il Governo nel comunicato che ha reso pubblico ha dimenticato di segnalare che per i cittadini-creditori aumenteranno i costi. Così da essere vittime due volte».
«Purtroppo – conclude Marino – questo Governo invece di costruire e definire riforme efficaci per il buon funzionamento della giustizia, insiste nell’assolutamancanza di volontà di dialogo con l’avvocatura, privilegiando la ricerca di titoli ad effetto, non ultimo “Destinazione Italia”. Dove è finito il processo telematico, per fare solo un esempio? In questo modo, non solo non saremo in grado attrarre le imprese straniere, ma faremo scappare anche quelle italiane. Questo nuovo “processo incivile” è un danno per tutti i cittadini. Ci rivolgiamo al Parlamento: si intervenga e si modifichi questo provvedimento».

Il Consiglio nazionale forense eprime il proprio radicale dissenso. Il disegno di legge, il cui studio il CNF si riserva di approfondire, si pone in contrasto con l’iniziativa assunta dal Ministro della Giustizia, non più tardi del giugno di quest’anno, con la costituzione di una Commissione mista di avvocati, magistrati e professori universitari presieduta dal professor avvocato Romano Vaccarella, per formulare proposte di interventi su processo civile e mediazione nell’ambito di un progetto organico volto ad eliminare le criticità prodotte dagli interventi estemporanei succedutisi negli anni; nonostante la commissione stesse per sottoporre il suo progetto, il Ministro ha contraddetto sé stesso facendosi promotore di modifiche nuovamente estemporanee, scollegate da una visione di insieme, causa di ulteriori criticità.

Lo schema di ddl delega, deliberatamente elaborato ancora una volta senza tener conto dell’avvocatura in contrasto con l’articolo 35, comma 1, lett. q) della legge n. 237/2012 (legge di riforma dell’ordinamento forense), esprime un pregiudizio infondato e sgradevole nei confronti della categoria degli avvocati visti come causa prima delle lungaggini del processo, aggiungendo alle norme che hanno sin qui punito la professione con previsioni di decadenze, inammissibilità, riduzione di compensi, quella sulla solidarietà del difensore con l’assistito per i casi di condanna ex articolo 96 del codice di procedura civile (cosiddetta lite temeraria) così ignorando, tra l’altro, un principio elementare di diritto e di etica che vuole distinto il ruolo del difensore da quello dell’assistito.

Desta sconcerto la previsione per cui il giudice motiva la sentenza solo se chi lo richiede paga prima un nuovo balzello pari alla metà del contributo unificato previsto per l’appello.

Pur in presenza di altre norme che, prese isolatamente, possono contribuire a snellire il processo e l’attuazione della sentenza, è riprovevole il metodo seguito ed il pregiudizio alimentato nei confronti della categoria la quale si è sempre – ma inutilmente – dichiarata disponibile all’interlocuzione col Ministero offrendo la sua collaborazione all’elaborazione di progetti organici di riforma rifiutando la casualità e l’estemporaneità che invece caratterizzano l’azione governativa in materia.

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