In Italia il problema della corruzione, nella sfera pubblica come in quella privata, è una questione ormai endemica che quotidianamente riempie pagine di giornale e palinsesti tv,  senza contare gli strali e gli improperi, più o meno fondati, che affollano i social network, in perenne rivolta contro l’atavico vizio italiano.  

In effetti i casi di presunti episodi di corruzione sono ormai all’ordine del giorno: finanziamenti illeciti ai partiti, rimborsi elettorali indebiti, giunte regionali di tutti i colori sorprese a spendere soldi pubblici in modi tutt’altro che consoni, comuni sciolti per mafia e chi più ne ha più ne metta. In questi anni gli italiani ne hanno viste di cotte e di crude e non ci si può meravigliare se nessuno, o quasi, si è scandalizzato di fronte alla notizia diffusa lunedì 3 febbraio : la Commissione europea ha stimato che in Italia la corruzione ci costa ben 60 miliardi l’anno.

Nelle 16 pagine del rapporto U.E. si denuncia la preoccupante “zona grigia” fra politica, affari e organizzazioni criminali che contribuisce a fare dell’Italia uno dei Paesi più corrotti dell’Unione. La Commissione punta il dito anche contro i costi indiretti della corruzione che portano l’economia illegale a “mangiarsi” il 3-4% del Pil annuo del Bel Paese, tanto che il commissario Cecilia Malmstrom, nel presentare il report, ha affermato categorica: “La corruzione in Italia vale 60 miliardi, la metà dei 120 miliardi del totale Ue”. Ma le cose non stanno così e la cifra dei famosi 60 miliardi è una vera e propria “bufala” che da anni viene contrabbandata ai più alti livelli dai vertici dell’Unione Europea e dai mass media di mezzo mondo.

Il rapporto della Commissione
Basta leggere con attenzione il rapporto diffuso dalla commissione  per scoprire che i 60 miliardi si riferiscono ad una precedente valutazione della Corte dei conti italiana: La Corte dei conti italiana” – si legge nel report dell’U.E.- “fa notare che i costi diretti totali della corruzione ammontano a 60 miliardi di euro l’anno (pari a circa il 4% del PIL). Nel 2012 e nel 2013 il presidente della Corte dei conti ha espresso preoccupazione per l’impatto della corruzione sull’economia nazionale”. Questo è l’unico passaggio del documento in cui si fa riferimento al fantomatico valore della corruzione nostrana. Ma la stima della Corte dei conti a cui fa riferimento questo passaggio non esiste. Nel 2012 il procuratore generale della Corte dei Conti, Lodovico Principato, stende una relazione in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario e scrive testualmente: “Se l’entità monetizzata della corruzione annuale in Italia è stata correttamente stimata in 60 miliardi di euro dal SAeT del Dipartimento della Funzione Pubblica (cfr. relazione 2008 Trasparency; relazione al Parlamento n. XXVII n. 6 in data 2 marzo 2009 del Ministro per la Pubblica Amministrazione), rispetto a quanto rilevato dalla Commissione EU l’Italia deterrebbe il 50% dell’intero giro economico della corruzione in Europa. Il che appare invero esagerato per l’Italia, considerando che il restante 50% si spalmerebbe senza grandi problemi negli altri 26 Paesi dell’Unione Europea”. Da quanto si legge dalla relazione dunque la Corte smentisce la cifra contenuta in una relazione del 2009, dell’allora ministro della Funzione Pubblica, Brunetta. Dunque la stima della cifra della corruzione italica è contenuta nella relazione al Parlamento di Brunetta? La risposta è no. Questa fantomatica cifra non compare neanche lì e in un documento del SAeT del 2009 si legge: “Le stime che si fanno sulla corruzione, 50-60 miliardi l’anno, senza un modello scientifico diventano opinioni da prendere come tali ma che, complice a volte la superficialità dei commentatori e dei media, aumenta la confusione ed anestetizza qualsiasi slancio di indignazione e contrasto”- e poi – “La corruzione è una tassa immorale ed occulta pagata con i soldi prelevati dalle tasche dei cittadini, che erode e frena lo sviluppo economico. Se sono attendibili le stime di 50-60 miliardi di euro l’anno come costi della corruzione, stiamo parlando di circa 1000 euro l’anno a testa, inclusi i neonati”. È evidente che il calcolo dell’astronomica cifra non si trova neanche nella relazione parlamentare, anzi si può dire, senza timore di essere smentiti, che questa cifra non proviene dalla Pubblica amministrazione italiana, tant’è vero che nel 2009, sempre in un documento del Servizio Anticorruzione e Trasparenza, la cifra dei 60 miliardi viene definita, senza mezzi termini “fantasiosa”. Stessa cosa fa Il Dipartimento della funzione pubblica, nella sua relazione al Parlamento 2010-2011, dove si parla di stima “infondata”. Da dove arriva allora questa fantomatica e inquietante cifra dei 50-60 miliardi di corruzione?

Il mistero dei 60 miliardi
Una possibile risposta si può rintracciare in un comunicato stampa della Banca Mondiale risalente al 2004, ovvero di ben dieci anni fa:
 Il comunicato parla di uno studio della Banca Mondiale secondo il quale i costi annui della corruzione, in tutto il mondo, ammontano (o meglio ammontavano nel 2004) a circa 1 trilione di dollari, che vuol dire più o meno il 3 – 4 per cento del pil mondiale. I dati della ricerca si riferiscono ad anni ancora precedenti ovvero al biennio 2001-2002: in pratica cifre vecchie come il cucco. Tuttavia la coincidenza di questi numeri, ovvero il 3-4% del pil fatto di tangenti e corruzione, ricorda molto da vicino i famosi 60 miliardi di corruzione del rapporto U.E. reso noto lunedì. Sessanta miliardi, infatti, sono esattamente equivalenti a circa il 3-4% del pil italiano. Semplice coincidenza? Può darsi, tuttavia l’ipotesi che qualcuno abbia avuto la brillante idea di applicare, al pil italiano, la stima della corruzione su scala globale non è, forse, così lontana dalla verità: se la corruzione mondiale vale il 3% del pil allora calcolando il 3% del pil italiano si otterrà il valore della corruzione in Italia, avrà pensato il malcapitato inventore della bufala globale. Ma si tratta di un procedimento completamente sballato perché carente non solo di qualsiasi fondamento scientifico, ma anche di qualsiasi validità logica: la corruzione varia da paese a paese e la media della corruzione mondiale non può equivalere al valore della corruzione del singolo Paese, fosse anche uno Stato con seri problemi in materia, come l’Italia. La persistenza di un grave problema di corruzione nel nostro Paese, dunque, rischia di passare in secondo piano, offuscato da una vicenda che ha dell’incredibile: una delle Commissioni istituzionali più importanti al mondo che prende per buona una bufala colossale e la diffonde su scala planetaria, senza prima aver verificato la provenienza e la veridicità di un dato così macroscopico. Un episodio che lascia molti dubbi sul modo in cui vengono effettuati una certa tipologia di studi. Ma oltre alla superficialità di Bruxelles, emerge l’insipienza di una buona parte degli operatori dell’informazione del nostro Paese: non solo non hanno verificato, a più riprese, la notizia dei 60 miliardi ma hanno contribuito attivamente a diffondere la bufala nel momento in cui hanno letteralmente frainteso le parole della Corte dei Conti che, non solo non asseriva che la corruzione italiana è pari al 3% del nostro pil ma, addirittura, smentiva questa circostanza. Un vero e proprio cortocircuito mediatico-burocratico alimentato dal pregiudizio. Un circolo vizioso dunque più che un circolo ermeneutico, dove una cifra priva di fondamento viene ripetuta e “palleggiata” fra i media e la Commissione europea fino a diventare una verità incontrovertibile. Fa sorridere allora il dato, presente nel rapporto, sulla percezione della corruzione: “il 97% dei rispondenti italiani (la seconda percentuale dell’Unione in ordine di grandezza) ritiene che la corruzione sia un fenomeno dilagante in Italia (contro una media UE del 76%)”. Se dunque la corruzione resta uno dei maggiori ostacoli che impediscono un pieno sviluppo sociale ed economico del nostro Paese, vicende come questa non aiutano certo a migliorare la situazione ma rischiano, addirittura, di aggravarla. Il primo passo per risolvere un problema è quello di definirlo con precisione e gli studi divulgati dalla Commissione europea, per ora non sembrano andare nella giusta direzione.

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