La legge 51/2010 ha introdotto nel nostro ordinamento l’istituto del legittimo impedimento che permette al ministri e primo ministro imputati di giustificare la propria assenza nelle aule di tribunale. La legge è stata poi in parte bocciata dalla sentenza della Corte costituzionale 23/2011, alla luce della quale la Cassazione ad aprile ha deciso di accettare la riformulazione del testo del quesito.

Oltre ai quesiti su acqua e nucleare (di cui abbiamo parlato nelle edizioni del 13, 20 e 27 maggio), il 12 e 13 giugno ci verrà sottoposto quello sul legittimo impedimento, ossia sulla legge 7 aprile 2010 n. concernente «Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza».
La legge prevede che il presidente del Consiglio o un ministro imputato possano giustificare la loro assenza durante un processo che li riguardi «non oltre i 18 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, salvo i casi previsti dall’articolo 96 della Costituzione», al fine di consentire loro «il sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalla legge».

Maccanico Schifani e Alfano, bocciati i lodi
In principio fu il lodo Maccanico, dal nome del senatore della Margherita che presentò il disegno di legge all’inizio della XIV legislatura per evitare che nel semestre di presidenza italiana del Consiglio europeo (luglio-dicembre 2003) potesse essere lesa l’immagine internazionale dell’Italia con una condanna del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Maccanico però ripudiò la paternità del Ddl quando fu presentato e poi approvato il maxi-emendamento a firma del senatore Renato Schifani che stabiliva l’immunità per le cinque più alte cariche dello Stato. Diventò legge (20 giugno 2003 n. 140) e il premier la invocò per il processo Sme, ma i Pm milanesi fecero ricorso alla Consulta che con la sentenza 24/2004 la dichiarò in contrasto con gli articoli 3 (principio di uguaglianza) e 24 (diritto di azione in giudizio e di difesa) della Costituzione.
All’inizio della XVI legislatura, il ministro della Giustizia, Angelino Alfano presentò un nuovo provvedimento che riprendeva i contenuti del lodo Schifani alla luce della pronuncia della Consulta, ribattezzato lodo Alfano. Approvata in prima lettura dal Consiglio dei ministri del 26 giugno 2008, il provvedimento diventava legge il 22 luglio 2008 entrando in vigore il 7 agosto 2008 con il seguente titolo: «Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato» (legge 124/2008).
I difensori del premier Silvio Berlusconi ricorrevano quindi al lodo Alfano per i procedimenti sui diritti tv di Mediaset e il caso Mills; il 26 settembre del 2008 per il processo Mills e dopo pochi giorni, il 4 ottobre per il processo Mediaset i giudici di entrambi i processi accoglievano però il ricorso dei Pm e presentavano alla Corte costituzionale la richiesta di pronunciamento sulla costituzionalità della legge. Esattamente un anno dopo, il 7 ottobre 2009 il Lodo veniva giudicato incostituzionale nel merito e nel metodo: non rispettati ancora una volta gli 3 e 138 della Costituzione e, specificavano i giudici delle leggi, per introdurre questo tipo di immunità occorreva una legge costituzionale.

L’iter Parlamentare del L.I.
All’inizio di questa legislatura (tra il 2008 e il 2009) furono diverse le proposte di legge presentate in materia di «Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza» su iniziativa di parlamentari come Giuseppe Consolo, all’epoca Pdl, Michaela Biancofiore, Isabella Bertolini, Enrico La Loggia ed Enrico Costa, tutti del Pdl, ma anche di Matteo Bringandì (Lega Nord), Michele Vietti quando ancora era deputato dell’Udc e Federico Palomba dell’Italia dei Valori. Segno evidente che un “bisogno di immunità” era sentito all’interno del Palazzo.
La commissione Giustizia di Montecitorio licenziò un testo il 25 gennaio 2010, mentre l’Aula approvò il Ddl il 3 febbraio 2010 con il voto favorevole del Pdl e della Lega, l’astensione dell’Udc e il voto contrario di Pd e Idv, essendo arrivati nel frattempo emendamenti governativi che stravolgevano il senso originario dei Ddl. Palazzo Madama approvò poi la legge con due voti di fiducia il 10 marzo dello stesso anno. Al momento dell’approvazione, però, l’esecutivo accoglieva gli ordini del giorno di Pd e Idv che chiedevano di escludere dalla casistica del legittimo impedimento eventi come sagre di paese, conferenze stampa, incontri o meeting politici, inaugurazioni di sedi etc. Questo per evitare appunto che una sagra del carciofo o anche il Meeting di Cl impedisse a premier e ministri di presentarsi a processo.

Ricorso alla Consulta e referendum abrogativo
Stesso copione già visto altre due volte: subito dopo l’entrata in vigore della legge, i legali del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ricorrono al legittimo impedimento: contro la legge, però, i giudici del Tribunale di Milano sollevano eccezione di incostituzionalità davanti alla Corte costituzionale. Pochi giorni dopo l’approvazione della legge, il Comitato elettorale rappresentato dal leader dell’italia dei valori, Antonio Di Pietro depositava il quesito referendario per abrogare la legge.

Un gennaio “nero”
Un gennaio da dimenticare per l’esecutivo ed in particolare per il premier, quello del 2011. Nel giro di due giorni, infatti, il legittimo impedimento ha ricevuto dai giudici delle leggi due durissimi colpi.
Il 12 gennaio la Corte ha dichiarato ammissibile il quesito referendario e il giorno dopo, il 13 gennaio 2011 la stessa corte si è espressa per il mantenimento della norma, abrogandone però alcune parti in contrasto con gli articoli 3 e 138 della Costituzione (principio di uguaglianza davanti alla legge e riserva di legge costituzionale). In particolare i giudici delle leggi hanno dichiarato illegittima la parte della legge che stabiliva il potere della Presidenza del Consiglio dei Ministri di attestare essa stessa l’impedimento, obbligando il giudice a rinviare l’udienza fino a sei mesi; parzialmente illegittima l’imposizione al giudice dell’obbligo di rinvio del processo su semplice istanza di parte senza menzionare il potere dello stesso di valutare concretamente l’impedimento avanzato. Di fatto la Consulta ha voluto riaffidare al giudice la valutazione caso per caso. Una discrezione, questa della valutazione circostanziata che il Quirinale ha di fatto voluto applicare, se così si può dire, per il caso Brancher. 

Il caso Brancher
Aldo Brancher, fu nominato ministro per l’Attuazione del federalismo il 18 giugno 2010, sei giorni dopo, il 24 giugno, invocava il legittimo impedimento davanti ai giudici del tribunale di Milano essendo imputato in uno stralcio del processo per il tentativo di scalata ad Antonveneta da parte di Bpi. Motivo: necessità di organizzare il nuovo ministero. Immediato l’intervento del Quirinale: «Il neo ministro non può ricorrere alla legge per evitare di presentarsi in tribunale, il suo è un dicastero senza portafoglio». La conclusione la conosciamo, Brancher si dimette da ministro, va a processo e viene condannato in primo grado a due anni di reclusione per appropriazione indebita e ricettazione.

Anche De Magistris invoca il legittimo impedimento
mercoledì scorso, 1° giugno, ha fatto ricorso al legittimo impedimento anche Luigi De Magistris, candidato vittorioso a Napoli, impossibilitato a presentarsi in udienza a causa dell’insediamento da neo sindaco. De Magistris, imputato insieme al consulente informativo Gioacchino Genchi di appropriazione indebita di tabulati telefonici di parlamentari nell’inchiesta Why Not, dovrà presentarsi il 7 luglio prossimo. A decidere, però, in questo caso è stato il Gup, secondo quanto previsto dal legittimo impedimento “dimezzato” dalla Corte, ossia al giudice viene lasciata la valutazione circostanziata che invece la stesura originaria della legge non permetteva.

I Quesiti
Dopo l’incostituzionalità parziale della legge, la Cassazione ha quindi autorizzato la riformulazione del precedente quesito, su tutta la parte non dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale: «Volete voi che siano abrogati l’articolo 1, commi 1, 2, 3, 5, 6, nonché l’articolo 2 della legge 7 aprile 2010 numero 51 recante “disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza”?»
Vota sì chi sostiene che il presidente del Consiglio e i ministri debbano presentarsi davanti al giudice senza anteporre i loro impegni istituzionali in base al principio di uguaglianza stabilito dalla Costituzione.
Vota no chi pensa che la legge nell’attuale stesura ricavata dalla decisione della Consulta, che assegna al giudice il compito di valutare volta per volta se l’assenza di premier e ministri sia giustificabile o meno, sia adeguata e rispetti il principio di uguaglianza.
Se vincono i sì premier e ministri non potranno invocare il legittimo impedimento.
Se vincono i no rimane il legittimo impedimento “zoppo”, con la valutazione circostanziata e il richiamo della Consulta ad una “leale collaborazione” tra esecutivo e magistrati.

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