Chi semina vento di primavera araba finisce per raccogliere la tempesta diplomatica dei paesi vicini e per restare isolato. E’ questa la lezione che sta imparando in questi giorni a proprie spese il Qatar, paese finanziatore ed ispiratore della primavera araba che ore è inviso a quasi tutti i paesi arabi.

Tutto è iniziato martedì 4 marzo di sera, quando all’improvviso, durante la riunione dei ministri degli Esteri dei paesi aderenti al Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), il ministro degli Esteri del Qatar, Khalid Bin Mohammed Al-Attiyah, ha sbattuto letteralmente la porta della sala del palazzo di Riad dove si teneva la riunione. Il capo della diplomazia qatariota aveva lasciato la sede irritato con la sua delegazione, salvo poi dopo qualche ora rientrare da solo per cercare di salvare la situazione ormai compromessa, su invito del suo governo.

In quella riunione infatti aveva subito gli attacchi dei suoi colleghi dei paesi arabi del Golfo, i quali gli imputavano di non aver dato seguito ad un accordo di non-interferenza reciproca tra i paesi della regione. Il riferimento è all’uso fatto negli ultimi anni dal suo governo dell’emittente televisiva “al Jazeera” e dei suoi predicatori, come lo sceicco Yusuf Qaradawi, e del gruppo islamico dei Fratelli musulmani attraverso il quale ha cercato di condizionare la politiche dei paesi della regione e di tutto il Medio Oriente, con lo scoppio della “primavera araba”, restando però con un pugno di mosche in mano essendo l’effetto rivoluzionario del 2011 finito ormai quasi ovunque ed essendo iniziato il periodo della “restaurazione” in molti paesi come l’Egitto.

L’accordo violato dal Qatar nell’ambito del Ccg è un Patto per la sicurezza e la stabilità reciproca approvato nell’ambito dell’organo che riunisce i quattro Stati dell’area con in più Oman e Kuwait. Secondo questo documento, firmato il 23 novembre 2013, ogni membro dell’organizzazione si impegna a non mettere a rischio la tenuta interna degli altri Stati attraverso azione diretta, pressioni politiche o media ostili. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata non solo la crisi in corso in Egitto, provocata proprio dal sostegno del Qatar ai Fratelli musulmani che boicottano in ogni modo il nuovo corso egiziano, ma anche il recente attentato avvenuto la scorsa settimana nel Bahrein nel quale hanno perso la vita tre agenti di polizia, tra cui un ufficiale degli Emirati Arabi Uniti in missione nel paese per riportare la stabilità dopo le proteste della maggioranza sciita contro il governo scoppiate proprio durante la primavera araba.

E’ così che il 5 marzo per la prima volta Arabia Saudita, Bahrein e Emirati Arabi Uniti hanno annunciato il ritiro dei loro ambasciatori dal Qatar. Si tratta di una scelta che non è solo simbolica. Fonti diplomatiche saudite hanno infatti rivelato all’emittente televisiva “al Arabiya”, che il prossimo passo potrebbe essere l’avvio di un embargo commerciale contro il Qatar, la proibizione alla Qatar Airways di usare lo spazio aereo dei tre paesi arabi fino alla chiusura del confine di terra tra Arabia Saudita e Qatar. E’ così che Doha da potenza mondiale che sognava di diventare, grazie all’aiuto di “al Jazeera” e dei Fratelli musulmani che hanno cavalcato l’onda della primavera araba, finisce a ritornare ad essere il piccolo paese del Golfo che è sempre stato.

Non c’è solo il sostegno ai Fratelli musulmani tra le cause che hanno spinto i tre paesi del Golfo, a ritirare i loro ambasciatori dal Qatar. Secondo gli analisti della tv di Dubai, “al Arabiya”, dietro la crisi scoppiata tra le diplomazie dei paesi del Golfo “ci sarebbe anche altro. In particolare il Qatar ha sostenuto anche i ribelli sciiti dell’imam Abdel Malik al Houthi presenti nel nord dello Yemen, i quali oltre a minacciare il governo di Sana’a (filo saudita) rappresentano un pericolo anche per Riad che ha i suoi miliziani lungo il confine”. Le diplomazie dei tre paesi del Golfo imputano inoltre al Qatar di “sostenere anche i miliziani del Fronte di al Nusra in Siria che sono i rappresentanti di al Qaeda nel paese”, in alternativa infatti Riad ha finanziato la nascita di un gruppo islamico più moderato chiamato Fronte islamico.

Il tutto avviene non solo con la sconfitta dei Fratelli musulmani e della primavera araba in diversi paesi come Egitto, Libia, Tunisia e Yemen, dove i Fratelli musulmani non sono più il centro del potere come lo erano dopo il 2011, ma anche in considerazione di quanto sta avvenendo in Siria, dove il regime di Bashar al Assad sta lentamente riprendendo le posizioni perse in questi anni. Il tutto è a vantaggio dell’Iran, principale avversario dell’Arabia Saudita, che vede nella divisione e nei contrasti tra paesi arabi la creazione di spazi nei quali infilarsi per allargare la sua influenza nella regione.

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