Giunto è il (mensis) Novembre, nono del vecchio calendario, ma undicesimo del nuovo. “Tu, novembre, tu se’ come coli/ che troppo tardi al bel convito arriva,/ e poco tocca a lui./ Natura a te non serba/ che alcun raggio di sole, e non coltiva/ per te che grami fiori e inutil erba” (Betteloni). Povero, novembre.

Di festività, nell’antica Roma, senza dubbio. Anche se i Ludi Plebei del tempo di Tiberio costarono ben seicentomila sesterzi. E narra Cincio che si sarebbe chiamato, il mese, anche Mercedinus, perché portava la mercede, la paga: pagavano i fittavoli i tributi ai padroni dei fondi. E’ la “luna della partenza degli uccelli”, dicono i Cree; e universalmente è “luna delle foglie cadenti”. Le foglie morte nel mese dei morti. Il mese di Athyr, che commemorava la morte di Osiride. Fugge Orione in cielo, ché lo Scorpione avanza. Straziante dolcezza del novembre che – dice l’orbo veggente – sorride come infermo.

Ma ora facciamo i geometri… E prendiamo due linee rette, una verticale, una orizzontale. Rette, abbiamo detto; non torte. Già in questo c’è una indicazione, oltre che di “rettitudine” (la “diritta via”, non il tortuoso sentiero), di precisione, di acutezza, di sicurezza. Una è verticale e l’altra orizzontale e questo conduce al discorso della direzione e della direzionalità nello spazio; esterno ed interiore. La retta verticale porta a considerare la direzione alto-basso, su-giù; e si tratta di una direzione che può essere “comoda” oppure “faticosa”. In effetti alto-basso vuol dire salita-discesa. E allora, abbandonarsi alla discesa, alla caduta, può esser facile via: è l’abbandonarsi alla passione, all’emozione-sentimento (prevalente sulla ragione), all’animicità, ma anche alla corporeità, a tamas, per dirla secondo la tradizione indù. La pietra rotola in basso, magari anche trascinando con sé altre pietre, travolgendo ciò che incontra. E’ la via del non perfezionamento, del “peccato”, del basso istinto.

Faticosa, invece, è l’opposta direzione, quella dell’alto. E’ l’ascesa che è anche ascesi. E’ la via verso la Luce, verso il perfezionamento, verso la Verità, la via luminosa (sattwa), ben simboleggiata dalla scalata di una montagna (sacra). E, a proposito di montagna sacra, non può non venirci in mente il film di Alejandro Jodorowsky intitolato, per l’appunto, “La montagna sacra”; anche perché – lo vedremo subito – ci riporta all’altra retta, quella orizzontale. Dice un personaggio del film: Ho conquistato la montagna!. E si ribatte: Fa’ vedere. E quello, in un lampo, aggira tutta la montagna. Ma, richiesto, dichiara di non saperci salire sopra; di non essere capace di scalarla e di raggiungere la vetta. Ecco la direzionalità solo orizzontale, l’ampliamento sì, ma solo a livello di superficie. E’ raja, la via regale ma non sacerdotale, la conquista del territorio fisico ma non dei territori dello Spirito.

Le due rette, poi, per come le abbiamo sopra poste, ancorché non parallele, sono l’una “staccata” dall’altra, non sono in rapporto tra loro; non hanno punti di contatto. Il che non vuol necessariamente dire, peraltro, che non possano “colloquiare”. Non fosse altre perché (è la geometria euclidea) sono sullo stesso piano (può quindi esservi, tra loro, un dialogo alla pari?). Si può utilmente leggere, in proposito, l’opera Flatlandia di Abbot, che narra, tra l’altro, di un mondo a due dimensioni dove vivono insieme rette, linee, figure geometriche. Al di là di questo riferimento, un incontro tra le due rette può aversi in molti modi. Così esse possono unirsi per uno dei loro punti iniziali, venendo a formare un angolo retto; e possiamo allora parlare di “squadra”, richiamando la necessità di una “retta” osservazione di quel che ci circonda (si dice “squadrare” qualcosa o qualcuno) e di un ordinato “inquadramento” (ascisse e ordinate, ad esempio)   dei dati ricavati e via e via e via. Vero è, poi, che un altro incontro “fatidico” tra le linee in esame è rappresentato dalla croce: un abbraccio, una unione che dà origine ad un equilibrio tra le diverse forze in gioco. Ma questo è un altro discorso…

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