All’inizio del secolo scorso Milano portò fortuna a Mussolini e gran parte di essa scaturì dalla intelligenza di alcune donne che lo amarono non ricambiate, molto spesso umiliate e distrutte.

Nel libro di Mimmo Franzinelli “Il Duce e le donne” (Mondadori 2013) emerge il quadro psicanalitico di un uomo che voleva soggiogare le donne come la folla secondo la dottrina di Gustave Le Bon. L’8 marzo 1913 Mussolini in via Crocifisso commemorò la “Comune di Parigi”. Fu l’occasione per conoscere l’anarchica Leda Rafanelli che affascinata dall’irruenza del romagnolo si distaccherà dall’amante solo dopo il voltafaccia interventista del 1914.

Ida Dalser di origine trentina era titolare di un salone di bellezza. Conobbe casualmente Mussolini nella redazione dell’Avanti! mentre concordava un’inserzione pubblicitaria per il suo negozio di via Foscolo 5. Sbocciò la passione da cui nacque il figlio Benito Albino. Ida come ipnotizzata diede tutti i suoi averi, vendette casa e attività per finanziare il quotidiano Il Popolo d’Italia ignorando le relazioni parallele compresa quella con Rachele Guidi già mamma nel 1910 di Edda. Mussolini pur riconoscendo il figlio li abbandonò entrambi privi di mezzi di sussistenza. Diventato duce perseguitò Ida e la fece rinchiudere in manicomio.

Stessa sorte toccò anni dopo al figlio Benittino che morì in un manicomio alle porte di Milano. Bianca Ceccato fu la prima amante minorenne di Mussolini, assunta come dattilografa in Via Cannobio, sede del quotidiano fascista. La ragazzina non si interessava di politica e nemmeno conosceva la linea del Popolo d’Italia. Dopo una scenata di gelosia del direttore per il giovane spasimante Attilio Enrico fu violentata e costretta ad abortire. La riempì di regali, le trovò un alloggio in via Donizetti e la mantenne per tenere buona la famiglia di lei e non far scoppiare lo scandalo. Dopo la nascita del figlio Glauco figlio naturale di Mussolini, Bianca cercò di sottrarsi al gelosissimo amante e sposò Giuseppe Di Salle.

Ma l’amante più influente determinante per la carriera del “libertino” fu la veneziana Margherita Sarfatti milanese d’adozione che alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, riceveva gli artisti del calibro di Boccioni, Marinetti, Carrà e Sironi nella casa di Corso Venezia 93. Mussolini rischiò la prigione per i “fondi neri” erogati a sostegno de Il Popolo d’Italia novello interventista. Il giudizio della Commissione d’inchiesta fu influenzato da Cesare Sarfatti, marito di Margherita. Che riuscì a far votare al “giurì” un parere sostanzialmente favorevole all’inquisito, prosciogliendolo dall’accusa fondata, in seguito sostenuta da Gaetano Salvemini e Ida Dalser nelle insistenti missive ad Alfredo Frassati e Luigi Albertini. Nel 1924 Margherita contribuì a consolidare il potere del duce con la fortunata biografia che fu un successo editoriale. Il rapporto si consolidò in seguito alla prematura morte del marito Cesare. Le rivelazioni del fidato autista del duce Ercole Boratto e le veline del capo della polizia del tempo, Arturo Bocchini fanno ora emergere particolari inquietanti. Mussolini mise da parte l’amante per la di lei figlia minorenne Fiammetta. Boratto alludeva ad incontri clandestini con la ragazzina lusingata dall’onnipotenza del duce. Mimmo Franzinelli con puntigliosa documentazione d’archivio dà riscontri a fatti incontestabili sgombrando il campo da dicerie e pettegolezzi del passato.

Mimmo Franzinelli, Il Duce e le donne, Mondadori, 2013, euro 17

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