La parola passa ora ai mercati che stanno valutando sia le misure dei singoli governi, in primo piano il nostro, sia gli interventi delle grandi istituzioni finanziarie mondiali, con particolare riguardo verso le banche centrali

L’adozione del definitiva del provvedimento correttivo dei conti pubblici non ha certo placato le critiche, che continuano a piovere imperterrite sul governo.
Il filo rosso che lega tutte le diverse voci che si sono levate nel corso di questa settimana è certamente l’inefficacia delle misure adottate in materia di crescita, in particolare il fatto che 2/3 del totale sia composto da aumenti delle tasse. In realtà il fronte della critica sembra essere tutt’altro che uniforme: ognuno pone l’accento sulle questioni che ritiene più importanti. Le opposizioni, che chiedono ormai da mesi le dimissioni del premier, al di là dei contenuti della manovra, si focalizzano sulla mancanza di credibilità internazionale del governo, anche per via delle solite magagne giudiziarie.
Si tratta comunque di una protesta annunciata, al pari di quella portata avanti dalla CGIL, che contesta in particolare l’articolo 8 della manovra, in materia di contrattazione aziendale. Ciò che stupisce, invece, è il duro attacco dell’ANCI, l’associazione dei comuni italiani: l’adesione alle iniziative promosse dai sindaci, contro i tagli agli enti locali, è stata bipartisan. “Non possiamo garantire servizi ai cittadini (…) Rischiamo di non trovare più bus e tram alle fermate o di pagare i biglietti cinque euro”, ha dichiarato il sindaco di Roma Alemanno, mentre consegnava volantini insieme alla giunta. Dulcis in fundo, il presidente Emma Marcegaglia, nel commentare l’aggiornamento al ribasso delle stime di crescita del PIL (0.7% nel 2011) presentato dal Centro Studi di Confindustria, ha esternato la propria contrarietà ad una manovra che determinerà una “pressione fiscale oltre il massimo storico del 43,7% toccato nel 1997 per l’entrata nell’euro”, dichiarando che il governo si assume una “responsabilità gravissima” se non adotta in breve tempo misure di stimolo per l’economia.
Mentre in Italia prosegue dunque la discussione in merito ai contenuti ed agli effetti di questo provvedimento, in Europa e nel mondo si tira un sospiro di sollievo. L’approvazione della manovra-bis italiana, infatti, sembra aver portato ad una serie di attività collaterali, con l’obiettivo di mettere al sicuro la nostra moneta unica.
La questione, dunque, al di là delle considerazioni e delle critiche tutte interne al nostro dibattito, ha assunto senza dubbio una valenza sovranazionale, che si è manifestata in queste settimane sotto forma di una pressione costante sulla nostra classe dirigente. Il motivo è molto semplice e si può spiegare per analogia: se il pericolo di un default in Grecia può mettere in ginocchio l’Europa, a causa dell’eccessiva esposizione delle banche (segnali importanti arrivano dal declassamento del rating dei principali istituti di credito francesi), figuriamoci cosa può succedere se l’Italia si trovasse nella medesima situazione.
La manovra correttiva, finalizzata al raggiungimento del pareggio di bilancio nel 2013, rappresenta dunque un segnale, un “via libera” per un intervento sovranazionale e coordinato che aiuti noi a riguadagnare fiducia nei mercati e l’Europa a ridurre i rischi. Così, mentre a Roma erano in pieno svolgimento le dichiarazioni di voto, ha avuto luogo un vertice triangolare in teleconferenza tra la cancelliera tedesca Angela Merkel, il primo ministro francese Nicolas Sarkozy ed il leader del governo greco Papandreu, al quale sono state richieste rassicurazioni sul proseguimento delle politiche di risanamento dei conti pubblici ellenici.
Le parole del portavoce del governo greco Ilias Mossialos seguite al vertice, supportate da un comunicato ufficiale dell’Eliseo, hanno confermato che “il futuro della Grecia è nell’Eurozona”. A seguito di queste dichiarazioni e del buon esito delle votazioni in Italia è arrivato giovedì il piano strategico messo a punto dalla BCE insieme ad altre quattro banche centrali (americana, britannica, giapponese e svizzera): l’annuncio riguarda l’intenzione di “avviare tre diverse operazioni per fornire liquidità in dollari con prestiti a tre mesi fino alla fine dell’anno”, con l’obiettivo di consolidare la capitalizzazione delle banche ed evitare una nuova stretta creditizia. Si tratta, in sostanza, di misure molto simili a quelle adottate nel 2008 in risposta al fallimento di Lehman Brothers.
I mercati, poche ore dopo l’annuncio, sembrano aver reagito bene: i titoli bancari italiani sono tornati a crescere, portando Milano oltre il 4% nella medesima giornata, mentre lo spread tra Btp e Bund tedeschi si è assestato intorno ai 360 punti. Nonostante questi deboli segnali positivi, che possono facilmente cambiare segno da un momento all’altro, la febbre della nostra economia resta ancora alta, anche perché questo tipo di misure adottate in campo internazionale hanno per definizione una valenza temporanea. Il vero nodo da sciogliere, nell’ottica di una stabilità quantomeno nel medio periodo, rimane la crescita economica. Il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, ha riassunto il concetto in poche frasi, affermando che “la crescita debole e i bilanci deboli si alimentano a vicenda, alimentando una crisi di fiducia (…) Il circolo vizioso sta prendendo slancio ed è stato esacerbato dall’indecisione politica e da disfunzioni politiche”.
Nella giornata di oggi, venerdì 16, si svolgerà in Polonia una riunione d’urgenza dell’Ecofin, il consiglio dei massimi responsabili economici europei, al quale è stato invitato per la prima volta anche il segretario al Tesoro Usa Geithner, a testimonianza della mondializzazione della crisi dell’Euro.
L’obiettivo è trovare una forma di coordinamento per gestire una situazione traballante, cercando di adottare misure condivise e contenendo al tempo stesso gli istinti antieuropei che stanno emergendo in maniera sempre più evidente in molti paesi.

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