Mentre in un angolo d’Europa si parla di Schengen, di una sua possibile sospensione, la Commissione pubblica il suo terzo rapporto sul Mandato d’arresto europeo, il sistema di consegna efficiente di cui avrebbe bisogno un’Europa senza frontiere interne, ai sensi dell’articolo 34 della decisione quadro che lo istituì. E viene fuori che dopo sette anni l’Italia non ha ancora modificato le norme interne.

Una relazione per fare il punto della situazione, sia sull’attuazione che sul funzionamento per migliorarlo e renderlo veramente efficiente. Emerge allora che occorre rafforzare i diritti processuali di indagati o imputati in procedimenti penali, affrontare il problema della proporzionalità.
E poi magari l’Italia dovrebbe inviare a chi di dovere i suoi dati, visto che non lo fa dal 2006.
A sette anni dall’entrata in vigore (1° gennaio 2004) della decisione quadro del Consiglio del 13 giugno 2002 sul mandato d’arresto europeo (MAE) e sulle procedura tra Stati membri, la Commissione europea ha divulgato i dati statistici disponibili raccolti tra il 2005 e il 2009 tra tutti gli Stati membri (la relazione è leggibile in allegato).
Prima dell’introduzione del mandato, la durata media per l’estradizione dei ricercati era di un anno, in questi quattro anni di MAE circa il 50 % dei ricercati ha acconsentito alla propria consegna dopo circa quindici giorni.
Ma le statistiche e i dati, dice la Commissione, servono proprio per capire e per migliorare il meccanismo che è lungi dall’essere perfetto, anzi.
Le carenze dell’Italia
Da segnalare subito che l’Italia è tra i dodici stati membri che non hanno apportato le modifiche richieste nelle rispettive legislazioni. «Ciò – dice espressamente il documento – è ancor più deplorevole nel caso di Stati membri che nella relazione del 2007 della Commissione erano stati espressamente chiamati ad attivarsi per conformarsi pienamente alla decisione quadro del Consiglio (CY, DK, IT, MT, NL, UK)».
La tabella riportata in calce al documento, poi, evidenzia come l’Italia sia tra i paesi “deficitari” di notizie e dati: dal 2006 in poi, infatti, non risultano più mandati emessi o eseguiti nel nostro Paese. E questo non perché non siano più stati eseguiti o emessi, ma semplicemente perché non abbiamo più inviato i numeri a chi di dovere. Basta infatti leggere le relazioni presentate da via Arenula al Parlamento all’inizio di ogni anno per capire che i numeri ci sono, eccome.
Solo per citare le ultime due relazioni al Parlamento (leggibili sul sito giustizia.it) si legge che «per quanto riguarda l’applicazione del Mandato di arresto europeo, ad esso si fa sempre più ricorso da parte degli organi giudiziari di vari paesi (…). Nel corso del 2009 sono stati aperti dal Dipartimento per gli Affari di Giustizia 1500 nuove procedure che si sommano a quelle nate a partire dal 2005 e ancora pendenti per irriperibilità del ricercato o perché non ancora esaurita la procedura giurisdizionale». E ancora, la relazione continua spiegando anche che «Nel marzo del 2009 si è concluso il procedimento di valutazione condotto dal Consiglio dell’Unione europea sulle attività di incremento dell’applicazione in Italia di quello strumento processuale. La valutazione si è conclusa con parole di elogio per le Autorità giudiziarie e amministrative italiane».
Andando ancora a ritroso, nella Relazione 2009, si legge che «nel corso del 2008 lo strumento del mandato d’arresto ha avuto un notevolissimo incremento; sono oltre 800 i mandati d’arresto europei emessi dall’Autorità Giudiziaria italiana. Altrettanti quelli ricevuti dall’Autorità straniera. Si è consolidata quindi l’attività dell’Ufficio quale autorità centrale nella procedura del mandato di arresto europeo che si è, così, affiancata alle tradizionali attività inerenti alle procedure di estradizione. In tale ottica è stato elaborato e distribuito a tutti gli uffici giudiziari italiani un vademecum per l’emissione del mandato d’arresto europeo che ha trovato notevole apprezzamento da parte di tutti gli operatori del diritto».
Anche se non vengono inviati alla Commissione, dunque, i numeri parlano ci sono e parlano chiaro: in Italia il ricorso al MAE si incrementa notevolmente.

Più diritti processuali
Nonostante le nostre mancanze, comunque, l’occasione è quella di fare il punto sull’attuazione e sul funzionamento del MAE: le informazioni raccolte mostrano che nonostante la sua utilità nella lotta alla criminalità, occorre migliorare il recepimento della decisione quadro del Consiglio, soprattutto sotto il profilo della tutela dei diritti fondamentali. La Commissione, infatti, ha ricevuto tante segnalazioni da parte dei parlamentari europei e nazionali, ma anche da parte di avvocati difensori e privati cittadini che hanno sottolineato problemi legati all’operatività del MAE come la mancanza di accesso alla rappresentanza legale nello Stato membro emittente durante il procedimento di consegna. Problemi legati anche alla condizione di detenzione in alcuni stati Membri e l’applicazione non uniforme del controllo di proporzionalità da parte degli Stati emittenti. E questi problemi di applicazione uniforme nascono nonostante tutti i paesi europei debbano attenersi alle norme della Corte europea dei diritti dell’uomo; uniformità che di fatto manca, come dimostra l’ultima pronuncia della Corte sulla nostra legge che prevede il reato di clandestinità punendolo con la reclusione, e che appunto emerge solo dopo una pronuncia della Corte e quindi a violazione avvenuta. L’obbiettivo, dunque è quello di intervenire per migliorare il meccanismo.
La commissione così ha indicato alcune priorità sulle quali lavorare: il diritto alla traduzione e all’interprete, rispetto al quale il Parlamento ha già approvato una direttiva nell’ottobre del 2010, il diritto all’informazione sui propri diritti, la consulenza legale prima del procedimento e assistenza legale gratuita durante il procedimento, il diritto del detenuto di comunicare con familiari, datori di lavoro e autorità consolari, quindi la protezione degli indagati vulnerabili.

Il problema della proporzionalità
Il punto forse più problematico del MAE è la consegna di persone ricercate per reati minori; si sente infatti la necessità di un controllo di proporzionalità per evitare che i mandati vengano emessi per reati che, pur compresi nell’elenco della decisione quadro, non siano sufficientemente gravi da giustificare il mandato. Per questi motivi il Consiglio ha incluso una modifica al manuale sul MAE incluse le possibili alternative da valutare prima. Se gli stati membri seguiranno le nuove indicazioni si dovrebbe avere una maggiore coerenza nel modo in cui il controllo di proporzionalità verrà eseguito. Le autorità quindi dovrebbero fare ricorso al sistema solo quando una richiesta di consegna sia proporzionata al reato, previo controllo di proporzionalità secondo modalità uniformi in tutti gli Stati membri. L’importante, sottolinea la relazione, è che gli Stati si attivino perché i professionisti del settore usino il manuale modificato come documento guida per la corretta esecuzione del controllo di proporzionalità.
Infine, la commissione ricorda a tutti i Paesi l’obbligo di fornire dati statistici esaustivi, necessari appunto per migliorare lo strumento di lotta alla criminalità.
La speranza, per noi, è che l’Italia riprenda ad inviarli.

 

relazione MAE 14.04.2011

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