In principio era l’alcol. Martedì 6 marzo, la speranza di migliaia di precari della scuola si è riversata, per un giorno, proprio su birra e affini. Un emendamento targato Pd ha introdotto, nel Decreto legge sulle semplificazioni, la possibilità di finanziare nuove assunzioni nella scuola pubblica con i ricavi provenienti dai giochi (lotto ed enalotto) e dall’aumento delle tasse su birre e alcolici.

Nuove entrate per circa 250 milioni da destinare all’inserimento di 10.000 nuove risorse fra docenti e personale tecnico-amministrativo, e alla stabilizzazione dei precari. Approvato dalle commissioni Affari costituzionali e Attività produttive della Camera, l’emendamento è stato però bocciato dalla commissione Bilancio, dopo il parere negativo espresso dal Governo. Il compromesso è stato poi trovato mercoledì, quando, con accordo bipartisan (contraria solo la Lega), è passato il nuovo emendamento all’articolo 50 del Dl semplificazioni sugli organici della scuola. Saltata la tassa sulla birra, e gli alcolici, il comparto scuola dal 2013 sarà finanziato con il ricavato del lotto e del super enalotto. Il Ministero dell’Economia dirotterà le eventuali maggiori entrate al comparto scuola come già avviene in pratica con i ben culturali.

L`andamento demografico
Scomparse invece dalla nuova versione dell’emendamento, le 10 mila nuove assunzioni. Sarà possibile assumere nuovi docenti solo in proporzione alla crescita del numero di alunni. Ogni tre anni verrà fissato l’organico della scuola “sulla base della previsione dell’andamento demografico della popolazione in età scolare”. Dall’illusione di una vincita milionaria alla speranza di un posto di lavoro nella scuola. Viene meno dunque il blocco dell’assunzione di insegnanti e personale ausiliario deciso con la manovra di luglio dall’allora ministro dell’Economia Tremonti: il loro numero potrà aumentare se dovesse crescere il numero degli studenti iscritti nelle scuole. Ma l’emendamento, non elimina gli effetti del decreto legge 112 del 2009 della riforma Gelmini che prevede per i prossimi anni un taglio di altri 1.835 posti nella scuola. Per il prossimo anno il Ministero dell’Istruzione prevede un aumento di 8.970 alunni, pari a circa 900 nuove assunzioni. Non è il massimo, ma se l’emendamento passasse così com’è rappresenterebbe per la scuola, in ogni caso, una significativa inversione di rotta rispetto agli ultimi anni, caratterizzati da tagli lineari e blocchi delle assunzioni.

Per l`istruzione solo il 4,8% del Pil
Ma quanto spende realmente l’Italia in istruzione? Ancora troppo poco. Secondo l’ultimo rapporto Ocse (http://www.oecd.org/dataoecd/31/28/48669804.pdf), l’Italia spende per scuola e università il il 4,8% del Pil contro una media Ocse del 6,1%. Peggio di noi solo Slovacchia (4%) e Repubblica Ceca (4.5%). Una spesa ancora troppo bassa se si considera anche il pessimo posto che occupa il nostro paese nella classifica Ocse in base alle competenze chiave da veicolare agli alunni (lettura, scienze e matematica): ai primi tre posti si piazzano Cina, Corea e Finlandia, mentre l’Italia è diciassettesima dietro a USA, Germania, Francia e Regno Unito. I dati relativi all’occupazione poi non sono confortanti: in Italia, solo il 79% degli adulti con istruzione terziaria ha un impiego, mentre la media OCSE è dell’84% , dietro di noi c’è solo la Turchia con il suo 74%.
È evidente dunque che qualcosa non va nel sistema formativo Italiano: decenni di sperimentazioni e riforme di ogni tipo hanno cercato di porre rimedio al gap che separa il nostro sistema scolastico, da quello dei paesi europei a noi più vicini, ma, nonostante qualche segnale incoraggiante, non sembra il risultato desiderato sia stato ottenuto, se nel rapporto dell’Ocse si legge che “Il numero di giovani che possiede un diploma d’istruzione secondaria non è mai stato così elevato(,70,3% ) ma la proporzione di giovani italiani con tale livello d’istruzione è ampiamente al di sotto della media OCSE”. Dunque c’è ancora molto da fare per migliorare la situazione del sistema Scuola nel nostro paese e, la contestatissima riforma Gelmini, risulta ad oggi solo un primo tentativo, per quanto opinabile, di riordino delle tante riforme parziali che si sono avvicendate negli ultimi due decenni in Italia. Manca ancora, inoltre, quasi del tutto un valido sistema di valutazione degli istituti scolastici. Dal rapporto Ocse emerge ancora un altro dato significativo infatti: lo stipendio degli insegnanti italiani è fra i più bassi dei paesi Ocse e continua, in maniera graduale ma costante, a perdere potere d’acquisto. Riqualificare il ruolo degli insegnanti, anche sottoponendo gli istituti scolastici e gli stessi docenti ad una seria valutazione dei risultati non può essere un tabù ma, anzi, è il primo passo per rimettere in carreggiata il sistema scolastico italiano.

I parametri europei
Per troppi anni probabilmente la Scuola italiana è stato un sistema a cui ha avuto accesso quasi chiunque: accanto a personale molto preparato, tante persone senza neanche un titolo universitario. Oggi la strada della riqualificazione della professione sembra essere iniziata, anche se molto lentamente, ma gli obiettivi fissati per il sistema formativo sono ambiziosi. Entro il 2020, infatti, i paesi dell’ Unione dovrebbero avvicinarsi il più possibile ai 5 parametri che la Commissione Europea ha stabilito per l’ Istruzione, la Ricerca e la Formazione. Al primo posto fra i punti richiesti dall’UE c’è il raggiungimento del tetto del 95% di bambini in età prescolare che dovrebbero frequentare le scuole dell’infanzia. L’abbandono scolastico o di corsi professionalizzanti da parte dei giovani, dovrebbe poi scendere al 10%, mentre la percentuale di studenti quindicenni che non padroneggiano le competenze chiave (lettura, scienze e matematica) dovrebbe essere inferiore al 15 %. Il livello di studi universitari dovrebbe poi essere conseguito da almeno il 40% dei giovani fra i 24 e i 34 anni e, infine, almeno il 15 % degli adulti dovrebbe partecipare a programmi di apprendimento permanente. Come si vede gli obiettivi risultano molto ardui per tutti i Paesi europei e ancora di più per il nostro se, tanto per dirne una, l’Italia detiene uno dei più bassi tassi di conseguimento di diplomi d’istruzione terziaria tra i Paesi Ocse: solo il 20,2% dei giovani tra i 25 e i 34 anni raggiunge tale livello d’istruzione, rispetto alla media OCSE del 37,1% .

La via dell`autonomia 
Per uscire da questo empasse il primo punto è sicuramente la piena realizzazione dell’autonomia scolastica: un percorso iniziato da tempo, con la legge delega n.59 art.21 del ‘97 e con il DPR n. 275 del 1991, ma ancora non portato del tutto a compimento. Se è vero che ogni istituto ha ampliato la sua autonomia gestionale, didattica e finanziaria, resta da rafforzare ulteriormente il legame con il territorio. L’Italia spende ancora troppo poco per l’Istruzione ma va tenuto conto che le nazioni europee a noi più vicine spendono meno di noi a livello statale. Se prendiamo come esempio la Francia, che come sistema paese spende più dell’Italia in Istruzione (circa il 6,5% del pil), scopriamo che solo il 54% dei finanziamenti alla Scuola arrivano dal ministero dell’Istruzione, mentre l’11% arriva dalle famiglie e 22% dagli enti territoriali a cui si aggiunge il 6,4% delle società private. Un contributo molto forte dunque sia dal territorio che dalle famiglie, mentre in Italia la quasi totalità della spesa per l’Istruzione arriva direttamente dallo Stato. L’importanza di fare sistema attorno alla formazione e alla Scuola è dunque evidente. Non è più possibile pensare che l’Istruzione sia esclusivamente un affare del Ministero. Altro punto nodale che contribuisce a rallentare il sistema Istruzione nel nostro Paese è la lontananza fra lavoro e scuola : due realtà ancora troppo distanti che, soprattutto al Sud, nutrono ancora una reciproca diffidenza. L’istruzione e la formazione sono le porte di accesso a un futuro di cui ignoriamo gli sviluppi futuri. Quello che è certo è che il mondo sta cambiando radicalmente e siamo alle porte di una vera rivoluzione dell’istruzione.

Il pensiero divergente
Se il sistema scolastico che l’Europa sta cercando di riformare nasce con la rivoluzione industriale, ben due secoli fa, è chiaro che oggi non può che risultare obsoleto, perché rispondente a un modello di sviluppo economico ormai sorpassato: la divisioni in classi, standardizzate per età, i programmi, la divisione e la specializzazione nelle varie materie, finanche il suono della campanella richiamano la linea di produzione delle fabbriche. Oggi è la stessa concezione dell’educazione che deve cambiare. Sono in molti a parlare sempre più spesso del “pensiero divergente” come paradigma di un nuovo tipo di educazione. Il mondo di oggi non è più organizzato in modo lineare come le catene di montaggio ma è fatto di informazioni e stimolazioni sensoriali un tempo inimmaginabili, con cui tutti noi e soprattutto i più giovani, si trovano a dover fare i conti. Una scuola capace di risvegliare il senso critico per filtrare e utilizzare correttamente le tante informazioni che bombardano i ragazzi da tutti i lati (Pc, Tv, Ipad, Iphone ecc), che sappia valorizzare la creatività e i talenti individuali come una risorsa per l’apprendimento in gruppo piuttosto che come un impedimento, che aiuti a trovare più soluzioni a uno stesso problema: di questo c’è bisogno nel nostro tempo. Queste probabilmente possono essere le basi da cui partire per rinnovare il sistema formativo nel nostro Paese e in Europa, affinché l’istruzione possa tornare a essere realmente utile per il futuro delle nuove generazioni e percepita come tale dagli stessi ragazzi.
L’Italia ha le risorse umane, professionali e culturali per riuscire a essere in prima fila in questa rivoluzione culturale che verrà ma, investimenti e ricambio generazionale sono i punti imprescindibili per raggiungere questa meta.

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