L’estate sta finendo e un anno se ne va… ci ricorda una vecchia canzone dei Righeira. È proprio il momento migliore per prendere la rincorsa, per dare uno sguardo introspettivo ed esteriore al nostro “essere”. Com’è che ci troviamo qui? Che volevamo fare? Quali itinerari abbiamo percorso? Rivolgere a noi stessi queste ed altre domande, forse ci aiuta ad affrontare l’autunno caldo, i problemi dell’euro traballante, l’Ilva, l’aumento di… quasi tutto ecc. Una intervista del 2010 a Gregg Braden, scienziato visionario e grande comunicatore, a proposito dei cicli cosmici e storici ci indica ineluttabilmente come bisogna guardare al passato per interpretare il futuro e fare qualcosa, quantomeno perché non sia catastrofico e lasciare aperta la porta della speranza.
Domande come “che fine ha fatto l’Impero Romano?”, “che fine ha fatto la Grande Italia?”, “che fine ha fatto almeno l’Italia del dopoguerra, quella del reinserimento nel contesto europeo?” al di là degli autoincensamenti più o meno velleitari o illusori, per motivi più o meno strumentali o sciovinisti, sembrano quiz da settimana enigmistica sotto l’ombrellone, e potrebbero esserlo in un’ottica convenzionale e superficiale; ma se consideriamo un’altra impronta, un altro accento, non è così, ed anzi troviamo spunti di notevole interesse.
Non ho nessuna intenzione, con questo caldo, di addentrarmi in considerazioni di carattere storico (la precisione e la ricerca dei riscontri nella ricostruzione degli eventi), sociale (i riferimenti fondamentali e le argomentazioni di convenienza nell’organizzazione generale della vita pubblica) e neanche morale (il senso delle cose in rapporto ai valori poi affermatisi nella vita civile). Seguirò un percorso più terra-terra, certamente a me più congeniale, dotato, tuttavia di una sua valenza e di un obiettivo, non so fino a che punto conseguito o solo ricercato (anche questo, peraltro, non disprezzabile di per sé), illuminante per quello che ciascuno investe nel futuro, guardando sia alle appartenenze in generale, sia al proprio particulare.

 

 

Un abito, lo specchio e la concezione antropomorfica dello Stato
Una persona che si guarda davanti ad uno specchio per scegliere un vestito da indossare, anche se, in vario modo, certo, influenzato dal contesto, si pone forse il problema se quell’abito incontrerà il plauso di storici, sociologi, moralisti? No! Guarderà solo se è di suo gusto o no, se va bene per il suo tipo, se pone in risalto, o meno, le sue qualità. Non altro.
Che c’entra questo? Qualcuno può fondatamente chiedermi, confuso e allarmato.
Beh, c’entra se si ha riguardo ad una concezione antropomorfica dello Stato, così come di qualsiasi altra realtà istituzionale o comunità, una Città, un’associazione, o addirittura un Grande Impero (in Estremo Oriente, da dove tutti proveniamo, seguendo il corso del Sole, non si distingue nemmeno l’immagine dell’Imperatore da quella dell’Impero).
Trasmissioni televisive che si occupano di argomenti attinenti, squarci di storia, di grandi realtà architettoniche, misteriosi presidi di religione e di potere (mi riferisco ai vari Superquark, Voyager, Impero, ecc.) vanno in questo senso, puntando principalmente sulla suggestione, sull’effetto, proprio come quando qualcuno prova un vestito davanti ad uno specchio.
Tutto questo va bene, è un buon approccio, alla luce della antropomorfizzazione di Entità dotate, in senso lato, di una loro personalità, ancorché mutuata dagli adepti, fondatori, sottoscrittori, consociati e quant’altro, ma può dirsi metodologicamente conforme alla Ragion Pura? Certamente sì in presenza di eccelsa autorizzazione. L’insigne maestro Erasmo da Rotterdam, vissuto tre secoli prima di Immanuel Kant, nel suo Elogio della Follia, espressamente afferma: “Mi rendo conto che la natura ha infuso l’amor proprio oltre che nei singoli individui, anche in ciascuna nazione e persino nelle città.” Viene, in tal modo, sancita, una volta per tutte, l’identità di una città, una nazione o altro ente, non in base a collegamenti storici, valutazioni socio-economiche, giudizi morali ecc., ma a proprie specifiche qualità: il carattere, la diligenza, l’intelligenza, la disponibilità, le propensioni, come se si trattasse, appunto di una persona: Bologna è dotta, Venezia nobile, Roma eterna, Parigi è vanitosa, l’Egitto è misterioso, la Grecia è pacifista, la Turchia bellicosa e così via.
Siamo quindi nell’ambito della ortodossia scientifica, non certo del pettegolezzo; il problema, piuttosto, è di correttezza, sincerità e completezza dell’informazione (il solito problema in Italia), e qui si fa giustizia anche dei luoghi comuni.

 

Il punto di partenza
Ritornando alle trasmissioni di cui sopra ho fatto rapida menzione, non intendo assolutamente affermare che sono null’altro che un resoconto di rose e fiori, questo no; sono tuttavia, certamente, edulcorate, anche per quanto riguarda la scelta degli argomenti. Manca insomma l’occhio spregiudicato e indagatore sulla cancrena divorante, sulle caverne oscure, sul corrosivo dall’interno, di temi che proiettano inquietanti riflessi anche sui tempi moderni, ed è, invece quello che ci riguarda più da vicino, quello che più può darci preziose lezioni di vita e di pensiero.
Fatte tutte queste premesse, e sul loro indispensabile presupposto, possiamo ritornare al “che fine hanno fatto?”.
Ricordiamo e non dovremmo mai dimenticare che l’Italia, o meglio le Provincie Italiane, in quanto più strettamente legate a Roma, erano, con quest’ultima in posizione preminente, la Potenza dominante in senso assoluto nel Mondo. Questo, bene o male, è il nostro PUNTO di PARTENZA (poi vedremo il PUNTO di ARRIVO). Nei Musei storici e archeologici di tutto il Nord Europa, sono esposti antichi reperti e decorazioni dove, in modo chiaro e inequivocabile è espressa la sudditanza incondizionata delle amministrazioni locali verso i Consoli romani.
Che fine ha fatto, allora l’Impero Romano? Ci chiediamo, nei termini detti.

 

L’impero di Marc’Aurelio
Va premesso ancora che la lunga caduta dell’Impero Romano classico è durata diversi secoli; dal raggiungimento della sua massima espansione territoriale, con Marco Aurelio, diciamo (II secolo d.C.), e siamo già a quasi 1000 anni dalla fondazione di Roma, al V secolo (3 secoli ancora. Diciamo che 300 anni in tutto di egemonia, ancorché contrastata, sarebbero di per sé, un obiettivo top e, praticamente, irraggiungibile per qualsiasi Nazione o Superstato moderno), per quanto riguarda l’Impero Romano d’Occidente; non è possibile, quindi, percorrerla in questa sede. Dobbiamo necessariamente qui fermarci all’”inizio della fine”, in altri termini dove la strada prese un’altra piega. Non possiamo chiederci, in particolare, attraverso quali specifiche successioni logiche e cronologiche, ognuna delle quali richiederebbe approfonditi esami critici, si sia verificata la lunga crisi che culminò nella sua fine. Tantomeno è lecito interrogarsi su quello che sarebbe accaduto se le cose fossero andate diversamente, dal momento che, come è notorio, la storia non si fa con i “se” e con i “ma”.
Quanto alle sorti dell’Impero Bizantino, che ebbe una più lunga, articolata, sofisticata e travagliata durata, non possiamo neanche farne cenno, nell’ambito delineato. Dobbiamo necessariamente lasciar perdere altresì il Sacro Romano Impero ed altri autorevoli simulacri del potere espansivo e della diffusione culturale della romanità (l’impero millenario direbbe Musil), anche attraverso i Cesari. Così come tralasceremo (anche se l’argomento non è di poco momento e richiede, probabilmente una trattazione a parte) l’analisi dell’epopea romana, quale matrice dell’Imperialismo che ha in modo incisivo caratterizzato momenti storici delle successive ere, con nefaste conseguenze, ma anche con circolazione di idee; astenendoci qui da esprimere giudizi sulle une e sulle altre, conformemente a quanto premesso.
Altre domande che resteranno qui senza risposta, sono quelle attinenti a se è stato un bene o un male che, ad un certo punto, l’Impero Romano sia finito; se abbiano sofferto e quanto i popoli, le comunità marginali, le classi meno forti, nella lunga transizione; se può, in ogni caso, affermarsi che, quanto meno, sono potuti emergere da tutto l’iter qui in trattazione, principi più moderni e adeguati all’evolversi dei tempi.

 

L’abrogazione dei giochi olimpici
Partiamo, allora, da quello che è stato, a mio avviso, il momento di massima espansione ideale dell’Impero Romano: l’imperatore Costantino, con l’editto di Milano del 313 d.C. sancì la libertà assoluta di tutti culti e tutte le religioni nell’Impero, dopo che i suoi predecessori, non senza frequenti cambiamenti anche dell’identità, della mentalità, dell’etnia stessa di governati e governanti e varie lotte intestine, avevano già concesso la cittadinanza romana a tutti i popoli dell’Impero, e notevolmente favorito l’emancipazione degli schiavi.
Dobbiamo, ora soffermarci sulla figura di Teodosio I, dopo altre aspre vicende, eletto Imperatore nel 379 d.C.. Restò in carica per 16 anni fino alla morte. Furono gli ultimi 16 anni dell’Impero Romano unificato.
Siamo a 66 anni dall’editto di Costantino, e qui cambia il Mondo: dalla libertà di professare il proprio Credo in tutto l’Impero, all’editto di Tessalonica del 380 con il quale la Religione Cristiana diventava religione unica e obbligatoria dello Stato, con conseguente persecuzione dei non Cristiani. Ricorderemo la rappresaglia contro la popolazione di Tessalonica, nel giugno del 390, per una questione strumentale che nascondeva l’insofferenza popolare per l’imposizione forzata della Divinità in cui credere. 7000 furono le persone trucidate, con uno stratagemma. Ricorderemo che Ambrogio, vescovo di Milano, condannò “severamente” tale azione imponendo all’imperatore mesi di penitenza e una richiesta di perdono, concessa nel dicembre dello stesso anno. Ricorderemo la sistematica distruzione degli splendidi Templi pagani con il beneplacito di Ambrogio, così come l’abrogazione dei Giochi olimpici, ritenuti di chiara impronta pagana, venendosi così ad interrompere una tradizione ultramillenaria, l’interdizione punita con condanna a morte dall’accesso ai Templi pagani e il divieto di adorazione di statue, la persecuzione dei cristiani che si riconvertivano al paganesimo, l’inqualificabile distruzione della biblioteca di Alessandria nel 391, mettendosi così un sugello tombale su tutta la storia, soprattutto più remota, dell’Antico Egitto e una strozzatura mai più risolta sulla provenienza della nostra Civiltà dalla Grecia preclassica e classica; atto di barbarie inaudito se si pone mente al fatto che, all’epoca, per ovvi motivi, di ogni libro, nel senso originario del termine, esisteva una sola copia, massimo due.

 

Teodosio e Ambrogio, i milanesi
Ricorderemo, infine che sia Teodosio che Ambrogio (ambedue morti a Milano, il primo nel 395, il secondo nel 397), sono venerati come Santi dalla Chiesa orientale il primo e dalla Chiesa Cattolica il secondo. Si è quindi, definitivamente voltato pagina, ma per volontà degli uomini; è assolutamente arbitrario chiamare in causa Dio, qui.
Dopo la morte di Teodosio, l’Impero fu spaccato in due, secondo la sua volontà, e diviso tra i due figli: Onorio in Occidente e Arcadio in Oriente; nonché ulteriormente spezzettato e suddiviso in una miriade di prefetture e diocesi. 80 anni dopo l’Impero finì.
E qui, per il momento, ci fermiamo, ma non possiamo esimerci dal notare e far notare, proprio in virtù dell’impostazione data, che nessun Superquark di turno ha mai chiaramente fatto presente che è semplicemente scandaloso che la Chiesa Cristiana, dimenticati gli insegnamenti di Cristo, già 400 anni circa dopo la sua morte, si sia dedicata al conseguimento di obiettivi di Potere, e abbia provocato stermini di massa, distruzioni di opere d’arte, e meravigliose testimonianze dell’antichità, ottenebrato la cultura ed abbia infine santificato coloro che resero artefici di simili nefandezze.
Chi sa come mai, questo assordante silenzio. Ne sanno forse qualcosa Piero Angela e suo figlio Alberto?

1/ Continua

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