Approda finalmente in consiglio regionale dell’assemblea legislativa dell’Emilia Romagna la vicenda della chiusa di Casalecchio che da quasi 20 anni, senza pagare nessun canone di concessione, gestisce la chiusa di Casalecchio, una sorta di rubinetto che permette di prelevare l’acqua dal fiume Reno, come se fosse una cosa privata. Lo scorso 19 luglio, il consigliere M5S Andrea Defranceschi, ha infatti sollevato un’interrogazione regionale su questa vicenda chiedendo chiarimenti sul perché l’istruttoria per il rilascio della concessione sia durata tanto tempo e soprattutto chi e perché, in Regione, per 11 anni ha permesso che il consorzio prelevasse l’acqua pubblica del Reno senza pagare alcun canone.

Intanto però spuntano nuovi risvolti sulla vicenda, risvolti che riguardano un’ordinanza della Corte Costituzionale che ha salvato il consorzio dalla soppressione e anche una nuova società, la Gacres srl costituita nel 2008 e partecipata interamente dal Consorzio della Chiusa di Casalecchio, che opera come soggetto strumentale al consorzio e per le sue stesse finalità. In pratica: nuove poltrone, nuovo bilancio il tutto per svolgere le stesse attività del consorzio.

I tempi biblici dell’assessorato all’Ambiente
L’interrogazione presentata da consigliere Defranceschi potrebbe chiarire, intanto, una parte dei quesiti rimasti tutt’oggi senza risposta. “Vogliamo sapere – spiega Defranceschi – per quale motivo la Regione abbia lasciato trascorrere tanti anni senza richiedere il pagamento dei canoni; se sia prevista una sanzione e soprattutto, se, a seguito di questa situazione, non sia opportuno rivedere la decisione di concedere al Consorzio la concessione di costruire una centrale idroelettrica alla Canonica”.
Adesso l’assessore regionale all’Ambiente, Sabrina Freda, alla quale, da circa due mesi e mezzo, stiamo chiedendo dei chiarimenti su questa vicenda senza ottenere alcuna risposta, dovrà rendere conto quantomeno della “lentezza” dei suoi uffici tecnici che per 11 anni, non si sono preoccupati di incassare alcun canone per l’utilizzo della chiusa.
Stando al contenuto dell’interrogazione di Defranceschi, il piano di rientro degli arretrati ipotizzato dalla Regione, le ha permesso di incassare solo una parte, circa 69mila euro. Una parte di un totale che non è neanche chiaro a quanto ammonti perché in alcuni documenti si parla di 134mila euro, in altri supera le 200mila.

I conti che non tornano
Fino ad oggi, nessun funzionario ci ha saputo chiarire la vicenda se non adducendo argomentazioni confuse e contraddittorie tra di loro. Se da un lato, il dirigente preposto al servizio tecnico di bacino, competente per il rilascio della concessione, Ferdinando Petri, ci ha spiegato che “le somme richieste al consorzio nel piano di rientro, erano dovute a titolo di risarcimento per il prelievo abusivo di acqua”, così non è per il direttore generale settore ambiente della Regione, Giuseppe Bortone che, smentendo quanto affermato dal suo funzionario, ha invece chiarito che “l’istruttoria appena conclusa fa parte di un normale iter di rinnovo della concessione che nessuno ha mai messo in dubbio”. “Bisogna però porre l’attenzione su una nota positiva – continua del Bortone – abbiamo da poco concluso quest’istruttoria rilasciando la concessione alla chiusa. Si è finalmente costituita una cabina di regia regionale, di cui fanno parte tutti gli enti competenti, per la gestione delle acque. Lo consideriamo un successo”.

Le distrazioni pubbliche
Sarà pure un successo riuscire a chiudere un’istruttoria durata 50 anni (40 davanti al ministero dei Lavori pubblici e 10 presso gli uffici regionali) durante i quali comunque il consorzio ha continuato a prelevare l’acqua del Reno, senza neanche pagare i canoni per ben 18 anni. Il business dell’acqua ha permesso fra l’altro alla società di realizzare due centrali idroelettriche. La prima costata circa 10 miliardi delle vecchie lire (fondi del Comune e, per una piccola parte europea); la seconda sta per essere costruita dopo un procedimento da poco concluso che ha coinvolto una decina di enti, primo fra tutti la regione Emilia Romagna.
“Fino ad ora – continua Defranceschi – non abbiamo avuto notizie di gare d’appalto per queste concessioni per cui vorremmo anche potere approfondire i criteri con cui vengono selezionati i concessionari. Per questo intendiamo coinvolgere dei tecnici per chiarire l’aspetto. Del resto l’acqua è destinata a diventare una risorsa sempre più preziosa ed è giusto che si ottenga la massima trasparenza sull’intera faccenda”.
Sarà un’impresa ardua anche perché sono molti gli aspetti della vicenda che non emergono dall’accesso agli atti effettuato dal consigliere Defranceschi. Manca, per esempio, tutto l’incartamento relativo all’istruttoria per il rilascio della concessione. Non c’è menzione, inoltre, di una particolare vicenda che, ai fini dell’istruttoria ha certamente assunto un rilievo notevole.

I vantaggi di essere privati
La legge regionale 16 del 1987 aveva disposto la soppressione dei consorzi idraulici (considerati enti pubblici perché dotati di capacità impositiva in quanto chiedevano tributi ai consorziati). Il passaggio delle relative funzioni sarebbe andato ai consorzi di bonifica territorialmente competenti (in questo caso il consorzio della bonifica renana). Le deliberazioni della giunta n. 2151 e 2154 del 26 ottobre 1994 attuavano il disposto della legge individuando un elenco di enti da sopprimere (tantissimi in tutta la regione). Tra questi il consorzio della chiusa di Casalecchio che, però, si oppone alla delibera regionale con un ricorso al Tar in cui asserisce l’incostituzionalità della legge regionale. Per la difesa, la legge regionale non può chiudere arbitrariamente un ente privato. Le argomentazioni della difesa sono state accolte dalla corte costituzionale che si è pronunciata con l’ordinanza n. 13 del 2002 riconoscendo la natura privata del consorzio e annullando le delibere della Regione.
Quest’ordinanza ha salvato il consorzio dalla soppressione (e, insieme ad esso, altri 13 enti nel Parmense) soffiando di fatto le gestione della chiusa di Casalecchio al Consorzio della bonifica renana che la legge individuava come realmente competente. Non si sono salvati dalla chiusura però tutta una miriade di consorzi idrici sparsi sul territorio della Regione sui quali la scure della soppressione è calata impietosamente ancorché la legge regionale sia stata dichiarata incostituzionale.

Un consiglio di amministrazione low profile
Altro aspetto poco chiaro. Nel 2008 il Consorzio della chiusa costituisce un’altra società: la Gacres srl. Si tratta di una società partecipata interamente dai tre consorzi idrici bolognesi, ossia il Consorzio della Chiusa di Casalecchio, dal Consorzio degli Interessati nelle Acque del Canale di Savena e dal Consorzio della Chiusa di San Ruffillo e del Canale di Savena che in realtà sono un unico ente ossia, sempre il Consorzio della chiusa di Casalecchio. Di questa società, che, ufficialmente, “opera come soggetto strumentale agli stessi Consorzi per le finalità degli stessi” si sa pochissimo. Nell’accesso agli atti effettuato dal consigliere Defranceschi, non figura nemmeno un documento firmato da questa azienda. Buio completo. Come pure buio completo c’è sulla composizione del consiglio di amministrazione del Consorzio della chiusa che non è individuabile dal sito internet. Non si sa chi sono i consiglieri. Non si conoscono i bilanci dell’ente perché sul sito non sono pubblicati. Abbiamo provato a chiedere chiarimenti al direttore Marchi ma, poiché è in ferie e nessuno lo sostituisce, bisogna aspettare il suo ritorno per potergli rivolgere i quesiti.

Il canale a rischio, la denuncia di Legambiente
Intanto nei giorni scorsi Legambiente Bologna ha denunciato le cattive condizioni del canale Navile che da mesi è completamente all’asciutto. Canale che dovrebbe essere manutenuto dal consorzio. La mancanza d’acqua rende il corso particolarmente insalubre a causa dei tanti scarichi fognari abusivi che vi si riversano. “Riteniamo che accanto al problema della siccità – ha spiegato Nino Pizzimenti, di Legambiente Bologna – si aggiunga anche un uso non accorto dei canali stessi. Si pensi che l’anno scorso abbiamo registrato una moria di oltre 600 quintali pesci”. La lettera con cui l’associazione ambientalista chiede che si monitori la situazione del Navile individuando e quindi bonificando le fonti di inquinamento, è indirizzata al Comune di Bologna, alla Regione, all’Arpa e ad Hera ossia i principali soggetti che compongono la cabina di regia sulla gestione dei canali annunciata dal direttore regionale Bortone. Il timore è che questa cabina di regia possa replicare il flop realizzato dal tavolo di lavoro istituito l’anno scorso dall’assessore comunale di Bologna Matteo Lepore (in agosto) proprio per creare un coordinamento tra questi stessi enti e che in un anno non ha prodotto nessun risultato a dispetto dell’imprinting di velocità dato dallo stesso Lepore che all’epoca preconizzava di riuscire ad arrivare ad un accordo “entro un paio di mesi”.

In allegato:
L’informativa dell’assemblea regionale
La lettera di Legambiente sul canale Navile

Assemblea_Legislativa_Regionale_Servizio_Informazione_luglio_2012.pdf
Legambiente_lettera_al_sindaco_di_Bologna_Canale_Navile_luglio_2012.pdf

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