Secondo lo studio pubblicato dalla Banca centrale europea, le società di rating danno un voto più alto alle banche con le quali fanno più affari.
Il voto di rating è fondamentale nell’attuale sistema finanziario, dice l’introduzione (“non tecnica”), ma la sua attendibilità è quantomeno poco scientifica. L’introduzione tiene inoltre a precisare che lo studio non è la posizione della BCE ma quella dei tre estensori del rapporto, vale a dire Harald Hau, Sam Langfield e David Marques-Ibanez.
Sul fatto che Lehman Brothers avesse la doppia A il giorno prima del crack, è ormai cronaca ampiamente discussa e risaputa, ora però a dirlo sono tre studiosi che hanno approcciato l’argomento da un punto di vista scientifico.
Gli studiosi della Bce, che da tempo stanno lavorando a nuove norme per regolamentare le agenzie di rating, hanno preso il databese della piattaforma Dealogic che ha 1.189 soggetti emettitori di titoli derivati asset-backed-securities che tra il 1990 e il 2012 hanno emesso titoli per un valore di 6 trilioni di dollari.
Quindi sono stati presi i primi 200 emettitori che da soli hanno il 90% del mercato e hanno incrociato i dati con le 369 banche che hanno ricevuto i migliori voti; 53 istituti erano presenti in entrambe le liste e gli altri 147 non sono banche e che 10 delle 53 banche gestiscono il 66% del valore emesso in origine.
Ergo, le agenzie di rating tendono a dare voti alti alle banche più grandi e a quelle con il numero più alto di derivati.
Nelle loro conclusioni, Hau Langfield e Marques sottolineano essenzialmente quattro cose:
1. Durante i “picchi” del ciclo economico (tipo nel 2007-2008, vedi Lehman) le agenzie di rating hanno meno beneficio nel produrre valutazioni ottimali, quindi hanno un incentivo a “chiudere un’occhio”;
2. L’approccio standard al rating, determinato dagli accordi di Basilea II, non garantisce affatto l’ottimalità delle valutazioni: questo si evince dall’assenza di relazione tra valutazioni e probabilità di default nel tempo;
3. le banche più grandi ricevono sistematicamente rating migliori, mentre rispetto ai governi le agenzie sono molto più severe. Gli autori ipotizzano quello che ci aspettiamo tutti, ovvero una serie di “incentivi economici conflittuali”, vale a dire interessi nel chiudere un’occhio;
4. le banche ricorrono ad ulteriori servizi presso l’agenzia di rating, ricevono sistematicamente un rating maggiore.
Gli autori infine formulano anche alcune proposte:
1. revisionare l’approccio al rating di Basilea II (ma siamo quasi giunti al III, quindi se ne stadiscutendo)
2. Supervisone rafforzata, per evitare il perpetuarsi del solito problema del “troppo grande per fallire”: la grande banca che investe spericolatamente non crolla non perchè è sana, ma perchè le agenzie di rating la tengono in vita “artificialmente”.
3. Un’apertura al pubblico dei bilanci delle banche: maggior trasparenza riduce il ruolo eccessivo delle agenzie, che a quel punto non possono mentire.
Bank rating, what determines their quality? WPS 1484 october 2012

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