Ogni anno in Italia tra le 700 e le 1200 persone restano vittima di lesioni che ne compromettono le funzionalità. L’età media dei pazienti colpiti è di 38 anni e nella maggior parte dei casi (55%) la causa principale sono gli incidenti stradali. La ricerca della dottoressa Melania Cusimano si occupa proprio di questo, ma la ricerca ha bisogno di finanziamenti, sempre più esigui.

 

Quale lo stato della ricerca in Italia sul fronte delle cellule staminali?

Con cellule staminali si fa riferimento a una vasta branca della scienza. Dobbiamo innanzitutto distinguere fra cellule staminali embrionali che vengono ottenute da embrioni e che sono in grado di dare vita a tutti i tipi cellulari e cellule staminali adulte, ovvero cellule pluripotenti, che sono specifiche di ciascun tessuto adulto, in grado di generare solo determinati tipi di cellule di quel tessuto. In Italia molti gruppi si occupano di questo campo andando dalle embrionali, con i limiti imposti dalla legge italiana, alle cellule staminali adulte, come ad esempio cellule mesenchimali, ematopoietiche e neurali.
Ad esempio all’interno del mio laboratorio da molti anni si occupano di cellule staminali neurali adulte ovvero cellule staminali del tessuto nervoso in grado di generare i tre tipi principali del sistema nervoso ovvero neuroni, astrociti e oligodendrociti. Il nostro laboratorio dapprima si è occupato di testarne l’efficacia terapeutica in un modello preclinico di sclerosi multipla, in seguito si è interessato anche ad altre patologie del sistema nervoso come l’ictus ischemico e la lesione midollare di cui mi occupo io.

Avete avuto ripercussioni negative dopo l’approvazione della legge 40/2004?

No, in quanto il mio progetto di ricerca si occupa di cellule staminali neurali adulte e non di cellule embrionali.
La legge 40/2004 infatti ha vietato l’uso per la scienza degli embrioni sovrannumerari ottenuti con le tecniche di fecondazione, riguarda quindi quei gruppi che si occupano di cellule staminali embrionali e comunque umane.

Nel caso specifico, a che punto è la sua ricerca sulle lesioni midollari?

Ho iniziato ad occuparmi di lesione midollare durante il dottorato di ricerca in Neurologia Sperimentale presso l’Istituto di Neurologia sperimentale dell’ospedale san Raffaele di Milano. Gli studi condotti hanno evidenziato che cellule staminali neurali adulte, trapiantate a livello della regione del midollo spinale danneggiata, determinano il recupero funzionale di topi fortemente compromessi. Inoltre non è stato evidenziato alcun effetto sfavorevole come conseguenza del trapianto. Gli esperimenti hanno inoltre mostrato che il meccanismo attraverso cui queste cellule determinano il recupero funzionale dei topi non è quello atteso di ‘cell replacement’, bensì è stata evidenziata una modulazione della risposta infiammatoria al danno che si traduce in un miglioramento della malattia sia dal punto di vista clinico che istopatologico. Questo studio che è stato pubblicato nel Febbraio 2012 sulla rivista scientifica «Brain» costituisce sicuramente un’importante evidenza che si unisce a quelle di altri gruppi che si occupano dello stesso argomento, anche se va ovviamente analizzato con cautela prima di poter avviare studi clinici in pazienti. Vanno infatti fatte delle considerazioni etiche in quanto i pazienti affetti i da lesione midollare oggi, grazie alle cure mediche, presentano un’aspettativa di vita paragonabile al resto della popolazione. Sottoporre quindi questi pazienti a delle cure sperimentali seppur potenzialmente in grado di migliorare la qualità della vita, rappresenta un rischio e bisogna quindi avere dati solidi sulla sicurezza ed efficacia prima di procedere in questa direzione.
Ultimamente mi sto invece occupando di testare l’effetto di un altro tipo di cellule staminali, in particolare cellule ottenute a partire da fibroblasti ottenuti dalla pelle che vengono prima ‘deprogrammate’ fino a farle regredire a cellule staminali embrionali e che poi vengono riprogrammate a cellule staminali neurali adulte. Questa strategia è sicuramente più complicata della prima, ma pensando ad un’applicazione della terapia in pazienti, è la più interessante in quanto consentirebbe di ottenere le cellule di partenza, appunto i fibroblasti, dai pazienti stessi evitando così eventuali problemi di rigetto che potrebbero presentarsi trapiantando cellule neurali adulte eterologhe.

Che ne pensa dei finanziamenti da parte dei privati?

Il progetto di cui ho parlato, pubblicato su «Brain», è stato finanziato da BMW Italia e da un’associazione di privati austriaca Wings for life. Il finanziamento da parte di privati in un momento in cui lo stato italiano dedica pochissimi fondi alla ricerca consente di portare avanti tantissimi progetti su cui altrimenti non si potrebbe lavorare infatti, i progetti di ricerca, come quello in cui sono coinvolta io, hanno purtroppo dei costi molto elevati. Purtroppo in Italia non esistono molte associazioni che raccolgono fondi per la ricerca sulle lesioni midollari e quindi per ottenere fondi è necessario guardare all’estero come nel caso del finanziamento da parte di wings for life.
Nel nostro caso abbiamo avuto anche l’opportunità di essere finanziati da BMW Italia che da molti anni finanzia il lavoro del laboratorio presso cui svolgo le mie ricerche.

Il progetto è finanziato da BMW Italia e dall’associazione Wings for life; perché secondo lei una casa automobilistica dovrebbe finanziare una ricerca simile?

Credo che BMW Italia abbia voluto lanciare un messaggio di impegno sociale. Ogni anno in Italia tra le 700 e le 1200 persone restano vittima di lesioni che ne compromettono le funzionalità. L’età media dei pazienti colpiti è di 38 anni e nella maggior parte dei casi (55%) la causa principale sono gli incidenti stradali. Credo che BMW Italia abbia voluto comunicare un’attenzione alla sicurezza che non significa solo costruire automobili sicure, in grado di prevenire gli incidenti e minimizzarne le conseguenze. Significa anche impegnarsi per porre rimedio ai danni che gli incidenti possono provocare.

In Italia, secondo studi dell’Inail, sono circa 10mila le persone con lesioni midollari più o meno invalidanti. E il trend è di circa duemila nuovi casi all’anno (conseguenti, in prevalenza, da infortuni sul lavoro e incidenti d’auto). Il costo sociale del fenomeno è elevatissimo. Esistono nel nostro Paese trials preclinici o clinici sull’uso delle cellule staminali come rimedio?

Attualmente in Italia non sono in corso trials clinici sull’uso di cellule staminali in pazienti colpiti da lesione traumatica midollare. Sono numerosi invece i gruppi che se ne occupano a livello preclinico ma in modelli animali. Nel mondo invece sono diversi i trials clinici in pazienti affetti da questa patologia. Attualmente, ad esempio, uno studio svizzero sta valutando la sicurezza e l’efficacia di cellule staminali neurali in pazienti affetti da lesione midollare.

A primavere l’Italia tornerà a votare. Che cosa chiederebbe al nuovo ministro della sanità, soprattutto per quanto riguarda il campo della ricerca?

Chiederei maggiore attenzione al nostro campo, di investire molto di più di quanto si è fatto fino a questo momento sulla ricerca. Di investire dando la possibilità ad un giovane che ha ultimato un percorso di studio (dalla scuola al dottorato di ricerca) di proseguire, o almeno provarci, in maniera più semplice e lineare la carriera da ricercatore. Alla fine del dottorato invece ci si trova davanti ad un bivio e sono molte le persone che decidono di cambiare lavoro oppure di recarsi all’estero per proseguire la loro carriera. Non tutti i laboratori hanno infatti la possibilità di finanziare lo stipendio di giovani che vogliono continuare a lavorare nel campo della ricerca.

Servono più leggi (per snellire, per agevolare le detrazioni) o più finanziamenti?

Credo entrambe le cose. I finanziamenti da parte dello Stato italiano sono da sempre stati scarsi e difficilmente accessibili, soprattutto ai giovani ricercatori. Spesso è necessario cercare finanziamenti da parte di associazioni private in Italia e all’estero. Nel caso specifico delle lesioni midollari, nonostante attualmente non esista una terapia non è molta l’attenzione che viene data alla ricerca in questo campo ed esistono poche associazioni che finanziano.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *