La scorsa settimana accennavamo al fatto che l’insoddisfazione dell’editore per una distribuzione ritenuta non soddisfacente può determinare un irrigidimento dei rapporti tra le parti tale da spingere o il distributore a non rinnovare il contratto oppure l’editore a cercare miglior sorte altrove.

Il rapporto di distribuzione è regolato da un contratto tra due parti, distributore ed editore, che regola per filo e per segno la relazione, prevedendo una clausola per la quale il contratto, di solito di durata annuale, si considera automaticamente rinnovato se nessuna delle due parti lo “denuncia” entro il termine del primo semestre di vigenza. Quando è ormai passato qualche anno, spesso non ci si pensa più e si dà per scontato il rinnovo. Ma in realtà la spada di Damocle è sempre lì, e può oggettivamente pendere sulle nostre teste per decenni.
In sostanza, il contratto dura un anno – diciamo da gennaio a dicembre – e per potervisi svincolare una delle due parti dovrebbe inviare una raccomandata con ricevuta di ritorno all’altra con la quale rendere nota la volontà di risolvere il rapporto. Questa raccomandata dovrebbe essere spedita entro la fine del primo semestre del contratto, così da poter essere liberi alla fine del secondo semestre, ma molti accordi prevedono una “zona grigia” di 180 giorni per mettere del tutto fine al rapporto.

Naturalmente, essendo in Italia ne succedono di tutti i colori, e spesso sono gli editori i primi a non mantenere un comportamento completamente rispettoso del contratto; così, non è raro che vi siano editori che prima firmano con altri distributori, cominciando a distribuire i loro libri col nuovo arrivato, poi rendono nota la volontà di “divorziare” al distributore. Questo naturalmente non vuol dire che i “cattivi” siano sempre gli editori, la cui vita e sopravvivenza è indiscutibilmente nelle mani dei distributori, i quali ultimi non sempre onorano completamente gli accordi o comunque mantengono le aspettative (ammesso che le aspettative degli uni e degli altri coincidano davvero…).

Fatto sta che, nel momento in cui finisce un rapporto, come succede al termine di tutte le storie d’amore, volano i piatti e – con o senza l’intervento di un tribunale – è comunque sempre l’editore a dover fare le valigie e a cambiare casa. E per un editore fare le valigie può rappresentare uno choc non da poco, perché nel corso degli anni, tra i volumi distribuiti nelle librerie e quelli fermi nel magazzini del distributore per le ricariche o per normali giacenze, le copie possono contarsi a migliaia, a decine di migliaia, a centinaia di migliaia. Recuperare i libri vuol dire allora spendere un capitale in trasporto e una cifra spropositata per lo stoccaggio in un magazzino affittato o di proprietà di quanto recuperato, che poi dovrà essere girato al nuovo distributore. Di fatto, cambiare distributore può voler dire inoltre restare fuori dal mercato per mesi – contrattualmente almeno sei mesi – prima che il nuovo distributore possa diventare operativo, che le anagrafiche nazionali siano aggiornate, che i librai abbiano di nuovo rifornito i titoli, e questo si traduce in un’emorragia di denaro e in moltissime incognite per l’editore. Per questo prima di cambiare distributore qualsiasi editore ci pensa molto bene, e più volte, poiché un salto del genere lo si fa solo se davvero convinti. E possibilmente lasciandosi in buoni rapporti con il distributore dal quale si va via.

Insomma: meglio cercare di andare d’accordo e lavorare in un clima di trasparenza e cooperazione che non fare i furbetti o i rompiscatole. Perché, come si dice, si sa quel che si lascia, ma non quel che si trova… (Fine quinta e ultima parte)

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