L’importante non è partecipare, come diceva De Coubertin, ma aderire a tutti gli effetti, del resto la conciliazione non è uno sport. Mentre Via Arenula, ad appena un mese dall’entrata in vigore della normativa sulla conciliazione obbligatoria, ritornava sull’argomento proprio per ribadire l’obbligatorietà del principio, dall’altra parte del Tevere il Tribunale amministrativo del Lazio decideva di passare la palla alla Corte costituzionale.

Per la mediazione occorre ricordare il principio de «L’operatività della condizione di procedibilità per talune materie», così ha sottolineato il ministero della Giustizia con una circolare datata 4 aprile (leggibile in allegato).
La decisione del Tar
I giudici amministrativi con l’ordinanza 03202/2011 depositata martedì 12 aprile hanno dichiarato la rilevanza di alcune questioni di legittimità costituzionale sollevate dagli avvocati (Organismo unitario dell’Avvocatura in primis) contro il decreto legislativo 28/2010 e contro il regolamento di attuazione (Dm 180/2010) che appunto disciplinano la mediazione obbligatoria.
Il Tar ha comunque deciso di non bloccare la legge, ma la Consulta dovrà decidere sulla costituzionalità dell’articolo 5 del DLgs 28/2010 che introduce proprio l’obbligatorietà (anche l’ordinanza del Tar è leggibile in allegato).
La circolare del Ministero
In attesa della decisione dei giudici delle leggi, a sollevare qualche perplessità è proprio la circolare emanata da via Arenula il 4 aprile.
Dice il Ministero, non è corretto l’inserimento nel regolamento di procedura dell’Ente di una disposizione che autorizza la segreteria ad emanare una dichiarazione di conclusione del procedimento per mancata adesione del convenuto ogni volta che questa non si è presentata, non avendo comunicato tempestivamente la propria adesione oppure comunicando di non volere aderire.
Le “stranezze” della circolare
Ad una prima lettura sembra infatti che i chiarimenti ministeriali si preoccupino prevalentemente della ipotetica mala fede degli operatori. Perchè intervenire solo dopo che sono stati depositati e approvati oltre duecento regolamenti di procedura, che contengono le norme criticate dalla circolare, se a dare l’imprimatur è stata sempre via Arenula? Perché non effettuare un controllo preventivo o soprattutto man mano che i regolamenti arrivavano?
Ma le “stranezze” della circolare non finiscono qui.
Innanzitutto, la circolare intende fare chiarezza su un punto che, a rigor di logica, dubbi non ne sollevava: che succede se una delle due parti non vuole “conciliare”? Secondo il ministero l’attore (colui che ha iniziato la causa) deve comunque presentarsi davanti al conciliatore, pagare per intero l’indennità dovuta (compresa una parte del convenuto!) e aspettare la dichiarazione di conclusione del procedimento. Questo perché, dice via Arenula, il mediatore potrebbe formulare con l’unica parte presente una variazione e soprattutto un ridimensionamento della sua richiesta da comunicare alla controparte. Riassumendo: faccio un tentativo di conciliazione, la controparte non vuole e non si presenta, io devo presentarmi comunque per sentirmi dire di “rivedere” le mie posizioni in modo da poter formulare al “grande assente” una nuova proposta.
Nello specifico la lettera del 4 aprile dichiara “non corretto” l’inserimento nei regolamenti di procedura degli organismi di conciliazione una norma secondo la quale la controparte è tenuta a depositare un atto di adesione al tentativo di mediazione perchè, in caso di mancata adesione, il responsabile dell’organismo rilascia un attestato che assolve la condizione di procedibilità (articolo 5 D.Lgs 28/2010). Una soluzione, questa, che nei regolamenti di procedura era stata inserita proprio per razionalizzare: in caso di accertamento di mancata comparizione all’incontro, il mediatore avrebbe percepito un terzo del compenso e l’attore avrebbe pagato solo i 40 euro per l’avvio del procedimento.
Questo perché, dice sempre la circolare, il mediatore può formulare la proposta anche in caso di mancata partecipazione di una o più parti. Ma all’articolo 11 del decreto 28/2011 si stabilisce che il mediatore deve formulare una proposta solo se c’è la richiesta concorde delle parti. È ormai entrata a far parte della cultura della mediazione, già sperimentata per altri riti come quello del lavoro, che al contrario il potere del mediatore di formulare la proposta non può esserci se non si è in presenza di una richiesta congiunta.
Da via Arenula in definitiva si sostiene che l’interpretazione servirebbe ad imporre “l’operatività della condizione di procedibilità” e ad evitare furbizie e scorciatoie. Forse le furbizie no, ma noi avevamo capito che le scorciatoie erano le benvenute per tagliare i tempi della nostra malandata giustizia. O avevamo capito male?

Ministero della Giustizia, circolare del 4 aprile 2011
Tar Lazio ordinanza 03202/2011 depositata il 12 aprile 2011

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