Non per voler rigirare il coltello nella piaga o per mettere sempre alla berlina il cosidetto sistema-Italia. Ma a tutto c’è un limite. Dal momento che il limite si è di gran lunga superato, da molto tempo, è ora di annotare tutto ciò che non funziona, per potersi rimettere in carreggiata e non diventare, non solo il fanalino di coda d’Europa, ma di tutti i sistemi stellari conosciuti.

A coloro che mi accusassero di metterla troppo in burla, voglio raccontare qualcosa di ancora più divertente. Così ne avranno ben donde.

Milioni di famiglie (ma tante altre, no!) hanno ricevuto per posta il voluminoso incartamento relativo al censimento Istat 2011. Bellissima notizia: si potranno inviare i dati on-line, senza scomodarsi dalla poltrona. Beh…in un Paese che da anni sostiene la necessità di far entrare le amministrazioni pubbliche, e tutto ciò che ruota attorno ad esse, nell’era digitale, è un segno tangibile dell’impegno profuso.

Bene. 9 ottobre 2011, mattino autunnale tutto sommato caldo….modem e router delle famiglie sono accesi… i computer hanno già completato tutta la fase di avviamento…i moduli del censimento sono ordinati sulla scrivania…mouse e tastiera rispondono alla perfezione…il browser si apre…si digita l’indirizzo web..ecco, ci siamo…si clicca su “enter”…..e….. Istat, abbiamo un problema!

Silenzio cosmico. Il sistema è irraggiungibile per sovraccarico di accessi.

Giustamente in molti hanno sottolineato che al di là del problema tecnico, punta dell’iceberg della questione, ci troviamo a fare i conti con un dramma strutturale di ben altre dimensioni. L’Audiweb ci dice che 26 milioni di italiani sono connessi, che si naviga per più di un’ora la giorno pro capite, l’infrastruttura non è certo delle migliori del mondo in termini di qualità, ma esiste ed è sufficientemente diffusa. Questi dati non faranno certo saltare sulla poltrona nessun abitante degli altri paesi europei, ma sono comunque dati che ci confortano un poco. Nel nostro piccolo ci siamo anche noi.

Ma la pubblica amministrazione? Ecco, purtroppo è lei che, dopo tanti proclami elettorali e discorsi volti a non far perdere troppi punti all’Italia sul mercato globale, latita indecorosamente. I motivi sono molti, come potrete immaginare.

Primo fra tutti l’impossibilità o la non volontà di investire quanto promesso (sbandierato?) per una vera infrastruttura che consenta un passaggio graduale, ma definitivo, verso l’era digitale. Non voglio qui entrare in questioni demagogiche, ma c’è la reale volontà di smantellare un sistema , che seppur obsoleto, consente quella discrezionalità di potere che piace tanto a chi è ai vertici? Tecnologia significa anche maggior controllo, più chiarezza dal e per il cittadino comune. Concetti sovversivi in Italia.

Secondo elemento, su cui voglio brevemente scrivere, è una certa “puzza di incompetenza” che aleggia quando si parla di tecnologia. Non ci sono i soldi, d’accordo, ma se ci fossero, ci sarebbero le professionalità, interne alle istituzioni, in grado di indicare la strada che conduce al digitale? Esistono tante società di consulenza, certo, che possono svolgere il lavoro. Ma di chi sarebbe la progettualità? Di istituzioni pubbliche che ricevono, ancora oggi, comunicazioni esclusivamente via fax?

Piccolo aneddoto correlato: Assistendo ad un dibattito sulle “nuove tecnologie”, una figura importante nell’ambito della pubblica istituzione, di cui avremo pietà di tacere nome e incarico, ammise candidamente che non comprendeva il perché della sua presenza al quell’incontro, dal momento che , pur possedendo un computer non lo ha mai utilizzato e tutti i documenti gli vengono sottoposti nel buon vecchio formato cartaceo. Sorrideva compiaciuto. Lo trovava divertente. Viva la sincerità.

Il Global Innovation Index, citato anche da un articolo di Repubblica, cita l’Italia al 34mo posto sotto la voce “Information and Communication Tecnology”. Inutile che vi citi le prime posizioni, che potete tranquillamente immaginare. Tuttavia sappiate che davanti a noi ci sono Paesi che, fino a poco tempo fa, erano sotto regime di dittatura, che erano o sono tutt’ora in guerra. (il link per chi volesse dare un’occhiata)

In sostanza è ormai più che ovvio che il nostro Paese necessita, assieme ad un piano concreto e serio per attestare le infrastrutture tecnologiche al livello degli altri Paesi europei, anche di un serissimo piano, di ampio respiro, che alfabetizzi in ambito informatico nuove e vecchie generazioni. E’ vero che milioni di italiani utilizzano internet, ma milioni di loro ancora non sanno o non possono farlo. E moltissimi degli utenti , tra i giovanissimi, non sanno nemmeno consultare la posta elettronica. Il computer viene utilizzato quasi esclusivamente per giochi ,social network o per prenotare le vacanze. Come si pensa di poter essere competitivi in un mercato globale? La salvezza passa attraverso il sapere. Anche quello tecnologico.

Chiudo con un consiglio per la pubblica amministrazione:

L’impero romano, più di 2000 anni fa, era consapevole che non era possibile censire intere aree della terra attraverso dei messaggi inviati a distanza. Chiedeva “gentilmente” alle popolazioni di scomodarsi e andare di persona.

Morale: se non sei forte con la tecnologia, non utilizzarla.

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