La ricerca artistica di Stocker è da sempre incentrata sullo studio delle leggi collegate alla percezione visiva; non ai simulacri ma alle forme nude che prendono lo spazio e lo trasformano in environment, quantunque utilizzate come mezzo rigeneratore della sensibilità comune.
Una sorta di Stimmung tra il poetico e il distopico (di un mondo tanto in abbandono quanto ordinato) domina le proposte della Stocker. Una atmosfera satura di risonanze e possibilità ulteriori, almeno rispetto al concettuale più ortodosso, qualcosa che rende le creazioni della Stocker più calde e incerte rispetto al rigore ottuso del Minimalism. Uno spazio che si vuota, insomma, seppure nella moltiplicazione concessa da un materiale “componibile” e di facile reperimento come il legno di pino. Cromato in seguito dalla vernice opaca.

Passaggio di dimensioni
L’artista parte, comunque, sovente da un progetto fotografico per renderlo tridimensionale, per indurlo a una dialettica di linee – o proiezioni ortogonali – che favoriscono una condizione formalizzante duttile e di forte impatto. Alzare lo spazio a un livello intermedio al fine di rendere visibili i paradossi formali.
Sul fondo della terza navata l’installazione a parete In Defence of Free Forms – part 3 risulta come importante testimone del passaggio fra le due e le tre dimensioni, procedimento che sta alla base dell’operato artistico della Stocker. Ciò avviene mediante una semplice pannellatura a muro di impiallacciato bianco, che ottiene, con un montaggio a scalini diseguali, di creare, ancora, uno slittamento e una intensificazione di cubatura e ombra. What I Don’t Know About Space, titolo di una sua precedente mostra nella galleria londinese Museum 52 (2008), riassume bene l’astrazione negativa del suo lavoro. La sua griglia di quadri e impianti è molto spesso esplorazione di ciò che resta da immaginare, o meglio: di ciò che rimane dopo la demarcazione attenta della geometria di una tela bianca o di una stanza lasciata a contenere le sagome perdute dopo un trasloco. Similmente nelle sue tele, Stocker sfida le concezioni popolari della geometria spaziale. Precisione strutturale e parziale dissoluzione dell’impianto. Ecco che più delle Forme libere si è forse trattato di liberare le forme dai loro schemi adusi e griglie invalicabili.
In Defence of Free Forms, titolo di questa sua personale, risulta quindi essere una dichiarazione di intenti che, in modo efficace, racchiude una riflessione sulla sua
intera carriera e, allo stesso tempo, rappresenta un avanzamento sperimentale delle sue soluzioni artistiche.

Oltre l’ordine geometrico
Cosa sono le forme libere? L’artista ne dà una risposta con le installazioni presenti in questa mostra in cui vengono anche esposti nuovi lavori su tela che rappresentano uno sviluppo delle sue dinamiche espressive caratteristiche. Queste linee possiedono quindi una possibilità altra rispetto all’ordine geometrico che il nostro occhio si aspetterebbe da esse. Ci permettono di cogliere dello spazio un segreto di “preesistenza” o di semplice sottrazione. Il graduale diramarsi dei frammenti presenti in questa installazione conduce alle opere su tela: ora positivizzate, ora negativizzate.
Insieme ai lavori del 2010 e 2011 è stata, infatti, esposta una nuova selezione tele che la Stocker mostra per la prima volta in pubblico. Queste ultime sono efficaci prove della ricerca sulle forme libere, ricerca che ha portato l’artista a un importante e sostanziale sviluppo delle sue griglie visive e sulla possibilità di tracciarle con impulso minimalista e sottrazione grafica. Le forme libere presenti sulle tele di nuova produzione trovano una loro possibile derivazione da quelle che visivamente si creano in quest’opera ambientale dove il linguaggio scritto si fa struttura spaziale. A questo proposito, completa il progetto di mostra In Defence of Free Forms – part 2, dove un’accurata organizzazione di fili neri spazializzano il titolo della mostra.
Con apparente semplicità e costruzione lieve – la tavolozza dei colori, come abbiamo detto, è, in genere, limitata a nero, bianco e grigio e la dimensione costruita può sembrare quasi incidentale ―. Il lavoro di Stocker invita così a una delicata rivalutazione dei modi in cui noi siamo propensi a concettualizzare il nostro ambiente più familiare, ampliandolo e problematizzandolo fino a farne vivere la porzione invisibile che ci è estranea.

BIO:
Esther Stocker (1974, Silandro, Italia) vive e lavora a Vienna, Austria.
Esther Stocker ha esordito alla fine degli anni Novanta con dipinti astratti in cui segni geometrici e griglie ortogonali si sovrappongono su un ristretto ventaglio di colori, ridotto ai soli bianco, grigio, nero. In questi dipinti le griglie irregolari, richiamando il concetto di mimesis non in senso platonico di imitazione della natura ma nella sua accezione di mimetico, di camouflage, hanno lo scopo di indagare le facoltà percettive dello spettatore.
Se questo richiama, da una parte, le esperienze della Op Art, dall’altra l’artista di origini italiane se ne distacca, in quando il “camuffamento” non è nascosto ma svelato, palesato attraverso le molteplici irregolarità delle griglie.
Esse, espandendosi dalla tela allo spazio, invadono pavimenti, soffitti, pareti di gallerie e musei, divenendo installazioni sensoriali con le quali lo spettatore interagisce. Ciò che interessa l’artista, infatti, è la disintegrazione dell’ambiente: l’ambiguità spaziale e l’incertezza percettiva, causate da questa frammentazione, generano solitudine, disperazione, eccitazione.

Esther Stocker – In Defence of Free Forms
Galleria OREDARIA – via Reggio Emilia, 22  Roma
Fino al 12 febbraio 2012

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