Nel 2009 il teatro di Chemnitz ha messo in scena Der Schmied von Gent (Il fabbro di Gand), l’ultima opera di Schreker e ultima tappa di un periodo di riscoperta della produzione operistica del compositore austriaco, cominciata in sordina nel 1978. Alcune delle sue opere sono già entrate in repertorio, ad esempio Der ferne Klang (Il suono lontano), Die Gezeichneten (I Predestinati), Der Schatzgräber (Il cercatore di tesori), ma altre stanno riemergendo dall’oblio, grazie anche alle incisioni della CPO, che ha già messo sul mercato discografico Das Spielwerk und die Prinzessin (Il carillon e la principessa: 999 958-2), Christophorus (CPO 999 903-2) e Flammen (Fiamme: CPO 999 824-2), la prima opera composta da uno Schreker poco più che ventenne.

Rispetto alle altre opere, tormentate e sensuali, Der Schmied von Gent rappresenta un caso a sé. Schrecker infatti, spinto anche dal suo editore, voleva creare un’opera di successo come Jonny spielt auf di Krenek, ma rivolta a un pubblico non condizionato dalle mode. L’ispirazione gli venne durante un’estate in Italia, assistendo a uno spettacolo di burattini: «Guardando questo bello spettacolo mi venne l’idea di scrivere un’opera teatrale semplicissima e dai toni popolareschi, insomma un’opera in grado di essere capita da tutti, e dopo una breve riflessione la mia scelta cadde sul delizioso racconto Smetse Smee di Charles de Coster». Tra il 1931 e il 1932 nacque quindi Der Schmied von Gent, con l’impianto di un’opera fiabesca: la vicenda ha luogo a Gand nel periodo delle persecuzioni spagnole contro i protestanti. Smee, fabbro protestante, in grave crisi economica per aver perso la clientela dei nobili spagnoli seguaci del papa, viene avvicinato dal diavolo che gli fa una proposta: se gli venderà la sua anima, potrà vivere ricco e felice per sette anni. Smee accetta, e allo scadere dei sette anni, si imbatte una coppia di mendicanti con un bambino, che egli aiuta, e che si rivelano essere la Sacra Famiglia: come premio gli promettono di esaudire tre desideri. Smee chiede che nessuno, contro la sua volontà, possa scendere dal suo albero di prugne, né abbandonare la sua poltrona, né uscire da un sacco preparato per l’occasione. Si presentano quindi tre personaggi per portare Smee all’inferno: il primo è il boia Jakob Hessels, che Smee invita a gustare le sue succose prugne del suo albero; il secondo è il duca d’Alba, che il fabbro fa accomodare sulla poltrona e poi prende a martellate; il terzo è la diavolessa Astarte che tenta di sedurre Smee, ma lui la chiude in un sacco e l’asperge di acqua santa. Il diavolo è così costretto a rinunciare al patto. Ma l’opera non è finita: Smee, ormai vecchio, muore, e si avvia verso l’aldilà in un viaggio pieno di rocambolesche avventure e gozzoviglie. Finché con l’intercessione di San Giuseppe, riesce a varcare la soglia del Paradiso. Anche musicalmente Der Schmied von Gent è molto diversa dalle altre opere di Schrecker di ascendenza wagneriana o dal gusto “Jugendstil”, con le loro ricercatezze timbriche, i fitti cromatismi, le sensualità melodiche, i tratti impressionistici e politonali. Nel tentativo, non proprio riuscito, di accattivarsi il pubblico, Schrecker ha mescolato nella sua ultima opera una scrittura diatonica, e molto melodica, con echi di canti popolareschi e di danze, marcette, valzer, allusioni ironiche, ma anche fughe e passacaglie. Il risultato è un mix eclettico, piuttosto artificioso, che spiega anche la scarsa fortuna che ebbe l’opera sin dalla sua prima rappresentazione, a Berlino il 29 ottobre 1932. Di ottimo livello comunque l’esecuzione in questa registrazione dello spettacolo di Chemnitz, con Frank Beermann che, sul podio della Robert-Schumann Philharmonie e il coro dell’Opera di Chemnitz, mette in risalto il carattere brillante e variopinto, e la verve ritmica della scrittura orchestrale. Grande voce e buona vis comica dimostra il baritono Oliver Zwarg nei panni del protagonista, così come il mezzosoprano Undine Dreißig nel ruolo della moglie del fabbro.
Der Schmied von Gent (Il fabbro di Gand)
di Franz Schreker
«Große Zauberoper» in tre atti, tratta da Smetse Smee di Charles Théodore Henri De Coster
Interpreti: Oliver Zwarg, Undine Dreißig, André Riemer, Edward Randall, Martin Gaebler, Judith Kuhn, Oliver Zwarg.
Robert-Schumann-Philharmonie e Coro dell’Opera di Chemnitz, direttore Frank Beermann.
2 cd CPO 777 647-2

 

 

Donizetti_Maria_di_Rohan_opera_raraMaria di Rohan
di Gaetano Donizetti 
Orchestra of the Age of Enlightenment, direttore Sir Mark Elder
Interpreti: Krassimira Stoyanova, José Bros, Christopher Purves, Brindley Sherratt, Loïc Félix, Graeme Broadbent, Christopher Turner, Riccardo Simonetti.
2 cd Opera Rara ORC44

Opera dell’ultimo Donizetti, scritta durante la stesura finale del Don Pasquale, Maria di Rohan (1843) rappresenta insieme una summa dell’esperienza operistica del compositore e un tentativo di superamento della sua precedente visione lirica e belcantistica a favore di una concezione intensamente drammatica, dove molte arie diventano un vero e proprio studio di carattere, e dove anche i duetti e i pezzi d’insieme paiono dominare su quelli solistici. Composta su libretto di Salvatore Cammarano (tratto a sua volta dal dramma Un Duel sous le Cardinal de Richelieu di Joseph-Philippe Simon Lockroy e Edmond Badon), Maria di Rohan mette in gioco il classico triangolo tra il soprano (Maria), il tenore (Riccardo, Conte di Chalais) e il baritono (Enrico, Duca di Chevreuse), ma con qualche complicazione in più: vi compaiono infatti una serie di duelli e intrighi politici all’ombra di Richelieu, e si scopre che Maria è stata segretamente sposata con Enrico. L’opera fu rappresentata per la prima volta a Vienna nel giugno del 1843, ma qualche mese dopo Donizetti approntò una nuova versione per il parigino Théâtre Italien, aggiungendo due nuove arie, e cambiando anche il ruolo vocale di Riccardo da tenore a mezzosoprano (quindi per un ruolo en travesti). Questa è la prima incisione discografica della versione viennese, quella originale, e un’esecuzione molto accurata, che segue l’edizione critica e che comprende anche, in appendice, le arie per mezzosoprano (interpretate da Enkelejda Shkosa). Mark Elder si dimostra un esperto direttore d’opera, capace di cogliere la profonda visione drammatica donizettiana, staccando tempi incalzanti, pennellando scene ricche di atmosfera, sfruttando appieno il suono brillante, nitidissimo degli strumenti d’epoca, con una cura particolarissima nella resa timbrica dei legni. Di livello eccelso anche il coro (Geoffrey Mitchell Choir) diretto da Renato Balsadonna. Il baritono Christopher Purves affronta il difficile ruolo del duca di Chevreuse con grande pathos, il soprano bulgaro Krassimira Stoyanova è una Maria radiosa, capace di cogliere la sua natura elegante e tormentata, con una bella voce lirica, dotata di un’ampia tessitura e di un bel colore brunito. José Bros (Riccardo), tenore belcantista tecnicamente e stilisticamente corretto, è però penalizzato da un timbro un po’ nasale.

 

Boesmans_Yvonne_cypresYvonne, Princesse de Bourgogne
di Philippe Boesmans
Interpreti: Dorte Lyssewski, Mireille Delunsch, Paul Gay, Yann Beuron, Victor von Halem, Hannah Esther Minutillo, Jason Bridges, Jean-Luc Ballestra, Guillaume Antoine, Marc Cossu-Leaonian.
Klangforum Wien diretto da Sylvain Cambreling
2 cd Cypres CYP4632

Quarta opera nata dalla collaborazione tra il compositore belga Philippe Boesmans e il drammaturgo svizzero Luc Bondy, dopo Wintermärchen (da Shakespeare), Reigen (da Schnitzler) e Julie (da Strindberg). Ma questa volta la pièce teatrale che ha fornito l’ispirazione viene dal teatro graffiante e anticonformista di Witold Gombrowicz, da Yvona, principessa di Borgogna, dalla quale già nel 1973 aveva ricavato un’opera Boris Blacher. La fiaba nera di Gombrowicz, pubblicata nel 1938, racconta la storia di Yvona, ragazza sgraziata, apatica, un po’ autistica, antipatica a tutti. Ma il principe Filippo, giglio del re, decide di sposarla, per fare qualcosa di anticonformista. L’arrivo di Yvona getta scompiglio a corte, fa nascere pettegolezzi, scherzi, mette soprattutto a nudo la vera natura dei cortigiani, il loro cinismo, l’ipocrisia, la crudeltà, e tutti i tabù di quel regno. Alla fine il principe si pente della sua scelta, e la povera Yvona viene avvelenata durante un banchetto regale. È una pièce dalle tinte forti, ma priva di una vera evoluzione drammatica. E lo stesso difetto è emerso anche nell’opera di Boesmans messa in scena all’Opéra Garnier a Parigi nel gennaio del 2009, occasione nella quale è stata anche effettuata questa registrazione. Partitura eclettica, con squarci di musica barocca, inserti di folklore slavo, marce funebri, citazioni wagneriane, motivi tonali e cantabili mescolati con textures fortemente dissonanti. A tutto dà smalto e brillantezza la bella orchestrazione, insieme densa e iridescente, piena di invenzioni originali, restituita in tutto il suo splendore dall’esecuzione del Klangforum. Lo humour caustico, dominante in quest’opera, sembra scaturire direttamente dalla descrizione musicale di Yvonne, sempre accompagnata da motivi fuori sincrono, da sovracuti degli archi, da grevi disegni degli ottoni. Tra i cantanti spicca Mireille Delunsch (regina Margherita) che è anche l’unico personaggio con una vera e propria aria, mentre il tenore Yann Beuron (il prinicipe Filippo) ha più occasioni di mostrare il lato isterico del suo personaggio che le proprie doti vocali. Bravissimi Hannah Esther Minutillo (nei panni di Isabella), col suo bel timbro vocale, e Paul Gay (re Ignazio) che sfoggia una grande verità e sottigliezza di nuances espressive. Il ruolo della protagonista è affidato a un’attrice, Dörte Lyssewski, intensa e inquietante, con una voce “malata” adattissima al suo personaggio. Peccato che nel doppio cd ci siano solo quattro tracce, una per ogni atto.

 

Mozart_Apollo_et_HyacinthusApollo et Hyacinthus
di Wolfgang Amadeus Mozart
The Orchestra of Classical Opera diretta da Ian Page
Interpreti: Andrew Kennedy, Klara Ek, Sophie Bevan, Lawrence Zazzo, Christopher Ainslie, Marcus Farnsworth, David Shipley
Cd Linn Records CKD 398

Mozart compose la sua prima opera a undici anni: Apollo et Hyacinthus fu scritta su commissione del Ginnasio collegato all’università benedettina di Salisburgo, dove la tradizione voleva che fosse rappresentato ogni anno un dramma in latino, e dove c’era un teatro attrezzato, con elaborate macchine teatrali. Lì fu rappresentata per la prima volta, il 13 Maggio 1767, Apollo et Hyacinthus, come breve intrattenimento musicale o “intermedium” (in un Prologo e due Cori) all’interno del dramma parlato Clementia Croesi. Composta su libretto di padre Widl e basata sulla storia mitologica di Apollo e Giacinto, l’opera glissa sull’amore omosessuale tra i due protagonisti, focalizza la vicenda sul tema del perdono (che ritornerà nei capolavori della maturità di Mozart) e introduce personaggi nuovi: Zefiro nella partita tra discoboli (proprio Zefiro farà deviare il corso del disco lanciato da Apollo che colpisce mortalmente Giacinto, poi trasformato in fiore da Apollo) e il padre e la sorella di Giacinto, Ebalo e Melia, quest’ultima come oggetto dell’amore – eterosessuale e quindi politically correct – di Apollo. Opera scritta da un bambino, ma che dimostra di conoscere già bene i segreti del melodramma italiano, e che sfoggia alcune originali invenzioni nella scrittura orchestrale, capace di accompagnare le arie con disegni sempre assai vividi, di intensificare significati, atmosfere, umori, di creare episodi di grande forza descrittiva (come le imitazioni del vento, o del mare in tempesta). La lettura di Ian Page è molto vivida (grazie anche all’esperienza dell’Orchestra of Classical Opera), nei recitativi si danno un gran da fare i continuisti (Steven Devine, Joseph Crouch e Cecelia Bruggemeyer), e l’esecuzione risulta frizzante, ricca di umori e colori, anche se gli oboi e i corni restano un po’ in ombra. Anche nelle arie Mozart dimostra una grande sensibilità nel creare emozioni non stereotipate, così come nei bellissimi duetti: quello drammatico tra Melia e Apollo, o l’amaro lamento intonato da Melia e Ebalo, accompagnati dai violini con sordina e pizzicati. Nell’ottimo cast spicca la voce tagliente e il carattere estroverso del controtenore Laurence Zazzo (Apollo), che contrasta con il timbro più caldo dell’altro controtenore Christopher Ainslie (Zefiro). Ammirevole il timbro chiaro e il morbido fraseggio del soprano Klara Ek (Melia), che dimostra anche una tecnica impeccabile nell’aria di coloratura. In forma anche il tenore Andrew Kennedy (Ebalo), mentre pecca talvolta nell’intonazione Sophie Bevan, nei panni di Hyacintus.

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