Giuseppe Povia in arte Povia è un cantante scomodo, ma più che altro fastidioso, dedito all’antico passatempo di scandalizzare la platea mummificata di Sanremo. Con il pezzo “Luca Era Gay”, dedicato alla Binetti (che prima era una donna), esprime la sua visione dell’omosessualità come di una malattia, dalla quale però -attenzione!- si può guarire.

Non è ben specificato l’elisir dell’eterosessualità, forse repliche ininterrotte di Love Boat o dosi massicce di profumo di Chuck Norris? Il mistero è irrisolto, ma le dichiarazioni di Povia non lasciano dubbi: “Anch’io ho avuto una fase gay. […] È stato quando avevo 18 anni. È durata sette mesi, poi l’ho superata. E ho anche convertito due miei amici che credevano di essere gay e invece adesso sono sposati e hanno anche dei figli”.

Per auspicare la salvezza dal lato oscuro del letto, Povia si presenta al Family Day circondato da chierichetti e strappa una foto di Stanlio e Ollio per contrastare le coppie di fatto. La battaglia continua su Facebook, dove il poeta dai capelli unti dà il meglio di sé attaccando chiunque esprima un’opinione diversa, condividendo slogan qualunquisti e scambiando Frank Zappa per Pippi Calzelunghe, salvo poi rettificare con una scarica di insulti. La minaccia più grande arriva con l’annuncio del concerto di sabato 6 aprile a Roma, la cui durata potrebbe sfiorare le sei ore. I carcerieri di Guantanamo usano la sua intera discografia per non sporcarsi di sangue e hanno già prenotato il prossimo album, il comandante delle guardie si è anche tatuato uno dei suoi brani: “Siamo alla fine ma l’orgoglio mi sorregge, perché il mio spirito è di Dio ma il mio culo è solo mio”.

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