Pubblichiamo l’intervento di Roberto Costanzo in occasione della presentazione del libro di Alberto Liguoro, il 6 ottobre scorso, a San Marco dei Cavoti.

Cambio di fronte
Settant’anni fa – all’inizio dell’autunno del 1943 – si pensava che fossero stati definitivamente chiusi due capitoli che avevano segnato la Storia d’Italia: il regime fascista e la 2° guerra mondiale.
Il 25 luglio di quell’anno, con il voto di sfiducia a Mussolini al Gran Consiglio,  si pensò che fosse stato irrimediabilmente affondato il fascismo, ma dopo pochi mesi il regime dimostrò di poter sopravvivere a se stesso, ancora per quasi due anni.
L’8 settembre, con l’annuncio dell’armistizio da parte del Mar. Badoglio, si ritenne che fosse giunta la fine della guerra, ma ben presto si capì che era stata soltanto una finta fine. Dopo l’8 settembre non si capiva se l’Italia fosse o non fosse ancora in guerra,  gli alleati erano diventati nemici ed i nemici erano diventati alleati.
Una confusa e convulsa stagione annebbiò la vita e la coscienza di tutti, anche nelle piccole comunità dei nostri paesi, dove nei primi tre anni di guerra molti non avevano compreso la dimensione di quella tragedia.
Un inizio d’autunno, quello del 1943,  segnato dalla occupazione nazista e dall’arrivo delle truppe anglo americane, che non parvero sempre dei pacifici liberatori. Agli abusi dei nazisti, in alcune aree del sud Italia, fecero seguito anche deprecabili abusi dei militari alleati, come documenta puntualmente il libro di Alberto Liguoro.
Questo, per sommi capi, il contesto bellico e civile di quello autunno del ‘43, in cui cadono gli eventi che visse la comunità sammarchese, eventi e vicende sui quali si vuole riflettere nell’incontro di oggi.

1.2       Ma come e con chi analizzare quegli accadimenti? Vorrei tentare di interloquire con voi ragazzi di oggi: un virtuale confronto tra chi ha vissuto il periodo bellico e post-bellico e chi vuole approfondire ed analizzare tutto ciò che di quell’epoca ha appreso nei banchi di scuola o dai racconti dei nonni.
Una conversazione – discussione, dialogica o anche dialettica, sulla grande storia nazionale e sulle piccole storie locali.
Alla nostra comunità paesana, la guerra sembrava lontana sui vari fronti del Nord-Africa, dei Balcani, della Grecia, del fronte russo.
Sembravano lontani anche i micidiali bombardamenti sulla città di Napoli. Si andava la sera sul belvedere, davanti alla Chiesa Madre, a guardare il cielo di fuoco su Napoli. Sembravano episodi estranei alla nostra comunità paesana, tant’è che i bagliori di quelle bombe che cadevano sulla città partenopea presto assunsero anche l’aspetto di uno spettacolo pirotecnico, un macabro spettacolo che comunque attirava la curiosità della gente…
Sì, alcuni guardavano a quei bagliori come ad un fuoco d’artificio. Può sembrare eccessivo, quasi irreale, ma era così.
Soltanto quando cominciarono ad arrivare nel nostro paese gli sfollati che fuggivano da Napoli e da Portici – siamo nell’estate del ‘43 – si cominciò a capire che la guerra non era lontana, non era del tutto estranea  alla comunità sammarchese. Tra quegli sfollati vi era anche la signora Nina Pesce che portava in grembo Albertino Pesce Liguoro, che sarebbe nato a San Marco in casa Ambrosiano nel mese di marzo del 1944.

1.3    Nei primi di ottobre un battaglione corazzato dell’8 Armata si scontrò sul Monte S. Marco con una retroguardia tedesca. Quello che accadde successivamente a quella battaglia merita di essere evocato: l’improvviso apparire di due soldati tedeschi a Via Roma, proprio mentre nella Caserma dei CC.  si svolgeva l’accoglienza dei soldati anglo-canadesi, guidati da  un tenente di origini italiane; l’assalto ai due soldati tedeschi, quindi l’agguato al tenente canadese.
Su tutto quello che accadde nei primi cinque giorni di ottobre hanno svolto una puntuale ricerca gli alunni del nostro Liceo Classico nel 1989, guidati dalla Prof.ssa Clementina Fiorelli.
La ricerca fu pubblicata a cura del Prof. Angelo Fuschetto, sotto il patrocinio del Comune con le introduzioni dell’allora Sindaco Matteo Cavoto e dell’Assessore alla cultura Prof. Antonio Gentile.
Soprattutto voi, studenti della Media, del Liceo e del Tecnico, fareste bene a leggere quella pubblicazione, ricca di documenti e di interviste a testimoni di quegli eventi.

Guerra e dopoguerra. Rabbia e pietas
2.1
      Il mattino del 5 ottobre – come è descritto in quella ricerca degli studenti – ad opera di nostri concittadini, furono mortalmente colpiti prima due soldati tedeschi e dopo meno di un’ora un tenente canadese.
Pensate, voi teenagers di oggi, che quella sia una pagina da cancellare e dimenticare? No, anche quegli esecrandi episodi vanno documentati a futura memoria, perché la comprensione non diventi giustificazione.
Non vorrei che pensaste che i sammarchesi quel giorno fossero animati soltanto da furia aggressiva. Grazie a Dio, ben presto riapparve la pietas umana.
Si possono evocare almeno tre atti di grande umanità. Sul marciapiedi di Via Roma giaceva agonizzante il soldato tedesco; tra la folla attonita che lo circondava, si fece largo un nostro concittadino, il Sig. Arturo Borrillo, che con un bicchiere d’acqua si avvicinò al tedesco per bagnargli le labbra tremanti.
Nel pomeriggio il soldato moribondo, trasferito intanto nel corridoio dell’Edificio Scolastico, ricevette l’estrema unzione dall’Arciprete Parisi, che era circondato da tanta gente, non più animata da odio ma  mossa da commozione e cristiana carità.
La sera, durante la cena, in una famiglia si commentavano i tumultuosi accadimenti della mattina, l’odio anti-tedesco era al centro della discussione, quando una ragazza, ospite di quella  famiglia, fece un’obiezione che gelò i commensali, dicendo: “non credete che anche quei due soldati tedeschi possano avere una famiglia e dei figli che aspettano la fine della guerra per riabbracciarlo? I tedeschi, con tutte le loro colpe, sono anch’essi figli di Dio.” La pietas aveva vinto sulla rabbia.

Viviamo oggi un’apparente stagione di pace, solo perché i conflitti bellici si svolgono a varie migliaia di Km dal nostro Paese, ma, voi ragazzi, credete che, solo perché i teatri di guerra sono altrove, possiamo sentircene estranei?
Assistiamo quotidianamente all’arrivo di barconi di profughi a Lampedusa, ed in molti casi con il carico umano dimezzato, perché alcuni di quei disperati sono stati inghiottiti dal mare, come tragicamente è accaduto tre giorni fa.
Non trovate un qualche riferimento tra le tragedie nel Mediterraneo di oggi e quelle verificatesi durante la 2° guerra mondiale nello stesso mare? I poveri profughi che annegano oggi si vanno a congiungere con i nostri fratelli, soldati italiani e sammarchesi, imbarcati sulle navi che affondarono nel Mediterraneo durante la guerra.
La corona che Papa Francesco, all’inizio della sua visita a Lampedusa, ha deposto nel mare in memoria dei tanti profughi annegati, è destinata anche a quei soldati sammarchesi affondati in quello stesso mare.
 
Come abbiamo visto, nell’estate del ’43 la guerra cominciò a toccare direttamente anche i nostri piccoli paesi. Vi furono le prime tragiche incursioni aeree sulla città di Benevento, che fecero anche una vittima civile tra i sammarchesi; cominciarono ad arrivare gli sfollati, si acuirono i razionamenti ed il mercato nero dei viveri.
Rimase deluso chi, dopo l’8 settembre, si attendeva l’arrivo della pace; purtroppo non ebbe inizio il dopo-guerra ma un’altra guerra.
In tutte le case si allestirono ripostigli segreti in cui poter nascondere generi alimentari ed oggetti di valore per sottrarli alla requisizione dei tedeschi.
I tedeschi, infatti, si ritirarono portandosi dietro viveri, automezzi ed armi requisiti, sequestrati ai sammarchesi, lasciandosi alle spalle i ponti che avevano intanto distrutto. A causa dell’abbattimento dei ponti, dall’autunno del ’43 e per buona parte del ’44, per raggiungere Benevento si era costretti a servirsi di zattere per passare da una sponda all’altra dei fiumi. Quell’anno scolastico ebbe inizio soltanto a gennaio ‘44.
Le strutture produttive e le infrastrutture civili risultarono in gran parte demolite; le istituzioni inconsistenti, la coscienza sociale disorientata: sembrava non vi fossero più basi morali e civiche su cui poggiare un progetto di ripresa della Nazione.
Eppure qualche luce cominciava ad apparire in fondo al tunnel.
Nel 1945 tornano a casa i prigionieri di guerra dai campi di concentramento dislocati in varie parti del mondo. Non tornarono purtroppo gli oltre 60 soldati sammarchesi morti al fronte, nei mari e nei cieli o durante la prigionia.
Nella primavera del 1946 si svolsero le prime elezioni democratiche. Il 2 giugno si votò per il Referendum Monarchia-Repubblica e tanti ragazzi, benché non avessero ancora l’età per votare, parteciparono con entusiasmo a quelle prime battaglie politiche democratiche.
Lentamente era iniziata l’attività di ricostruzione delle opere pubbliche e private distrutte dalla guerra; quindi era partita la rinascita economica e non solo economica; si erano rimesse a funzionare le istituzioni.
Erano ritornate la fiducia e la speranza. Vi chiederete – a questo punto – dove e come fossero stati trovati il coraggio e la forza per riprendere il cammino.
DOVE? Nell’amore per la propria terra; nella memoria della nostra storia.
COME? Con la libertà, la democrazia e la solidarietà.
Oggi qualcuno vorrebbe farvi credere che tempi cupi ed incerti, come quelli attuali, non c’erano mai stati. Non è vero! I tempi tragicamente cupi e motivatamente incerti erano quelli di 70 anni fa. Rimettersi in cammino oggi è molto meno difficile di allora.

I giovani di ieri e di oggi, tra guerra e pace.
A questo punto, forse vorrete sapere come avessero seguito e vissuto quel lungo capitolo di guerra coloro che all’epoca avevano la vostra stessa età.
In classe si parlava anche della guerra, gli insegnanti erano costretti a parlarne bene e ad enfatizzare i presunti successi sui vari fronti. Vigeva il pensiero unico e veniva impedita ogni forma di dissenso.
I ragazzi, anche quelli delle elementari, erano costretti a partecipare al “sabato fascista”, rigorosamente in divisa e con il moschetto in mano, i bambini con la divisa di “figli della lupa”, gli adolescenti con quella di “balilla” ed i giovani da “avanguardisti”. “Libro e moschetto, balilla perfetto”, era il motto del sabato fascista. “Libro e moschetto” e l’altro motto “molti nemici, molto onore”, rappresentavano una esecranda educazione alla guerra…Tuttavia vi era pure qualche ragazzo che si rifiutava di andare a giocare alla guerra e riusciva con vari stratagemmi a non indossare la divisa di balilla.
Dissentire allora era rischioso, ora è normale, quasi gratificante. Vi chiederete perché? La mia risposta è questa: allora c’era la dittatura, ora c’è la libertà, c’è la democrazia.
Allora si poteva leggere soltanto il “Popolo d’Italia”, organo del Partito, ora i vostri insegnanti vi consentono – anzi vi sollecitano –  a leggere giornali di diverso orientamento. È questa una delle grandi differenze tra la scuola di ora e quella di allora. Anche se vigeva una rigida censura, qualche ragazzo della II o III media riusciva ad andare clandestinamente in casa di uno zio notoriamente antifascista per ascoltare Radio Londra.
Non crediate che l’informazione senza divieti, di cui godete oggi, dipenda solo dalla disponibilità dei moderni strumenti informatici (internet, facebook, IPad) che usate a piene mani. Dipende innanzitutto dalle condizioni di libertà e democrazia che ora ci sono ed allora non c’erano.

La guerra ed il dopoguerra per i ragazzi di quel tempo furono una dolorosa esperienza, per voi teenagers di oggi possono rappresentare un grande insegnamento.
Purtroppo dobbiamo convenire che non tutte le guerre sono evitabili, tuttavia qualcuno di voi, animato da encomiabile spirito pacifista, si chiederà se l’Italia avrebbe potuto evitare la seconda guerra mondiale.
Per non entrare in guerra Mussolini avrebbe dovuto adottare la tattica del dittatore spagnolo, Francisco Franco, che riuscì a resistere alle pressioni di Hitler, ed a tenere la Spagna fuori dalla guerra, ciò che non seppe o non volle fare Mussolini.
L’Italia, non entrando in guerra, forse sarebbe stata comunque invasa dai tedeschi, però non avrebbe subìto il disonore della sconfitta e della resa incondizionata; e non avrebbe patito tanti disastri materiali e umani.
La seconda guerra mondiale poteva essere evitata, se… A questo punto, l’ottima Sindaca junior, Irene, potrebbe obiettarmi che, “con i se e con i ma”, non si fa la storia… Ed avrebbe ragione.

Tuttavia il rifiuto e la disapprovazione della guerra non possono significare mancanza di rispetto e di onore per coloro che vengono chiamati a combattere in nome ed al servizio del proprio Paese; soprattutto per tutti coloro che hanno immolato la propria giovane esistenza.
Ma i conflitti bellici, usati per risolvere le controversie tra le nazioni, non vanno confusi con gli interventi delle forze armate volti a tutelare l’ordine pubblico e i diritti civili.
Bene ha fatto il Sindaco Cocca a programmare l’inizio di questa Giornata della Memoria con la deposizione di una corona d’alloro al Monumento dei caduti in omaggio ai morti ed alle vittime di tutte le guerre.
Davanti al Monumento ai caduti, qualcuno che viene dal passato avrà rivolto al Signore una preghiera perché non dobbiate vivere anche voi, ragazzi di oggi, le dolorose esperienze dei ragazzi di allora.
Perché non si ripeta mai più una giornata come quella del 10 giugno 1940, quando anche i bambini delle elementari furono portati in piazza ad inneggiare alla guerra appena dichiarata.
Perché non si assista più a bombardamenti come quelli su Napoli e Benevento.
Perché non ci siano più eccidi di massa, rappresaglie e rabbiose reazioni popolari.
Perché non si subisca più la umiliazione della occupazione del proprio Paese da parte di soldati stranieri e della successiva liberazione da parte di altri soldati stranieri.
Perché non si debba più piangere familiari, parenti ed amici morti in guerra o a causa della guerra.
Perché non dobbiate vivere tempi dei quali un giornalista, come Indro Montanelli, possa scrivere ancora che “L’Italia non aveva mai dato di sé uno spettacolo tanto miserando”.
Ed infine perché, voi ragazzi di oggi, possiate essere convinti che la pace è il bene supremo di ogni popolo civile. Pace, bene supremo.     Non dimenticatelo!

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