La notizia della morte di Franca Rame è anche una notizia su di noi:  le reazioni immediate alla sua morte raccontano l’Italia, le sue rimozioni, l’incapacità a espellere il fascismo nelle sue molteplici forme. E traducono  anche il monito di Bankitalia “il paese è indietro di 25 anni”.

Il ruolo dell’informazione in questa arretratezza complessiva è capitale. Quello del servizio pubblico ancora di più.

Così non è senza senso  la  polemica scaturita dal servizio del tg2  firmato da  Carola  Carulli che   ritrae  Franca Rame, appena scomparsa:

“[…] Una donna bellissima Franca, amata e odiata. Chi la definiva un’attrice di talento che sapeva mettere in gioco la propria carriera teatrale per un ideale di militanza politica totalizzante; chi invece la vedeva coma la pasionaria  rossa che approfittava della propria bellezza fisica per imporre attenzione. Finché il 9 marzo del 1973 fu sequestrata e stuprata. Ci vollero 25 anni per scoprire i nomi degli aggressori, ma tutto era caduto in prescrizione. […]”.

La quasi totalità dei social network e l’indignazione che ne è seguita, compresi servizi giornalistici video, si è  però limitata a estrapolare la frase:

 “approfittava della propria bellezza fisica per imporre attenzione, finché il 9 marzo del 1973 fu sequestrata e stuprata”.

Così è emerso un altro significato che ha tradotto un immediato (e salutare)  rifiuto  per il più bieco  pensiero  maschilista secondo il quale  se ti metti la minigonna ti stuprano  (sottinteso:  te la sei cercata). Se sei bella e procace anche.  E  ancora una volta, lo stupro, sarebbe colpa della donna. Come non pensarlo  del resto se andando indietro di un mese troviamo le cronache del processo di  Maria violentata dal branco di Montalto di Castro?  La storia di una ragazza di vent’anni che non ha più vita, accusata  – implicitamente- dalla comunità  di essere lei stessa responsabile e di avere in qualche modo sollecitato lo stupro?  E come non  vederci il segno di una mentalità  paurosa   giacché  il sindaco (del Pd)   ha  usato soldi pubblici per assicurare la difesa legale agli stupratori che vivono una vita serena, perfettamente integrati dalla loro comunità?

Colpisce però che si sia capito questo. In realtà, se si legge l’intero contesto del servizio del tg  e soprattutto se si ha l’onestà di ascoltarlo tutto, la giornalista ha detto che  per alcuni era considerata donna di talento e grazie al suo talento ha potuto seguire la sua militanza politica, altri invece la vedevano come la pasionaria rossa che grazie alla sua bellezza faceva passare idee scomode.  Finché  non è stata sequestrata e violentata. Si tratta  perciò della  cronaca di una spedizione  punitiva in perfetto stile fascista:  una donna  faceva passare messaggi scomodi  con la sua bellezza, e pertanto l’hanno violentata. Non era l’opinione della giornalista. 

Del resto il figlio Jacopo durante il discorso funebre ha detto:
“Era intollerabile che ci fosse una donna così rompicoglioni e oltretutto così bella, che diceva no all’orrore”.

Solo che siamo abituati a scambiare, come sempre, la cronaca con delle opinioni, perché  è così che ci vengono date le informazioni.  Ingarbugliate, incomplete, fuorvianti.

E questo è forse il dato anche più allarmante: non sapere più cosa ci viene raccontato al punto che una cronaca di fatti, diventa la  proiezione dei nostri timori.  Un  parlamentare del M5S  si è sentito in dovere di stigmatizzare in aula il servizio pubblico, e  hanno reagito le tantissime associazioni femministe in rete.

In realtà tutta la gravità  non era in quel finché  ma  nell’omissione del dato più rilevante. Finché doveva  comprendere :

 “finché nel 9 marzo  1973 venne avvicinata  nella via Nirone, a Milano da un furgone. C’erano cinque uomini che l’avevano obbligata a salire. La violentarono a turno. Erano fascisti.  E come emerse più tardi  dalle testimonianze di  Angelo Izzo  vi era  stato un coinvolgimento  di alcuni  carabinieri della divisione Pastrengo. Alcuni  alti ufficiali, venne riportato, esultarono alla notizia della barbarie. Durato 25 anni il processo, il reato fu prescritto”.

Perché nelle scuse del tg2  che sono seguite  alla polemica in rete, non si è dato conto dell’omissione dei responsabili dello stupro ma si è solo  fatto riferimento alla buona fede della giornalista?  La quale – ovviamente – si difende “ figuriamoci se volevo giustificare uno stupro”.

La vera grande  offesa e  lo scandalo sta tutto nella  rimozione della parola “fascista”.   Nella depoliticizzazione della violenza, che resterebbe allora  un gesto solo maschilista, incolore e inodore inghiottito nella (falsa) vittoria della recente ratifica della convenzione di Istanbul.  Come se la cultura  non avesse un legame con lo stupro.

E’ lo scandalo del  revisionismo  di questi ultimi  che ha  portato alla perdita dei  significati e alla cancellazione  della storia  dal corpo di Franca e  del senso dal corpo della nazione che si accinge a riscrivere la Costituzione senza essere in grado di cambiare una legge elettorale incostituzionale.

E’ lo scandalo delle rimozioni  che si traducono nella volgarità dei titoli di Libero “morta una radical chic”, o del Giornale che si pretende moderato esercitando la peggiore delle violenze: 
Franca Rame, attrice-agitatrice che portò il fanatismo in scena È morta ieri a Milano l’attrice e pasionaria Femminista convinta, è stata per decenni bandiera delle lotte utopistiche ed estremiste.

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