Il pesante fardello che le imposte omesse portano con sé, come sanzioni, multe e simili, producono cifre che se richieste da un privato porterebbero all’arresto per usura. Inoltre i sistemi di impugnazione, quando i termini non siano già scaduti, sono farraginosi, lunghi, con risultati ottenibili in tempi lunghissimi, mentre di contro il danno, per esempio dell’iscrizione ipotecaria sull’abitazione, perdurando il pregiudizio per tutta la durata dei processi, è irrisarcibile.

Tale pregiudizio si configura infatti non solo sotto il profilo patrimoniale con l’impossibilità di non poter più disporre del bene e, soprattutto nei soggetti più deboli, con l’incapacità di poter ottenere un mutuo o credito, ma anche sotto un profilo prettamente psicologico, laddove rimanere con l’abitazione ipotecata per i numerosi anni che comporta un processo tributario avanti le Commissioni Provinciali, poi Regionali, se non davanti la Corte Suprema, significa pregiudicare, se non per tutta la vita, comunque per tempi insopportabili un soggetto sostanzialmente privo di adeguata difesa.

IL CITTADINO NON PAGA E LO STATO AUMENTA LE SANZIONI
La prima questione che salta agli occhi è l’assurdità di certe sanzioni economiche che lo Stato pretende per omissioni fiscali o contributive, a fronte dell’inadempimento del soggetto obbligato.
Vi è stata negli anni sostanzialmente una corsa al rilancio, laddove mano a mano che il cittadino appariva poco disponibile ad ottemperare alla normativa fiscale e contributiva, vieppiù le leggi imponevano sanzioni economiche, multe, sovrattasse e simili sempre più elevate se non addirittura a carattere penale.
Fra i tanti episodi capitati nella professione, mi capita spesso di ricordare quello di un anziano imprenditore che terminata la propria vita lavorativa come dipendente, aveva organizzato una piccola impresa familiare avente ad oggetto il noleggio di due o tre vetture prestigiose per cerimonie e simili.
Avendo utilizzato la propria liquidazione per l’acquisto di tali vetture, aveva raggiunto un accordo con l’anziano vicino di casa che all’occorrenza, quando capitava una cerimonia, fungeva da autista e anche da meccanico e tuttofare.
La moglie di questi, parliamo sempre di persone in età avanzata, provvedeva viceversa a tenere pulito il garage e le autovetture.
Quando si acquisiva un cliente per una cerimonia, essi partecipavano, secondo accordi prestabiliti, al compenso percepito.
Con questo sistema i tre anziani per circa cinque anni avevano arrotondato le proprie pensioni e il proprietario delle vetture, aveva sempre curato in modo meticoloso il rispetto delle normative fiscali, per ciò che riguardava gli utili percepiti.
Tuttavia costui non aveva previsto l’intervento severo e ben poco comprensivo, della Amministrazione fiscale che si concretizzava in una visita di routine presso tutti i garage della zona.
Gli addetti riscontravano effettivamente, più o meno, il rispetto della disciplina sotto il profilo tributario, tuttavia notavano che nel garage erano presenti altri due soggetti (indicati come autista e colf) i quali dichiaravano di collaborare da oltre cinque anni.
Poco tempo dopo si presentavano al cliente gli ispettori dell’Inps i quali rilevavano l’omissione degli obblighi contributivi, la mancata iscrizione alla previdenza, la mancanza delle comunicazioni di legge, e quindi applicavano sanzioni per cifre superiori al valore delle autovetture, con un onere all’epoca di oltre 100 milioni di lire.
Per comprendere come si arrivasse a tali cifre, basta considerare che la normativa Inps prevede per omessi contributi per ogni lavoratore, le sanzioni civili oltre i contributi, evasi al tasso del 30% su base annua, calcolati sull’importo dei contributi evasi con un minimo di 3.000 euro indipendentemente della durata della prestazione lavorativa accertata.
Il che è come dire che per una sola giornata di lavoro in nero il datore di lavoro può essere punito con una sanzione minima di tremila euro.
A queste vanno aggiunte ovviamente le sanzioni amministrative per la mancata comunicazione e per la mancata iscrizione all’Inps da euro 1.500,00 ad euro 12.000,00 per ciascun lavoratore in nero, maggiorata di 150 euro per ciascuna giornata di lavoro effettivo, il tutto cumulabile, con le altre sanzioni e naturalmente con i contributi asseritamente evasi per cinque anni computabili, nel caso de quo, in circa 50 milioni per ciascuno dei due lavoratori. E sorvoliamo sulle altre sanzioni accessorie.
Di fronte ad una catastrofe simile, pur proponendo tutti i rituali ricorsi, al pensionato-imprenditore, non rimaneva, per evitare l’esecuzione forzata, che spogliarsi dei beni, vendere le autovetture e chiudere l’attività, così come avvenne realmente.

LA SITUAZIONE ATTUALE: ISCRIZIONI IPOTECARIE A TAPPETO, LA PERDITA DI POSTI DI LAVORO

Il fatto che lo Stato abbia bisogno di denaro (e se ne sia accorto improvvisamente) segue anni di lassismo, che aveva fatto maturare nel cittadino la convinzione secondo la quale comunque tra sanatorie, condoni, pagamenti ridotti et similia, si sarebbe sempre potuto risolvere un problema tributario.
Il nuovo regime ha dato luogo ad una situazione di forte sgomento ed insicurezza oltre che di sfiducia nei confronti della Pubblica Amministrazione, per nulla percepita come il soggetto che provvede ai comuni bisogni, bensì come un esattore ingiusto ed aggressivo che, come nel caso dello Sceriffo di Nottingham, sottrae danaro ai cittadini, danaro che viene nelle migliori delle ipotesi mal gestito, se non sottratto dai politici.
A fronte delle imposte e dei contributi evasi, con il tempo vengono richieste somme estremamente rilevanti, non sopportabili dal contribuente con iscrizioni ipotecarie per il doppio degli importi pretesi, non infrequentemente in danno dell’unica casa di proprietà.
Tenuto dunque conto dell’indebitamento fiscale dei cittadini in modo estremamente diffuso fra la popolazione, ed in assenza di soluzioni che permettano una transazione in termini riduttivi rispetto alle enormi somme richieste, appare comprensibile non solo il malcontento, ma anche l’esplodere di reazioni inconsulte, così come è dato osservare talvolta.

IRRIGIDIMENTO DELL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
Il clima di caccia alle streghe che si è creato in pochi mesi, da parte del Fisco, ha gettato nel terrore non certo i soggetti che già avevano organizzato un meccanismo per far fronte ad evenienze di questo genere (quali l’intestazione di beni a terzi, la costituzione di società ad hoc e simili), quanto proprio i soggetti più deboli ed esposti all’aggressione fiscale, e cioè quelli che si son visti ipotecare l’unico immobile, pignorare la modesta retribuzione, bloccare il conto in banca, o subire il fermo amministrativo della vettura.
Tra l’altro è appena il caso di osservare che una così violenta stretta sui contribuenti che non pagano, e l’esercizio di pressanti azioni per recuperare le somme dovute, coincide e contribuisce alla perdita dei posti di lavoro e ad un impoverimento generale, sicché il fenomeno viene ancora più patito dai soggetti aggrediti dall’Amministrazione Fiscale e percepito con un atto di profonda ingiustizia.
Si assiste inoltre a fenomeni nuovi, prima inesistenti: capita ad esempio che un soggetto venga a sapere che è in corso un accertamento da parte dell’Amministrazione Fiscale non dall’Agenzia delle Entrate, bensì dalla propria banca che gli comunica di aver ricevuto la richiesta degli estratti conto da parte del Fisco.
E’ un po’ come leggere sul giornale di essere imputati ancor prima di ricevere l’avviso di garanzia.
Ancora più ingiusto viene percepito il controllo dell’Amministrazione Fiscale su tutti indistintamente i conti correnti, laddove al di là della mancanza di privacy, stile “grande fratello”, sussiste il timore che si invertano i ruoli. Anziché essere l’Amministrazione Pubblica che decide di indagare un soggetto e quindi esamina le operazioni bancarie effettuate, si opera ex adverso, e cioè si esaminano le operazioni bancarie di tutti i cittadini, per esaminare se vi è qualcuno da indagare.
Ipotesi che in giurisprudenza è sempre stata ritenuta assolutamente illecita.

Va aggiunto, sotto tale profilo, che l’Amministrazione pubblica e la Corte dei Conti ritengono responsabile il funzionario il quale non adempia ai propri compiti e comporti un danno all’Erario, come per esempio allorché faccia prescrivere un credito o faccia decadere l’amministrazione dal proprio potere impositivo. Il che fa comprendere perché spesso vengano emesse cartelle assolutamente irrazionali prive di fondamento o peggio assolutamente illegittime, tutti fatti che costringono il contribuente ad estenuanti ricorsi, tentativi di autotutela e di impugnazione dei provvedimenti ricevuti.

COME DIFENDERSI DAL FISCO: LE COMMISSIONI TRIBUTARIE
Apparentemente il contribuente avrebbe un adeguato mezzo di difesa nelle Commissioni Tributarie.
Infatti allorché ritenesse di essere stato tassato ingiustamente o comunque di fronte ad una pretesa che non ritiene legittima da parte dell’Amministrazione Pubblica, egli si potrà rivolgere alla Commissione Tributaria.
Il procedimento si svolge in primo grado avanti la Commissione Tributaria Provinciale ed in secondo grado avanti la Commissione Tributaria Regionale.
Per motivi di diritto è ammissibile, così come avviene per i processi civili, il ricorso alla Corte Suprema di Cassazione avverso la sentenza del giudice di appello.
La Commissione Tributaria è competente per tutte le controversie che riguardano i tributi, le sanzioni amministrative, interessi ed accessori, richiesti dall’Agenzia delle Entrate.
Il ricorso deve essere notificato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto, ovvero dopo 90 giorni se si impugna una mancata richiesta di rimborso.
Nei 30 giorni successivi il ricorrente deve costituirsi in giudizio depositando il ricorso con la documentazione necessaria.
La Commissione Tributaria deve fissare la data di discussione del ricorso, inviando comunicazione al contribuente e all’Ufficio Fiscale.
Purtroppo va detto però che le udienze di discussione dei ricorsi, vengono fissate a notevolissima distanza di tempo.
Invece, l’Equitalia provvede all’iscrizione ipotecaria ed agli altri mezzi di esecuzioni in tempi rapidissimi, ed una volta iscritta ipoteca sull’immobile, l’Amministrazione Fiscale anche in caso di vittoria del contribuente, se decide di impugnare la decisione, non provvede affatto alla cancellazione, con ciò continuando a danneggiare il cittadino.
E’ pur vero che recenti orientamenti ritengono che l’amministrazione finanziaria possa essere condannata anche ex art.96 c.p.c. allorché ”…il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare o trascritta domanda giudiziale o iscritta ipoteca giudiziale oppure ha iniziato e compiuto l’esecuzione forzata, su istanza da parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore precedente che ha agito senza normale prudenza…”, tuttavia una sentenza successiva di anni, pur di accoglimento e condanna della Pubblica Amministrazione ben poco risarcisce a chi ha subito 3 o 4 anni prima il pignoramento della retribuzione, il blocco del conto in banca, o peggio l’ipoteca sul proprio immobile.

SPROPORZIONE TRA I POTERI DELL’AMMINISTRAZIONE FISCALE ED I POTERI DEL CONTRIBUENTE. LA CESSIONE STRUMENTALE DEI BENI

E’ un dato di fatto che mentre l’Amministrazione fiscale può agire in termini brevissimi con i provvedimenti sopra richiamati che creano nel cittadino un danno irreversibile oltre che uno stato di ansia per anni e anni, (si tenga conto che non infrequentemente l’abitazione è l’unico bene acquistato con il lavoro di una vita), d’altra parte il contribuente per ottenere giustizia deve impegolarsi in lunghissimi processi, sostenere oneri rilevanti di commercialisti ed avvocati, e se ottiene giustizia, come detto, la ottiene in tempi irragionevolmente lunghi.
La stessa durata del processo, il fatto di aver subito il blocco dei conti correnti, l’ipoteca sull’immobile, o il pignoramento dello stipendio, al di là del rigetto della pretesa del fisco, crea comunque un danno non risarcibile certo in termini monetari.
In queste condizioni è dato osservare come molti soggetti aggrediti dall’Amministrazione fiscale o da quella previdenziale cerchino un rimedio nel rendersi nullatenenti, cedendo i propri beni legalmente o talvolta fittiziamente.
Infatti i costi dei trasferimenti notarili molto spesso appaiono di gran lunga inferiori rispetto alle pretese fiscali e mettono il contribuente nella condizione di affrontare il giudizio con diverso spirito. Va detto che l’Amministrazione fiscale non è in grado di impugnare tali cessioni sotto il profilo dell’art. 2901 c.c., con l’azione revocatoria, sia essendo impossibile dimostrare la consapevolezza del pregiudizio da parte dell’acquirente (presupposto della dichiarazione di inefficacia della vendita), sia per l’enorme numero di cessioni effettuate, sia perché l’Amministrazione fiscale sul punto non è neanche in grado di affrontare un processo di anni, peraltro piuttosto costoso.

NEGLI ALTRI PAESI LA BATTAGLIA E’ AD ARMI PARI
Di fronte a questa situazione, e tenuto conto della notevole diffusione dell’indebitamento fiscale tra la popolazione, non è difficile ipotizzare che lo Stato sarà ben presto costretto a ricorrere ad una soluzione che dia la possibilità a tutti di poter regolarizzare la propria posizione in termini onorevoli, qualunque sia il nome che si intende attribuire al provvedimento, laddove l’esecuzione delle pretese economiche del fisco urta contro la scarsità dei mezzi economici dei cittadini, né certo favorisce una maggiore fiducia, al di là degli spot televisivi, nei confronti dell’Amministrazione Fiscale.
Se si esamina la situazione negli altri Stati, si evince che la normativa mette le posizioni difensive dell’Amministrazione Fiscale e del cittadino sullo stesso piano, da un lato senza privare delle necessarie azioni a tutela dei diritti economici la Pubblica Amministrazione e dall’altro permettendo al cittadino una difesa incisiva e soprattutto rapidissima al fine di ottenere una decisione sul tema.
Il meccanismo è estremamente semplice: il cittadino, il quale ritenga la richiesta fiscale dell’Amministrazione finanziaria illegittima, ben potrà subire l’ipoteca dei propri beni o gli altri provvedimenti di garanzia per la Pubblica Amministrazione, ma avrà egualmente diritto a poter ricorrere al giudice tributario, il quale pronuncerà una sentenza entro un termine brevissimo, di uno o due mesi al massimo dal ricorso.
In caso diverso, ove il giudice tributario non emetta il provvedimento nel termine perentorio stabilito dalla legge, i provvedimenti coattivi dell’Amministrazione Fiscale e le pretese si intenderanno caducate.

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