Circolano  in rete, ma anche nell’etere forme  ben  più subdole dell’ antifemminismo dichiarato.

Il primo è  il femminismo rassicurante. Affonda  le sue radici negli anni ’50 e nei peggiori stereotipi piccolo borghesi. Ma vuole dare un’immagine evoluta e indipendente, riuscendoci  abbastanza con l’ampia audience involuta. Si tratta di donne di tutte le età e gli schieramenti, dai 30 ai 60 anni, che intervengono spesso su  questioni di genere. Hanno ampio spazio come applaudite opinioniste e imperversano nei social network. Sono accolte a braccia aperta dai media perché fanno “punto di vista femminile” – secondo loro – “urticante”, ma soprattutto dai giornali di destra (quelli che fanno titoli  del tipo “al Pd non piace la gnocca”) che scrivono di moralismo e di libertà (dell’ex premier, ma solo di lui) essendo per lo più  illiberali sulle questioni basilari della libertà e del corpo: dall’aborto all’eutanasia. 
In genere, nello stile, queste agguerrite penne femminili sfoderano  sarcasmo verso qualsiasi argomento sollevato dalle femministe militanti con un solo obiettivo: la normalizzazione  di qualsiasi questione che disturbi. Per cui generalmente si accaniscono contro Loredana Lipperini, Michela Marzano, e odiano Lorella Zanardo: si schiererebbero con un prete di estrema destra pur di dargli contro. E questa è la chiave del successo. Pur criticando tutte e tutti, non sono mai superiori alle critiche che temono esattamente come temono lo sguardo maschile che  ostentano di disdegnare. Capiscono poco o niente di comunicazione, pur sguazzandoci dentro da secoli,  si crogiolano e conoscono perfettamente le scemenze della contemporaneità senza capire l’origine né il fine. Soprattutto, pasticciano ogni argomento. Sono molto molto glamour.  Almeno ci provano. E allora parlano anche  di uomini da rimorchiare,  smalti, cucina e tacchi tanto per  prendere le distanze dalle vecchie femministe di una volta che si volevano mal vestite e mal conce. Cioè lo stereotipo –  alimentato nel tempo e anche da un po’ di verità – che ha allontanato le giovani generazioni dalle questioni sociali legate alle donne. Un po’ come i comunisti per Berlusconi. E che hanno fatto dell’Italia il 70esimo paese  al mondo per il gender gap. Farle scivolare è semplicissimo: basta confrontarle con la realtà e magari chiedergli cosa pensano dell’aborto.
Reginetta: Selvaggia Lucarelli.

Dopo di che c’è il  peggiore: il femminismo  mediatico, quello espresso solo nei  media da sempre  gestiti  da uomini o anche  da donne ma che  ammazzerebbero la  propria congenere  pur di non farla passare mai da nessuna parte. E’ il peggiore soprattutto perché è il riferimento della politica che pensa alle donne solo compiacendo quei parametri.  Lo spazio di una notizia si intende. Spesso, esprime a  sua volta esponenti politiche. Le protagoniste  di questo femminismo hanno disdegnato e liquidato negli anni passati  le questioni  sociali femminili  come qualcosa di poco interessante, di superato (almeno da loro: ciò che più importa), di legato a donne poco attraenti e rompiscatole. Col dilagare di Berlusconi s’è capito che non si potevano pubblicare solo foto di olgettine e di divette  in mutande nelle pagine della politica come se niente fosse. Solo che si scontavano anni di silenzio. Non sapendo come colmare il vuoto  hanno cominciato nel modo più sfigato: donne come vittime, e lui come  vile predatore e guarda quante se ne porta a letto. Sporcaccione. Uno strazio unico. Da lì è  iniziata la penosa guerra nei media.  Da sinistra hanno moraleggiato, da destra hanno accusato di moralismo. Donne, corpi, sesso e libertà fondamentali  fatti a pezzi.  Si sono creati dei mostri come Se non ora quando, dove  si sono ammucchiati problemi vecchi e questioni nuove in una grande confusione utile solo a cacciare il puttaniere nazionale. Individuate due o tre relatrici ottime per tutte le stagioni,  gli hanno fatto dettare legge su cosa vogliono le donne italiane. Solo che  si vede lontano un miglio  che non glien’è mai fregato niente. Semplicemente è  utile come manipolazione politica, ma  senza dare troppo fastidio. Soprattutto senza cambiare niente.
Reginetta : Concita De Gregorio, ex equo con Daria Bignardi e le sorelle Comencini.

Poi c’è il femminismo di Salò  che affonda le radici nel  modello Rachele.  Lei è sicuramente madre,  sopporta le corna e è la regina della casa, della situazione, del posto. Del territorio. Difende il suo maschio fino alla fine,  si fa proteggere da lui e si aspetta che lui la protegga.  Vive  in funzione dello sguardo maschile ma  rivendica  indipendenza, che diventa  strilli e mani su fianchi  come una vecchia  lavandaia. La  sua protagonista inizia discorsi  con la premessa “in quanto donna e madre”.  Antiabortiste per eccellenza.
Reginetta: Daniela Santanché, pari merito con Alessandra Mussolini.

Per finire c’è  quello vero, il femminismo  militante, quello che viene dal passato e che ha saputorinnovarsi  nel tempo. E’ quello più avanzato e allineato con le grandi sfide europee. Appunto per questo se ne sa poco e va captato con cura. Comprende donne di  – spesso – grande ingegnoe di  impegno. A volte piuttosto note, altre volte, quelle che lavorano nelle sedi delle associazioni femminili  assolutamente sconosciute. Dalla scrittura di  articoli colti e azzeccati  fino a quelle che distribuiscono volantini, ascoltano e si battano per le donne da quando sono nate, passando per blogger in rete, associazioni  e semplici donne solo intelligenti e libere. Sono per lo più silenziate dai  femminismi di cui sopra. Talvolta esprimono posizioni fin troppo radicali sulle grandi questioni, ma  è qui che  si muovono le cose,  soprattutto grazie alle infinite contraddizioni. Qui si allineano scontri e opposte fazioni, ma è spesso tutto molto  creativo:  si cerca, si avanza. E’ odiato e marginalizzato  nei limiti del possibile dai media  main stream e fa paura sempre. Nessuno vedrebbe mai una vera femminista da Santoro per capirci.  Rimette in questione postulati e  pre concetti. E’  il femminismo  che fa succedere le cose.  Le protagoniste sono dette  “vetero femminsite” o femministe  d’antan. Deve infatti far ricordare zoccoli, gonne a fiori e gambe irsute. Si tenta di renderlo sessualmente respingente per isolare i contenuti.
Reginetta: Marina Terragni ma tantissime altre, serie e meno serie.

I vari tipi si mischiano spesso tra di loro, e questo si è visto perfettamente nella trama degli accadimenti delle scorse giornate politiche.

Così una deputata grillina, l’onorevole Lupo,  che protestava sotto lo scranno della presidente della Camera  è stata malmenata da  un questore. Laura Boldrini e la maggior parte dei media non hanno rilevato la questione se non come cattivo comportamento della grillina.  Molte  – donne – hanno sostenuto il questore, cioè il maschio che deve difendere la donna, che ha menato duro.   Femminismo  mediatico e di Salò: vale più la questione politica, e svela la visione antiquata: l’uomo deve difendere la donna in difficoltà.  Non prevede autodeterminazione. 

La parte più triste è stata la denuncia delle deputate  di sinistra che sono state chiamate “pompinare” da un grillino. Non è triste la denuncia, ma la guerra tra schieramenti. Chi la fa l’aspetti hanno detto da destra e le femministe rassicuranti hanno subito replicato: è stato detto anche a Carfagna e alle altre. Vero. Solo che Carfagna – Gelmini sono finite in un’intercettazione ormai nota nei contenuti (ma poi fatta sparire), che è stata  però sollevata da  destra, in particolare da Margherita Boniver. Da allora  abbiamo anche ascoltato  non solo le lamentele  della ex signora Berlusconi ma anche i resoconti registrati delle  protagoniste delle cene di Arcore. E quindi, più che a illazioni, si è giunti a delle ovvie conclusioni. Tuttavia, è sempre condannabile che a una donna la prima critica che si faccia sia quella della sue prestazioni sessuali a servizio di un uomo. Femminismo  rassicurante e mediatico:  non importa cosa sia accaduto, ma importa  dare contro a un certo tipo di donne.  E poi la guerra è solo politica. Le donne sono solo uno strumento.

Top of the year,  l’orrida questione aperta tra Daria Bignardi e il grillino Di Battista al quale chiede “che si provi ad avere un padre fascista”. E’ l’esempio perfetto del femminismo mediatico, totalmente inconsapevole perché figlio di una trama di caste e privilegi, lontano secoli dalla vita reale.  Come si fa a avere  una coscienza  del proprio mestiere e fare domande di questo tipo?  E’ arrivata la replica dall’ufficio comunicazione  di Grillo, Rocco Casalino, che  chiede “che si prova ad avere un suocero assassino?” riferito a Adriano Sofri di cui Bignardi è la nuora.  Si è scatenata una cordata di sdegno. Come se  Daria Bignardi fosse intoccabile per natura. Forse in quanto donna?  La parte più tragica  è stata  però la replica di Adriano Sofri dal Foglio – giornale di destra –  in difesa della nuora che  lavorava  per il Grande Fratello di Berlusconi. Un tripudio di casta e di Italia sfrantumata. Quelli che vogliono fare la sinistra ma  si nutrono della destra di Berlusconi.  Inutile dire: il femminismo mediatico ha sostenuto Bignardi mentre quello rassicurante  le dava addosso.

Il gran pastrocchio è stato poi nella lite Cappellacci  Murgia. L’una dà dello Schettino a Cappellacci (quindi dice  con una metafora efficace che  non  è in grado di guidare una nave e quindi la regione Sardegna) lui risponde che lei  ha la stazza della Concordia. Il concetto è che  essendo in sovrappeso  lei non sarebbe abile a guidare una regione.  Le femministe  rassicuranti sono corse a  fare un gran miscuglio mettendo sullo stesso piano donne di sinistra Bignardi e Murgia, condannando  i loro atteggiamenti entrambi sbagliati. La destra ha sempre il suo vantaggio, ovviamente.

Ma si potrebbe continuare all’infinito, e usando questa griglia di lettura,  è evidente quanto il solo tema che non interessa siano  appunto le donne,  come sempre protagoniste, ma  senza recare disturbo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *