Happiness water sostiene il progetto di riqualificazione territoriale Farm Cultural Park. Sta scritto sulle etichette ciclamino scuro a pois dell’edizione limitata dell’acqua Lauretana, distribuita lungo le tappe dislocate nella città di Favara, in provincia di Agrigento. Favara è una città devastata dall’abusivismo. La sensazione all’arrivo è di un luogo abbandonato per lungo tempo, a causa di un cataclisma o di qualche altra catastrofe silenziosa, che sia stato abitato di nuovo da qualche mese appena.

I progetti di Andrea Bartoli ― notaio appassionato d’arte contemporanea che dal semplice collezionismo ha convertito la sua passione in mecenatismo agit-prop – constano di due locations e due distinte esperienze. Connesse, però, dall’arte e dall’investimento privato in cultura. Una è la Farm di Riesi. Casale settecentesco riadattato a ospitare installazioni, eventi e, da poco, anche progetti di architettura temporanea e residenze. La seconda è un centro culturale turistico contemporaneo, localizzato all’interno di Sette Cortili, kasbah siciliana nel cuore del centro storico di Favara.

 

iazza_garraffello_10_giugno_2010_FAVARAA due passi dalla Valle dei Templi
Il paese è a soli otto chilometri dalla agrigentina Valle dei Templi ed è connotato da un senso di provvisorietà che sta tuttavia permettendo una conversione esemplare, dovuta al forte investimento su un tipo di cultura di matrice europea: divertente, provocatoria e attiva sul tessuto sociale più derelitto. «I tre luoghi che a vario titolo hanno ispirato Farm Cultural Park sono il Palais de Tokyo di Parigi, Camden Town di quindici anni fa (a Londra, n.d.r.) e soprattutto Place Jemaa el Fna a Marrakech», dice Bartoli in un’intervista rilasciata a Giancarlo Politi su Flash Art di febbraio scorso. «Ribaltare cultura mafiosa, illegalità edilizia, tempo immobile», ha scritto Marco Ciriello su D di Repubblica del 30 ottobre 2010, forse si può fare e se provi a condividere per qualche giorno l’esperienza, ti si accende una luce. Non di speranza, ma di realizzabilità già pronta per essere raccontata. Produzione, promozione di giovani artisti appartenenti al Pop surfing (come lo definisce con acume Ivan Quaroni nel suo testo Italian Newbrow edito da Giancarlo Politi Editore nel 2011) come Giuseppe Veneziano, alla Street Art come i torinesi BR1 e Gec-art, a quelli che mescolano fashionism e arte come il gruppo genovese Corpicrudi, o ancora musicisti indipendenti come gli Akkura.

Una mostra permanente è poi dedicata, sempre a Favara, al fotografo statunitense Terry Richardson[1][1] e al fotografo di moda australiano Brian Walker. Fra tutti spicca Uwe Janesh, l’artista austriaco che per più di dodici anni ha agitato piazza Garaffello, convivendo problematicamente con la galleria di Francesco Pantaleone. Certo la lista è nutrita e assolutamente multiculturale, con una particolare attenzione agli artisti siciliani, transfughi e stanziali. Ironia dunque, denuncia, capovolgimento della realtà, provocazione e partecipazione, sono gli ingredienti che guidano la maggior parte delle azioni pubbliche dei due motori azionati da Bartoli. Ma soprattutto immediatezza, accoglienza, uso trasversale delle risorse e, ancora, uso delle piattaforme web 2.0, quindi dei social networks, e di vetrine frequentatissime come Youtube. Tutto ciò per surclassare il dominio del critico erudito, e la sua auctoritas, a favore di un’arte partecipata e accessibile, senza cadere nell’adusato marketplace. Ricordiamo che la famiglia Bartoli è una vera miniera trans regionale, la Bartoli-Felter è, infatti, a Cagliari ed è presieduta da Ercole, fratello di Andrea. Uno dei progetti più interessanti è il Low Cost Design Park a cura del bolognese Daniele Pario Perra, mentre il coreano Dong Bertin e il suo studio di architettura del paesaggio Yellow Office, si occuperanno di sviluppare il concept “Into Favara”. A cavallo tra il 24 e il 25 giugno si sono svolte delle vere e proprie feste, con l’accoglienza a Butera (Riesi) a opera degli scouts, mentre a Favara, il giorno appresso, si poteva acquistare pane e mortadella e pane e panelle, mentre si entrava e usciva dagli appartamenti rilevati e riqualificati dal Nostro notaio. Così le casette per gli uccelli si sono trasformate in 29 nidi d’arte, frutto della collaborazione ― racconta Patrizia Rossella, responsabile del progetto ―, fra scrittori e artisti. Opera di colonizzazione di case ancora devastate dall’abbandono, che inaugurano una collaborazione strategica con il Comune di Calosso, nell’astigiano. Circolavano anche free press come discorerysicily.it, e spiccava il brand “CHE BELLO” creato dal giovane architetto Francesco Lipari, che unitamente alla bandiera e alla chiocciola[2][2], tutto rigorosamente viola, troneggiavano a contrassegnare la sede operativa di Farm-culturalpark insieme a una precisa filosofia di fruizione, autopromozione e produzione. In uno dei cortili un’istallazione di neri veli traslucidi sospesi nel vuoto insieme al gracchiare delle cornacchie individuavano l’efficace opera sonoro-spaziale di Vanessa Alessi I’m here. Le novanta pistole di “Un pezzo da 90” appese, temporaneamente, in uno dei tanti luoghi aperti per l’arte erano invece l’installazione di Daniele Alonge.

Residenza artistica e progetti condivisi
Insomma, architettura e utopia intese come riprogettazione degli spazi per rendere la vita migliore. “Credo con convinzione – spiega Andrea Bartoli – che vivere in spazi belli, puliti e ricchi di stimoli sia salutare e basilare per la formazione e crescita culturale delle nuove generazioni”. Anche il rapporto con l’artista in questo senso viene a cambiare. “Comprare un lavoro d’arte a una fiera, portarlo a casa e appenderlo in salotto – prosegue Bartoli – diventa troppo poco rispetto al conoscere l’artista, vivere a stretto contatto con lui e partecipare al processo produttivo dell’opera. È per questo che da diversi anni lo strumento della Residenza è diventato una tappa pressoché obbligata del nostro modo di produrre arte. La bellezza del FARM Cultural Park è che si tratta di un progetto condiviso. Io sono semplicemente la punta della piramide di un bel gruppo di giovani imprenditori e professionisti che non hanno rinunciato al desiderio di vivere in una Sicilia migliore e di contribuire affinché ciò possa accadere. Stiamo cambiando un piccolo mezzo di mondo, facendo diventare il Centro Storico di Favara un polmone della sperimentazione della cultura del contemporaneo. Arte, Design, architettura sono i pilastri di questo progetto che però è anche turistico e quindi ha e avrà ancora di più nel futuro tanti spazi destinati all’ospitalità e alla socializzazione”.260440_10150235013848197_319916653196_7371528_6533155_nFAVARA

FARM Cultural Park è a oggi un progetto interamente sostenuto dai privati. “Neanche un euro pubblico ha contribuito a quanto è stato finora realizzato – riprende Bartoli –; ma speriamo di perdere presto questo primato. Crediamo molto nel lavoro in partneriato e speriamo che i rapporti con le altre organizzazioni del Contemporaneo Siciliane possa diventare sempre più stretto e sinergico. Da parte nostra, abbiamo appena iniziato una prima rassegna che si chiama Enjoy Contemporary SICILY che porterà a Favara nelle prossime settimane i protagonisti del Contemporaneo in Sicilia con una formula che consenta a tutti gli artisti che lo vorranno di far visionare i loro portfolio alle organizzazioni stesse”. E anche il ruolo del cittadino cambia in questo modo. “Credo che oggi più che mai, ogni singolo cittadino debba chiedersi cosa può fare per la collettività, senza aspettarsi che la propria vita o il proprio contesto possa cambiare grazie al sindaco, al presidente della Regione o del Governo. Inoltre sono convinto che qualunque luogo può essere il posto più bello in cui vivere se solo ci si impegna a farlo diventare tale. In quest’ultimo anno centinaia e centinaia di artisti, curatori, giornalisti, turisti e amici sono passati da Favara regalandoci le loro esperienze, la loro cultura, la loro energia. Tutto questo è assolutamente straordinario è sta migliorando la mia vita e quella della mia famiglia, ma anche di tutti quelli che a vario modo e titolo ci stanno intorno”.

Ospite al Belmonte Hotel, sulla cui terrazza si è conclusa la festa, mi sono chiesta se sarei tornata, se avrei voluto poi affrontare un lungo viaggio in automobile, o bus, per vedere le evoluzioni e i cambiamenti che con lentezza, ma anche con costanza, stanno trasformando la vita di uno dei tanti luoghi scempiati della provincia siciliana. Eh si! Ne vale la pena sempre e comunque, mi sono detta, di assistere al potere di cui l’arte si può avvalere per trasformare le cose e conferire un valore coesivo a una comunità che questo senso d’appartenenza aveva smarrito.

 



[1][1] Cresciuto tra Hollywood e Ojai, in California, è figlio del celebre fotografo Bob Richardson. Ha realizzato controverse e spesso censurate campagne di moda per il gruppo Gucci, Levi’s, Miu Miu, Hugo Boss, Anna Molinari, Costume National, Tom Ford e soprattutto Sisley e per riviste come GQ, Vogue, Interview, Harper’s Bazaar e Rolling Stone. La fotografia di Richardson negozia sul confine che separa arte e pornografia. Diario di una narcisistica ricognizione centrata su prodezze erotiche che lo vedono assoluto protagonista di scatti sporchi, volutamente sciatti, o costruiti sullo sberleffo della comune morale borghese. Richardson si colloca apparentemente in linea con il diarismo di Nan Goldin e Wolfgang Tillmans, ma con un occhio puntato al glam. Nel 2010 è il fotografo del calendario Pirelli e per l’occasione sceglie come location Bahia, in Brasile. Nel 2005 Farm organizza la sua prima personale in Sicilia, gemellandola con l’allora associazione culturale catanese Artecontemporanea di Rosanna Musumeci e acquisendo numerose opere fotografiche dell’artista.

[2][2] Simbolo del lento riappropriarsi della qualità della vita, la chiocciola guida verso una ripresa sia etica che economica, secondo l’auspicio degli artisti. È rigenerazione di sestessi attraverso l’imitazione dei lenti processi esistenziali. Questo l’intento del Cracking Art Group, attualmente composto da Renzo Nucara, Carlo Rizzetti, Marco Veronese, Alex Angi, Kicco, William Sweetlowe, sei artisti internazionali che sin dal primo anno di nascita del movimento, misero in luce un forte impegno sociale e ambientale, nonché l’impegno sociale e ambientale nell’uso innovativo di materie plastiche diverse ed evocative di un rapporto sempre più stretto tra vita naturale e realtà artificiale. Ospiti nel 2001 alla Biennale di Venezia.

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