A quanti di voi sarà capitato, girando il mondo, di vedersi spacciare per mozzarella un formaggio di infima qualità (stagionato per di più), oppure di vedere etichette di Chianti con dentro il vino bianco?
Ci mancava l’Organizzazione Mondiale della Sanità che dichiarava potenzialmente cancerogene tutte le carni rosse lavorate. Eppure anche da questo potrebbe partire la riscossa del made in Italy nel settore agroalimentare.
Sì perché tra le nostre salsicce e i whurstel lavorati chissà come c’è una bella differenza. L’Italia da sempre ha fatto della qualità dei suoi prodotti e della loro lavorazione un punto di forza, che purtroppo invece si perde se viene spacciato per italiano quello che italiano non lo è neanche lontanamente.
Ma non basta appiccicare su di un’etichetta il tricolore per poter dire che il prodotto è italiano.
Il ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina ha dichiarato che il 2016 sarà l’anno della riscossa italiana: “Per la prima volta concentreremo tante risorse su una operazione strategica di informazione e la prima vera sfida sarà quella di far capire al consumatore americano che tra parmesan e parmigiano c’è una bella differenza. La campagna promozionale del cibo italiano negli Stati Uniti durerà per tutto il 2016 su vari momenti topici e contesti territoriali. Per questo abbiamo deciso di cominciare dal Texas perché le indagini di mercato eseguite hanno rilevato che in quello stato, con 50 milioni di abitanti, esiste la più alta domanda potenziale di prodotti agroalimentari italiani”.
Lo scorso settembre proprio a New York il ministro Martina ha presentato il segno unico e distintivo del made in Italy, proprio per rafforzare la lotta all’italian sounding.
Questo fa ben sperare ma i numeri fino a questo momento ci dicono che la situazione è disastrosa

I numeri di Coldiretti

La contraffazione e l’imitazione dei prodotti da tavola italiani nel mondo ha superato un giro di affari pari a 60 miliardi di euro; praticamente nei vari supermercati degli altri paesi, due prodotti su tre hanno la bandierina tricolore ma non hanno niente di italiano. Sono dati emersi da un’analisi fatta da Coldiretti e divulgata proprio a Expo 2015 in occasione dell’incontro “La lotta alla contraffazione e alla pirateria”.
In testa ai prodotti più taroccati ci sono i formaggi, come il Parmiggiano Reggiano e il Grana Padano: solo negli Stati Uniti in 9 casi su 10 sono sostituiti dal Parmesan, prodotto nel Wisconsin o in California. Seguono il Provolone, il Gorgonzola, il Pecorino Romano, l’Asiago e la Fontina. Contraffatti anche i salumi più conosciuti come il prosciutto di Parma o il San Daniele e stessa sorte tocca all’olio extravergine di Oliva e le conserve. Altro esempio di contraffazione: c’è il San Marzano, il pomodoro che viene venduto in tutti gli Stati Uniti che viene prodotto in California.
Per non parlare poi di quello che “entra” nel nostro Paese, venduto come italiano ma italiano non è.
E’ stata sempre Coldiretti a lanciare l’allarme: ogni giorno arrivano 3,5 milioni di litri di latte sterile, semilavorati e polveri, per essere imbustati o trasformati per diventare mozzarelle, formaggi o latte italiani, il tutto all’insaputa degli ignari consumatori. Questo mentre le stalle italiane devono chiudere battenti a causa della crisi, visto che il prezzo riconosciuto ai nostri allevatori non riesce neanche a coprire le spese, dal momento che agli allevatori viene pagato meno di 20 anni fa.
Il tutto a discapito della sicurezza alimentare, dal momento che le nostre produzioni sono più che controllate, cosa che non si può dire negli altri paesi. A complicare la situazione ci si mette pure la Commissione Europea che vuole togliere il divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere per la fabbricazione di prodotti lattiero caseari: si darebbe in pratica il via libera ai formaggi senza latte.

I risultati di Expo 2015

Expo 2015 si è chiusa e si tirano le prime somme. Secondo le elaborazioni di Coldiretti su dati relativi al Monitor dei distretti, nel primo semestre 2015 l’export di numerosi prodotti Made in Italy ha registrato una crescita significativa; regina delle esportazioni è risultata la mozzarella di bufala Campana, seguita dalla mele del Trentino, dall’ortofrutta del barese, dai vini del Chianti, dal prosecco di Conegliano Valdobbiadene per chiudere con il riso di Pavia. L’esposizione di Milano ha ovviamente contribuito a far volare l’export di prodotti agroalimentari nazionali che nel 2015 ha raggiunto il record storico con un valore annuale superiore ai 36 miliardi di euro con un incremento del 7% rispetto all’anno precedente. Il Made in Italy fa registrare un vero e proprio boom soprattutto in Cina con un segno positivo del 32% e negli Stati Uniti con un 23% in più.
Numeri che fanno ben sperare soprattutto se si sommano al piano per l’export annunciato dal Governo italiano che prevede, per la prima volta, azioni di contrasto a livello internazionale.

Il commercio del made in Italy nel mondo

Ha iniziato Farinelli con il suo Eataly ad esportare in tutto il mondo i prodotti italiani al 100% e ditemi se non avete gioito per le strade di New York, in astinenza da un buon caffé da giorni, nell’ammirare il palazzo con le bandiere tricolori appese fuori e, come fosse stata un’oasi nel deserto del Sahara, correre dentro per gustarvi un bell’espresso.
Ma sono molte le aziende che stanno anche tentando la via del commercio on line. Tanti però offrono sia prodotti tipici italiani che stranieri, riconoscendo ad ognuno ovviamente la provenienza.
Weloveat, ad esempio, offre solo prodotti italiani di piccole aziende, spesso a conduzione familiare che diversamente non avrebbero la forza di farsi conoscere ai consumatori di tutto il mondo.

Vincono le piccole

E pare proprio che a fare da traino, ancora una volta, per il made in Italy, siano proprio le piccole e medie aziende. Secondo i dati presentati da Confartigianato, sempre ad Expo 2015, sono proprio le piccole imprese italiane agroalimentari a registrare un segno positivo per quanto riguarda le esportazioni. Nell’ultimo anno, sono arrivate a 113,8 miliardi di euro, pari al 7,1 del Pil, con un aumento di 4,6 miliardi pari al 4,2% rispetto all’anno precedente; solo nei primi sei mesi del 2015, le esportazioni di prodotti di piccole aziende hanno fatto registrare 57,1 miliardi di euro, con una crescita di 2,6 miliardi in confronto al primo semestre del 2014 (+4,9%).

Riassumendo tutti i dati qui raccolti, va sottolineato quindi che l’Italia non solo deve difendere la qualità dei suoi prodotti ma soprattutto puntare sulle sue piccole e medie imprese, magari a conduzione familiare ma con una tradizione secolare alle spalle, che è poi sinonimo di qualità. Speriamo che il programma governativo di difesa tenga presente tutto questo.

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