In tema di separazione e divorzio e cioè nell’ambito della crisi di un rapporto matrimoniale, la legge stabilisce tutta una serie di meccanismi utili a recuperare le somme dovute per il mantenimento nell’ipotesi che non vi adempia il coniuge obbligato.

L’AZIONE NEL PROCESSO DI SEPARAZIONE

In tal senso nell’ambito della separazione accanto alla tutela offerta attraverso i normali mezzi dell’esecuzione forzata (pignoramento diretto, presso terzi ed immobiliare), previsti dall’ordinamento, l’art. 156 c.c. prevede espressamente una serie di mezzi di tutela a favore del coniuge avente diritto all’assegno di mantenimento ed all’assegno alimentare che consistono:
A) Nella possibilità di costringere l’obbligato a prestare idonea garanzia reale o personale;
B) Nella possibilità di sequestro sui beni dell’obbligato ovvero di ordine ai terzi debitori di quest’ultimo di versare le somme dovute direttamente al coniuge creditore;
C) Nell’attribuzione nella sentenza di primo grado di titolo valevole per l’iscrizione dell’ipoteca sui beni del coniuge obbligato;
Su quest’ultimo punto l’affermazione del codice appare inutiliter data o quanto meno sovrabbondante dal momento che comunque la sentenza di primo grado costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale come statuisce l’art. 2818 c.c..
Di estremo interesse viceversa è la possibilità di ordinare ai terzi (in genere il datore di lavoro) di provvedere al pagamento dell’assegno dovuto in luogo del debitore.
Per ottenere un simile provvedimento è presupposta la dimostrazione di un inadempimento e quindi il magistrato richiede sempre la dimostrazione del ritardo nonostante l’intimazione e cioè in pratica la produzione del precetto di pagamento e nel caso dell’eventuale pignoramento

L’ORDINE DI PAGAMENTO NEL DIVORZIO

Di gran lunga più facilitata è la procedura nell’ambito del processo divorzile laddove la legge n° 898/70 e successive modifiche, all’art. 8 commi da 3 a 7, prevede espressamente una procedura similare, ma rimettendo l’esecuzione direttamente in mano all’avvocato del coniuge creditore e ponendo il pagamento dell’assegno mensile direttamente a carico del terzo, normalmente il datore di lavoro.
La procedura, mancando l’intervento del magistrato è la seguente:
A) Va posto in mora il debitore mediante almeno l’invio di una raccomandata con ricevuta di ritorno. In caso di irrintracciabilità farà fede la certificazione di residenza. Successivamente dovranno decorrere inutilmente trenta giorni;
B) Va notificato il provvedimento giudiziale al terzo tenuto alla prestazione periodica unitamente all’invito a corrispondere, ai sensi della legge n° 898/70 e successive modifiche, le somme dovute. Non è prevista la necessità della formula esecutiva sul provvedimento né l’assegnazione di un ulteriore termine al terzo per l’adempimento;
C) In caso di inadempimento anche  del terzo, il coniuge avente diritto “ha azione diretta ed esecutiva nei suoi confronti”. In assenza di un termine di attesa, potrà ritenersi applicabile il termine generale minimo di messa in mora di quindici giorni;
In ogni caso non si può superare il 50% della retribuzione.

MANCATA NORMATIVA IN CASO DI CRISI DELLA CONVIVENZA

Restava però il problema della mancata previsione, anche nell’ambito della convivenza, circa l’ordine al terzo di pagare il mantenimento stabilito dal Tribunale.
La questione era stata indirettamente risolta nel 1997 con la sentenza n° 99 della Corte Costituzionale, la quale, respingendo le eccezioni di incostituzionalità sollevata da un Tribunale che appunto rilevava come i figli non avessero tale tipo di tutela, precisava (in tema di sequestro, ma la situazione è parificabile all’ordine al terzo di pagare) “che tale disposizione deve ritenersi egualmente applicabile anche al di fuori del procedimento di separazione da parte del giudice competente e quindi anche per le controversie concernenti il mantenimento dei figli naturali”.
Nel 2012 con la legge n. 219 la posizione e la tutela dei figli viene parificata in forza degli art.li 337 bis e seguenti c.c. (Esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio, ovvero all’esito dei procedimento relativi ai figli nati fuori dal matrimonio).
Con l’art. 3 della stessa legge, si prevedeva la possibilità anche per le crisi della convivenza di ordinare ai terzi (i datori di lavoro) di pagare direttamente l’assegno dovuto ai figli.
Restava il problema se si dovesse far luogo alla procedura prevista dal Codice Civile per la separazione, richiedendo al magistrato il provvedimento nei confronti del terzo, ovvero potesse farsi riferimento direttamente alla procedura divorzile che non necessita neanche dell’interevento del magistrato.  
Nella scarsa chiarezza della norma, si riteneva che la procedura esatta in assenza di specificazioni, fosse quella di ricorrere al giudice, richiedendo dopo il provvedimento che attribuiva un assegno di mantenimento in favore del minore, l’ordine da parte del magistrato al datore di lavoro di versare l’assegno.
È intervenuto tuttavia sul punto un decreto del Tribunale di Milano (24/04/2013 sezione 9°) che decideva appunto sul ricorso di una donna la quale richiedeva al Tribunale di disporre il pagamento direttamente a carico del datore di lavoro del proprio compagno.
Il Collegio cercava di raggiungere una soluzione conciliativa della controversia, ma senza esito.
Tuttavia decidendo nel merito, il Tribunale di Milano riteneva non ammissibile la procedura al giudice in quanto la legge intervenuta n° 219 del 2012 pur prevedendo all’art. 3 che “Il giudice può ordinare ai terzi tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all’obbligato, di versare le somme dovute direttamente agli aventi diritto secondo quanto previsto dall’art. 8 II comma e seguenti della legge 01/12/1970 n° 898”, si rifaceva alla disciplina divorzile che escludeva la necessità dell’intervento  del giudice.
Infatti, pur nell’ambiguità della norma che sembrava riservare il provvedimento al Tribunale, in realtà richiamando la normativa divorzile, doveva ritenersi che fosse sufficiente l’intervento del solo avvocato per imporre direttamente l’ordine di pagamento a carico del datore di lavoro.
Conseguentemente in caso di mantenimento non rispettato in ambito di crisi della convivenza, non è più necessario secondo tale decisione di merito, ricorre al giudice.
Sarà l’avvocato che autonomamente potrà procedere alla richiesta del pagamento diretto da parte del datore di lavoro.    

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