Tra vent’anni gli studenti universitari, seguendo un corso di storia economica, analizzeranno a fondo la crisi iniziata nel 2008, nel difficile intento di definire i rapporti di causa-effetto che nel 2011 hanno quasi portato all’implosione non solo dell’Eurozona, ma della stessa Unione Europea.
Si impegneranno per comprendere come sia stato possibile passare da un tracollo finanziario di carattere squisitamente privato, innescato da una bolla immobiliare americana alimentata dalla folle concessione di mutui senza garanzie, alle manovre correttive della spesa pubblica imposte ai cittadini di alcuni paesi europei, tra cui l’Italia.
Per quanto riguarda il nostro Paese, l’anno che sta per terminare è stato segnato da cambiamenti di indirizzo non solo sul piano prettamente economico, ma anche su quello politico e sociale. L’impressione è quella di un risveglio dopo un decennio di torpore: se prima le difficoltà strutturali erano percepite in modo latente, offuscate da un clima di surreale ottimismo, adesso si assiste ad una presa di coscienza nazionale rispetto alla realtà ed alle prospettive future. Il passaggio tra i due stadi, emblematicamente rappresentato dall’insediamento del governo Monti, non poteva essere che brusco e doloroso, ma anche necessario per la sopravvivenza. Al di là della linea economica e dei singoli provvedimenti, sui quali si può e si deve essere critici, è necessario infatti registrare il ritorno del dibattito nazionale negli ambiti di competenza, in merito a questioni decisive per il futuro quali il debito, l’occupazione, la crescita, la concorrenza.
La sete di “cose serie” degli italiani, probabilmente stanchi del teatrino politico degli anni passati, è stata perfettamente recepita dall’attuale Premier: “sulla carta il tasso di gradimento e popolarità di questo governo dovrebbe essere pari a zero e mi stupisco del fatto che invece non sia così”, ha dichiarato all’inizio della tradizionale conferenza stampa di fine anno di giovedì. L’appuntamento istituzionale, durato circa due ore e mezza, è servito a Monti per illustrare sia le motivazioni delle misure adottate finora, sia gli obiettivi per l’anno nuovo, anche se sul secondo punto non c’è ancora nulla di definito. Sotto il primo aspetto, nell’intento di giustificare la manovra “salva-Italia”, il Professore ha spiegato che “può avere un impatto recessivo, ma non farla avrebbe avuto sicuramente un impatto più recessivo facendo scoppiare il sistema”, aggiungendo poi che “sarebbe stato rovinoso per l’Italia, visti i forti dubbi di credibilità, non passare alla fase di rigorosa attuazione degli impegni presi anche in contropartita dell’intervento della Bce (…) Era un atto dovuto, da oggi passiamo agli atti voluti”.
Il risanamento dei conti pubblici, in sostanza, è ritenuto il punto di partenza necessario per garantire il rilancio dell’economia italiana. Il primo ostacolo da superare, infatti, è rappresentato dai circa 400 miliardi di titoli del debito che andranno in scadenza nei primi mesi del 2012 e che dovranno essere rifinanziati: se tale operazione venisse effettuata ai tassi attuali, intorno al 7% sui titoli decennali, l’Italia si troverebbe a pagare interessi ai limiti della sostenibilità per i prossimi anni. Nonostante le dichiarazioni del Premier sulla conferma del pareggio di bilancio nel 2013 (“non servirà un’altra manovra”), il timore di nuovi interventi fiscali non può essere del tutto eliminato. Ad oggi lo spread dei titoli italiani sui corrispettivi tedeschi rimane intorno ai 500 punti, per cui dovremmo pagare il 5% in più della Germania per non andare in default: il termometro, insomma, segna ancora la febbre alta, per cui una nuova cura d’urgenza non si può escludere. Monti, grafici alla mano, ha cercato di minimizzare l’influenza dei mercati: “guardo anch’io l’andamento dello spread, senza divinizzarlo quando scende e demonizzarlo quando sale”, aggiungendo che “nei fondamentali della nostra economia non c’è nulla che giustifichi uno spread così alto”. L’ultima affermazione è senza dubbio condivisibile, visto che paesi più indebitati di noi (come il Giappone) o con deficit annuali molto più pesanti (come USA e Regno Unito) godono di una fiducia ampiamente superiore.
Il professore, insomma, si è reso conto che, per tornare a livelli sostenibili dei tassi d’interesse, non basta azzerare il deficit, in quanto “la fase della crescita è in sintonia con il consolidamento dei conti pubblici (…) Non esiste consolidamento sostenibile dei conti pubblici se il famoso denominatore – il PIL – non cresce adeguatamente”. È necessario, in altre parole, controbilanciare gli effetti recessivi della manovra, che la Banca d’Italia stima essere pari a -0,5% del PIL, con misure che aumentino il reddito nazionale, in funzione sia del benessere dei cittadini che dell’abbattimento del debito, anche perché il reddito prodotto garantisce il futuro pagamento dei titoli. A gennaio dovrebbe dunque partire la fase due: “entro fine gennaio i provvedimenti per la crescita (…) Sappiamo che l’Europa ci attende con ulteriori provvedimenti adottati e altri calendarizzati all’eurogruppo del 23 gennaio poi al Consiglio europeo del 30 gennaio”. Sul piano dei contenuti, tuttavia, Monti non ha voluto fornire dettagli, limitandosi a definire quali siano i temi sul tavolo. Uno dei punti centrali dovrebbe riguardare il mercato del lavoro, sul quale sta lavorando il Ministro Fornero, per cui il governo auspica un confronto con le forze sindacali in tempi strettissimi, mentre le polemiche sull’articolo 18 non sono ancora completamente sopite. Interventi importanti sono attesi per quanto concerne concorrenza e liberalizzazioni professionali, visto che Monti è stato Commissario Europeo proprio in tale ambito. Le difficoltà di azione non mancano, essendo il governo stretto tra chi lo accusa di aver ceduto alle pressioni delle caste e le lobby dei vari ordini ampiamente rappresentate in parlamento. Un altro annuncio riguarda i costi d’impresa, dalla riduzione dei tempi per l’apertura di nuove aziende alla riduzione del carico fiscale per chi assume nuovo personale.
Il Premier ha suggerito ai giornalisti di chiamare il futuro decreto “cresci-Italia”, in antitesi al precedente “salva-Italia”: a giudicare dallo stadio attuale delle misure, la terminologia sembra più un auspicio che una sicurezza. Al momento, infatti, l’unica certezza è che il 2012 sarà un anno in recessione, per cui continueremo a discutere di scarsa occupazione, di debito pubblico, di pressione fiscale e di sistema pensionistico. D’altra parte, la consapevolezza di trovarsi nell’occhio del ciclone può essere un’occasione per correggere le disfunzioni che da decenni frenano il nostro Paese, imparando dagli errori passati. Nel 2009 la recessione è stata affrontata con evidente superficialità, addossando la colpa della nostra performance al contesto economico mondiale, per cui il governo di allora ha continuato a negare l’evidenza fino a pochi mesi fa. La crisi economica può essere sfruttata positivamente se riesce a far emergere quali siano le priorità di un Paese, rendendo i cittadini più consapevoli e più critici specialmente verso l’emisfero politico, dal quale bisogna pretendere la rappresentanza degli interessi collettivi. L’auspicio per l’annuo nuovo, dunque, è di mettere le basi per un sistema economico più equo, coeso e produttivo, sfruttando al meglio le potenzialità inespresse dell’Italia: nel frattempo… buona recessione a tutti.