La figura del magistrato è forse una delle più autorevoli nel sentire comune, custode degli interessi della collettività ad una giustizia equa amministrata in nome del popolo, come statuisce la Costituzione della Repubblica italiana.

Essi sono soggetti soltanto alla legge, sono inamovibili ed esercitano la funzione giurisdizionale nell’interesse di tutti i cittadini.
I singoli magistrati dovrebbero quindi essere essi stessi con il loro comportamento pubblico e privato un riferimento ed un esempio di correttezza.
Purtroppo talvolta così non è.
Se si esaminano i provvedimenti del Consiglio Superiore della Magistratura, unico organo demandato a controllare l’operato dei singoli giudici, non solo emergono storie che non farebbero onore ad alcuno e   coinvolgono taluni magistrati nell’ambiente di lavoro o nelle funzioni     svolte, ma emergono anche situazioni ben più gravi nelle quali la carica è utilizzata per interessi privati fino a comportamenti gravissimi nei quali il potere ed il mandato del magistrato, viene utilizzato per un proprio giustizialismo privato con una tracotanza e un’aggressività estremamente pericolosa.
Fortunatamente si tratta di pochissimi casi isolati a fronte di una stragrande maggioranza di magistrati che compiono il proprio lavoro con correttezza ed equilibrio, spesso in un clima di collaborazione con gli avvocati, ciascuna categoria conscia e rispettosa delle necessità e dei compiti dell’altra.
Esaminiamo qui di seguito alcune situazioni nelle quali la Sezione Disciplina del Consiglio Superiore della Magistratura ha ritenuto di emettere sanzioni che sono poi finite all’attenzione ed al vaglio della Cassazione.

La colla nella serratura del vicino

La Suprema Corte (sentenza n°15056 depositata il 19/06/2017), ha confermato la sanzione dell’ammonimento ad un magistrato il quale, invero, al di fuori della propria attività lavorativa, si rendeva tuttavia responsabile di comportamenti vandalici del tutto inammissibili e di estrema gravità.
Il Consiglio Superiore della magistratura nel comminare la sanzione disciplinare al magistrato rilevava che questi  “… dopo aver oscurato con una busta di plastica nera una telecamera di videosorveglianza posta a tutela dell’appartamento di un vicino, danneggiava la serratura della porta d’ingresso del terrazzo, nonché la serratura della porta d’ingresso, l’apparecchiatura di inserimento d’allarme  e la serratura della cassetta delle lettere introducendovi della colla liquida in modo da renderle inservibili …”
La vicenda nasceva dalla querela sporta dal vicino di casa, il quale, a seguito di continuativi atti di vandalismo, era stato costretto a porre dei sistemi di sorveglianza in tutta la casa ed all’esterno di questa.
Egli aveva acquistato l’appartamento ad un’ asta giudiziaria e, per questo probabilmente, era stato soggetto a continue molestie ed a danneggiamenti, fino ad essere costretto a montare una serie di telecamere esterne ed interne.
Dopo aver istallato tali numerosi sistemi di sorveglianza rinveniva per l’ennesima volta tutte le serrature dell’appartamento e degli accessori danneggiate e riempite di colla allo scopo di renderle inservibili.
Dopo aver visionato le registrazioni delle telecamere, scopriva con estrema sorpresa che il responsabile era proprio il vicino, Sostituto Procuratore della Repubblica.
La querela veniva rimessa previo pagamento di euro 20.000 da parte del magistrato al danneggiato.
Tuttavia il Consiglio Superiore della Magistratura, procedeva per il danno al prestigio e al discredito all’ordine giudiziario ed alla negativa incidenza sulla fiducia e sulla considerazione che il magistrato deve godere “… dovendosi esigere da un rappresentante dell’ordine giudiziario un livello di correttezza più alto rispetto a comune cittadino…”.
La Cassazioneconfermava la sanzione comminata.

Il magistrato donna che utilizza il cellulare di servizio per sentire i consigli di astrologi e previsioni del lotto

Numerose altre situazioni esaminate dalla Cassazione, confermano la sanzione disciplinare, allorchè il magistrato si serva della carica o degli strumenti a lui affidati nel proprio interesse privato.
Singolare l’accusa ad una magistrato donna, (ormai le donne costituiscono la percentuale maggiore di giudici in Italia) di aver usato ripetutamente  il cellulare di servizio per effettuare 65 telefonate ai siti di maghi, cartomanti e simili, (si spera non per avere consigli sulle sentenze da emettere)..
Prosciolta dal reato penale per peculato, tuttavia il Consiglio Superiore della Magistratura riteneva di applicarle la sanzione della censura.
La Cassazione peraltro confermava il provvedimento negativo precisando che l’essere stata prosciolta in sede penale, non escludeva l’applicabilità della sanzione disciplinare (Cass. n°14344/15).

La politica attiva del magistrato

Anche in altri casi, la qualifica di giudice  può essere utilizzata per i propri interessi privati,
Così la Cassazione (n°27987/13) si è occupata della situazione del giudice che caldeggiava le elezioni di un protetto, utilizzando la propria qualifica.
Nel caso specifico il giudice appoggiava pubblicamente la nomina di un candidato a vice sindaco in violazione del principio per cui il giudice che entra in politica non può utilizzare la propria qualifica ad hoc, rischiando diversamente un provvedimento sanzionatorio.
Tuttavia in questo caso la Cassazione proscioglieva l’interessato, annullando la sanzione del Consiglio Superiore della Magistratura, ritenendo che non si può applicare un provvedimento disciplinare allorchè la frequentazione politica, che costituisce l’espressione del diritto a partecipare all’elettorato passivo ex articolo 51 primo comma della Costituzione, non viene effettuata attivamente nè in modo sistematico e continuativo.
Mancando tali elementi, la condotta appare legittima.
Se viceversa la partecipazione politica non fosse stata circoscritta e limitata ai giorni della campagna elettorale, ma avesse mostrato una portata molto più vasta, la continuità e la sistematicità non avrebbero potuto che portare all’applicazione della sanzione.

Le lezioni  per diventare magistrato

Del tutto diverso è stato l’orientamento della Corte di Cassazione (n°27493/13) in una fattispecie nella quale il giudice si era dedicato, in modo continuativo ai corsi di preparazione per il concorso finalizzato all’accesso alla magistratura.
Così come ritenuto dal Consiglio Superiore, allorchè l’attività di insegnamento sia continuativa e piena, essa costituisce una seconda attività lavorativa e come tale incompatibile con il lavoro nella magistratura.
In tale fattispecie si deve ritenere il giudice responsabile d’illecito previsto nell’articolo 3 del d.lgs. n°109/06 per aver organizzato e gestito i corsi di preparazione al concorso a giudice percependo il compenso relativo.
 
Ruby ed il rilascio di interviste

Di particolare interesse è stata la sentenza della Cassazione n°6827 del 2014 che ha riguardato il noto caso della minorenne tunisina “Ruby”.
La questione riguardava, come noto, l’intervento dell’allora Presidente del consiglio Berlusconi per salvare la propria protetta, mettendo in forse in modo indiretto il comportamento del Tribunale dei minorenni, in particolare di una donna magistrato il cui comportamento nella situazione era stato aspramente criticato.
Il magistrato a cura dei propri interessi, aveva iniziato a rilasciare interviste per tutelare il proprio decoro e il proprio onore avendo invero, prima richiesto l’autorizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura, ma senza lasciare il tempo al Consiglio di valutare la situazione e decidere se autorizzare o meno l’esternazione pubblica della posizione del Tribunale dei minori e del magistrato stesso.
Per tali fatti il Consiglio Superiore, applicava la sanzione della censura, mentre la Corte di Cassazione, davanti alla quale il provvedimento veniva impugnato, era di tutt’altro avviso, statuendo il principio che non può essere censurato il giudice che rilasci interviste al solo fine di tutelare la propria persona e il proprio nome, ritenendosi valida la scriminante dell’esercizio del diritto di difesa.

Quando il giudice lavora poco

Numerose altre decisioni riguardano le critiche all’operato dei giudici nell’ambito del rapporto lavorativo.
Numerosi sono gli interventi del Consiglio Superiore e della Cassazione in tutti quei casi di ritardo colpevole nell’emissione dei provvedimenti o nell’esame delle pratiche giudiziarie.
Se si esaminano tuttavia le sentenze (ex multis Cass. n° 20450/14, n° 470/15, n° 1516/14, ecc.) anche rinvii lunghissimi, persino a sette anni di distanza, non comportano automaticamente l’applicazione della sanzione, se tale ritardo è giustificato dalla carenza di organico, dalla necessità di emettere sentenze in procedimenti urgenti e quindi rinviare quelli meno urgenti, ed in genere se i ritardi non siano imputabili alla negligenza del giudice bensì ad un’oggettiva inefficacia delle cancellerie o all’eccessivo carico di lavoro.
Singolarmente in tema di ritardi, si nota che mentre il Consiglio Superiore della Magistratura tende ad applicare le sanzioni, la Cassazione tende ad annullarle.
Diverso è il caso in cui il giudice non ritarda il provvedimento, ma lo emette tecnicamente sbagliato.
Per esempio viene sanzionato il giudice del lavoro che condanna l’azienda a pagare oltre € 100.000,00 con ordinanza, ma dimenticando di scrivere le motivazioni, impedendo ai legali ogni possibilità di impugnazione.
In questo caso (Cass. n° 20570/13), la Corte ha ritenuto che l’ammonimento fosse una sanzione equilibrata, pur tenendo conto della carriera modello precedente del magistrato.

La mancata scarcerazione in sede penale

Nell’ambito delle omissioni compiute sul lavoro, sussistono   varie decisioni (tutte applicano la censura sia al PM che al GIP), allorché l’indagato viene lasciato in carcere o ai domiciliari, nonostante il superamento del termine massimo di custodia cautelare (vedasi Cass n° 18191/13, 4954/15, 1767/13).
In tutti tali casi, la violazione al diritto alla libertà dell’imputato costituisce un grave comportamento che “…deriva da palese negligenza ed inescusabile violativa del dovere di diligenza dei magistrati nell’esercizio delle funzioni” talché la sanzione colpisce sia il procuratore che il giudice delle indagini preliminari.
Inutile in un caso è stata la giustificazione di un GIP il quale aveva precisato di essersi separata proprio in quel periodo e di non aver prestato la dovuta attenzione al caso per situazioni personali, deduzioni tuttavia che erano state ovviamente ritenute irrilevanti dalla Corte Suprema.
Ritenuta altrettanto irrilevante la giustificazione secondo la quale l’errore veniva compiuto dalla Cancelleria o peggio allorchè sussisteva un doppio errore compiuto dal giudice, ma anche dal difensore dell’indagato, il quale (sic), alla scadenza dei termini di custodia non si accorgeva di nulla ed anziché far rilevare il diritto ad essere scarcerato del proprio cliente, chiedeva viceversa una misura cautelare più ridotta.
Sempre in campo penale è stato censurato il magistrato che, servendosi di internet, copiava ed incollava le motivazioni peraltro di altri e diversi casi, facendo ritenere conseguentemente di non aver esaminato affatto le singole situazioni ed applicando provvedimenti identici per tutti, (Cass. n° 10127/2014).

La mancata astensione e l’interesse privato del magistrato nel caso a lui affidato

Più gravi sono quelle situazioni in cui il giudice viene colpito dal provvedimento sanzionatorio in quanto, pur dovendosi astenere, non lo fa per un proprio interesse o tornaconto personale nella vicenda giudicata.
Nella fattispecie esaminata dalla Cassazione n° 21853/12, un pubblico ministero è stato censurato in quanto aveva formulato richiesta di archiviazione in un’indagine relativa ad un organismo pubblico, nonostante che la propria famiglia prestasse attività lavorativa in un rapporto contrattuale con l’ente inquisito ed addirittura il coniuge del giudice era personalmente coinvolto nella questione in esame.
La mancata astensione del magistrato, rende legittima l’applicazione della sanzione disciplinare ed anche in tal caso l’esser stato prosciolto dal processo penale risulta irrilevante ai fini dell’applicazione della censura.
Incidentalmente rileviamo che anche in quei casi in cui il giudice non si astiene pur essendovi tenuto, ciò non toglie validità alla sentenza (Cass. n° 11843/14), sussistendo il pieno diritto del legale di parte di ricusare il magistrato non astenutosi.
Ben più gravi ovviamente sono le situazioni in cui il giudice (Cass. n° 24148/13)   viene ritenuto responsabile di gravi illeciti disciplinari fino ad arrivare alla concussione, alla condanna penale ed ovviamente alla rimozione dalla magistratura.

L’aggressività ed il potere utilizzato per i propri fini

Talvolta, (ma siamo nel campo della patologia), alcuni magistrati, consci del loro potere, traggono un profondo piacere dall’esercitarlo.
La possibilità di privare una persona della propria libertà, di danneggiarla, di perseguitarla, può divenire una forma di compiacimento, espressione di gravi disturbi della personalità.
Non vi è niente di peggio che essere al centro dell’attenzione di un magistrato che ti vuole perseguitare e privare della serenità per anni ed anni di procedimenti giudiziari indipendentemente dalla tua innocenza o colpevolezza.
È in un certo senso preferibile un magistrato corrotto che strumentalizzi la propria funzione per ottenere un tornaconto personale, piuttosto che un magistrato disturbato mentalmente, aggressivo e vendicativo il quale, pur non puntando al proprio tornaconto personale, tuttavia può provocare nella collettività ed in taluni individui pregiudizi rilevantissimi.
È un caso di cui si è occupata la Cassazione con la sentenza n° 17585 del 04/09/2015 avverso un sostituto procuratore della repubblica che era stato ritenuto responsabile di aver violato i doveri di correttezza, imparzialità ed equilibrio ponendo in essere comportamenti lesivi della sua immagine di magistrato.
Questi era solito realizzare condotte arroganti e minacciose nonché offensive dell’onore e del decoro del personale della procura e dei colleghi magistrati, “….. espelleva dalla stanza con atteggiamenti minacciosi il direttore amministrativo pretendendo che risolvesse personalmente il funzionamento dei condizionatori e le porte del bagno, ed ancora con atteggiamenti arroganti che il personale lavorasse fuori dell’orario d’ufficio accusando di non affidabilità gli addetti… pretendendo ed ottenendo che gli stessi interrompessero la pausa pranzo…”.
Ma cosaestremamente più grave “……affermava in presenza di più persone appartenenti agli uffici amministrativi che una donna magistrato nel cui ruolo era subentrato e nei confronti della quale aveva dimostrato il proprio interesse non ricambiato, era una puttana, che la stessa non aveva istruito bene i procedimenti a lei affidati”, in tal modo ponendo in essere una condotta diffamatoria in pregiudizio della medesima, rivolgeva minacce alla predetta dottoressa dicendo “che doveva stare molto attenta perché egli sapeva essere pericolosissimo…” procedeva ad indagini preliminari nei confronti di un maggiore dei carabinieri amico del giudice donna nei confronti della quale aveva mostrato interesse, “…procedeva in meno di due mesi a disporre tre perquisizioni locali e personali e 9 sequestri… disponeva la perquisizione in orario notturno dell’appartamento di proprietà dei soggetti da egli perseguiti”.
In sostanza (sempre secondo il rapporto) “L’incolpato ha tenuto ripetutamente atteggiamenti gravemente sconvenienti nei confronti del personale della cancelleria i quali denotano una modalità di rapporto con i collaboratori gravemente scorretta tale da assumere una valenza di prevaricazione e la volontà di incidere sulla reputazione professionale del lavoratore; la scorrettezza è riscontrabile anche nelle espressioni usate nei confronti degli altri magistrati…. tutti gli episodi sono indicativi della grave inadeguatezza caratteriale a gestire i rapporti di lavoro e d’ufficio in violazione dei principi e dei doveri correttezza, equilibrio e rispetto della persona che il magistrato è tenuto ad osservare… la ricostruzione infatti consente in definitiva di ritenere che il magistrato abbia condotto l’intera indagine con l’obbiettivo specifico di accertare i rapporti personali tra il maggiore dei carabinieri e la collega sostituta procuratrice della Repubblica sul presupposto che l’accertamento di questi rapporti avrebbe dimostrato l’illeceità   dei comportamenti tenuti da entrambi nel periodo in cui il giudice era Sostituto della procura della Repubblica presso il Tribunale ed il Maggiore dei carabinieri vi prestava servizio come ufficiale di polizia…
Una tale indagine pur se possibile e lecita doveva essere preceduta da iscrizione di entrambi i destinatari nel registro degli indagati e considerate le anzidette funzioni del collega magistrato, gli atti dovranno essere trasmessi al procuratore della repubblica competente… nonostante i provvedimenti del tribunale del riesame egli dimostra un accanimento investigativo che contrasta con i doveri di imparzialità, correttezza ed equilibrio di cui deve dar prova un magistrato anche nella direzione delle indagini.”
Il Consiglio Superiore della Magistratura applicava la perdita di anzianità di anni due ed il trasferimento in altro luogo del giudice.

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