In economia finanziaria un “default”, ovvero un fallimento, si manifesta quando un debitore non riesce a ripagare il proprio debito. Il rischio che questo accada si pone alla base del meccanismo di rating, che valuta sostanzialmente la capacità di un debitore di assolvere ai propri obblighi contrattuali, formando in tal modo il tasso d’interesse al quale un investitore è disposto ad acquistare obbligazioni. Nel caso di un default totale, il debitore interrompe unilateralmente i pagamenti degli interessi ed il rimborso dei titoli in scadenza, determinando la cessazione immediata dell’attività. Una misura meno drastica è rappresentata dal cosiddetto default “selettivo”, per cui solo una parte delle obbligazioni non viene ripagata, spesso con l’accordo della controparte, che accetta una perdita sul valore nominale in cambio di un rimborso immediato.

Il default selettivo è un’operazione particolarmente controversa, in quanto può dar luogo a discriminazioni e comportamenti anti-concorrenziali, privilegiando alcuni creditori piuttosto che altri. Presupposto di base è dunque un accordo con almeno una parte maggioritaria dei creditori, in modo da limitare gli effetti di un attacco legale, attraverso cui gli aventi diritto potrebbero rifarsi direttamente sul patrimonio del debitore. Le agenzie di rating configurano in modo specifico questa situazione, che si trova solamente un gradino più in alto rispetto al default totale. Il punto più critico riguarda l’incertezza sull’attivazione dei CDS (Credit Default Swap), strumenti che assicurano i possessori di titoli nei confronti di un fallimento e che spesso hanno un valore complessivo superiore all’ammontare del debito stesso.

Nel contesto dell’indebitamento pubblico, le dinamiche sono certamente differenti rispetto al settore privato, soprattutto perché i creditori, in caso di fallimento, non possono rifarsi sul patrimonio di uno Stato, come invece accade per un’azienda che viene messa in liquidazione. Il default selettivo rappresenta dunque un modo per tagliare il debito in modo artificiale, ovvero riacquistando parte dei titoli (cosiddetto buy-back). Si differenzia da un normale fallimento perché l’adesione all’operazione avviene su base volontaria, per cui i creditori che vogliono partecipare devono accettare a priori le condizioni di rimborso. Dopo questa fase, si procede con un’asta attraverso cui viene determinato il nuovo valore dei titoli, all’interno di limiti prestabiliti.

In Europa, il default selettivo è stato applicato nel 2012 per ridurre il debito greco, una prima volta a marzo e di nuovo a dicembre, con operazioni differenti in termini di perdite per i creditori, che nel primo intervento hanno perso circa il 75% del valore nominale dei titoli, mentre “solo” il 50% nel secondo.

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