Cercasi legislatori capaci, con esperienza nella scrittura dei testi di legge, in grado di saper coordinare le norme ed evitare continui ricorsi alla Corte delle Leggi. Si richiede specializzazione nel ruolo, flessibilità operativa, continuità.

Ecco, se riusciamo a trovare una persona così in grado di mostrare nei fatti le sue competenze, sarebbe bene retribuirlo in modo che non gli venga mai in mente di scendere a patti con le tante tipologie di potere che vanno a zonzo per l’Italia o di cambiare lavoro. Sarebbe bene trattarlo con rispetto – non solo per il ruolo – perché ci eviterebbe costi esagerati e lavoro inutile, nonché lungaggini procedurali.
Come quella che impegna la Corte Costituzionale per via dell’illegittimità costituzionale dell’articolo 20, comma 1, secondo periodo, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 (“Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”), convertito così com’era in legge dall’articolo 1 della legge 6 agosto 2008, n. 133.
La impegna per la terza volta, tra l’altro, perché la Consulta già si è pronunciata in due occasioni sullo stesso articolo. In più, per un effetto a cascata, ai sensi dell’articolo 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), devono dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’articolo 20, comma 1, secondo periodo, dello stesso decreto legge n. 112 del 2008, nel testo modificato dall’articolo 18, comma 16, lettera b), del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito in legge dall’articolo 1 della legge 15 luglio 2011, n. 111.

Doppia imposizione – La Corte costituzionale era stata interpellata dalla Cassazione,  per la quale la norma censurata viola l’articolo 3 della Costituzione disponendo «un’irragionevole disparità di trattamento, ponendo i soggetti che hanno correttamente adempiuto all’obbligo di versare i contributi in una condizione di oggettivo pregiudizio rispetto a quanti, contravvenendo al dettato normativo, hanno omesso il medesimo versamento» per l’assicurazione contro le malattie.
La norma dell’articolo 20 Dl 112/2008 ha, da un lato – innovando rispetto al diritto vivente – dichiarato non dovuti i contributi di malattia da parte dei datori di lavoro che corrispondono ai propri dipendenti il trattamento di malattia e, dall’altro, ha mantenuto fermi i pagamenti (a questo punto, indebiti) eventualmente già eseguiti da quei datori di lavoro.
La Consulta ha affermato quindi, riprendendo l’indirizzo giurisprudenziale prevalente della Corte (sentenze n. 227/2009, n. 330/2007, n. 320/2005, n. 416/2000), che «sono illegittime, per violazione del principio di uguaglianza consacrato nell’art. 3 Cost., le disposizioni che, posta la non debenza di una determinata prestazione patrimoniale, prevedano l’irripetibilità di quanto sia stato versato nell’apparente adempimento della (in realtà inesistente) obbligazione». Questo è, appunto, il caso dell’articolo 20, comma 1, secondo periodo, nella prima versione.

I giudici delle Leggi, però, estendono la loro valutazione anche alla modifica successiva che consequenzialmente diventa illegittima: « tale norma, spostando dal 31 dicembre 2008 al 30 aprile 2011 il termine finale del periodo di tempo al quale si riferiscono i contributi i cui versamenti (seppur non dovuti) restano comunque acquisiti all’Inps, si pone in un rapporto di inscindibile connessione con quella oggetto dell’ordinanza di rimessione ed è affetta dai medesimi vizi di legittimità costituzionale».
Hanno ragione gli ermellini quindi: si è creato un pregiudizio per chi ha correttamente adempiuto all’obbligo di versare i contributi rispetto a quanti, contravvenendo al dettato normativo, hanno omesso il versamento.
Per questo c’è bisogno di un Legislatore attento. Per cambiare la prassi che in prima battuta premia chi evade.
Corte costituzionale, sentenza n. 82 del 6 maggio 2013

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