Una recente controversia tra condomini in uno stabile privo di Regolamento condominiale, ci dà l’opportunità di affrontare un tema che talvolta si presenta, allorché si intendono introdurre regole che non solo richiamano le norme vigenti  in tema di beni comuni, ma che impongono anche dei limiti ai diritti dei condomini sulle proprietà esclusive.

La questione derivava dall’acquisto di un appartamento effettuato da un nuovo condomino in uno stabile di estremo pregio nel centro di Roma, costruito nei primi anni ’20.

Nel  Condominio composto da 10 unità abitative mancava un Regolamento condominiale e tanto meno risultava trascritto alcunché.
Il nuovo condomino, tenuto conto dell’esborso economico rilevante sostenuto per l’acquisto dell’unità abitativa, richiedeva all’Amministratore del Condominio che venisse convocata l’Assemblea per la redazione di un nuovo Regolamento condominiale (in realtà un regolamento iniziale negli anni ’20 era stato predisposto dal costruttore, ma non essendo stato riportato negli atti di acquisto, né trascritto, non era opponibile ad alcuno).

La preoccupazione del nuovo acquirente era che, trattandosi del centro storico, alcune unità abitative potessero essere adibite ad uso commerciale oppure di bed and breakfast o comunque ad attività che avrebbero precluso la tranquillità del piccolo Condominio, con l’introduzione di attività commerciali o comunque con la trasformazione dall’uso abitativo originario in uso diverso.

Veniva quindi portato in assemblea un Regolamento redatto ad hoc, ove venivano inseriti una serie di divieti rilevanti a carico delle singole proprietà, consistenti sostanzialmente nell’impedimento di adibire gli appartamenti oltre che ad attività oggettivamente fastidiose e pericolose, (scuole di ballo, agenzie di pegno, attività industriali, sanatori, ecc.) anche ad attività di più basso profilo, ma comunque con destinazione diversa dall’abitazione, (pubblici uffici, pensioni, attività alberghiere,  bed end breakfast e attività commerciali), per di più aggiungendo limitazioni anche in tema di locazione, non ammettendo affitti settimanali o comunque di breve durata o per finalità turistiche, ed ancora ulteriori divieti di cedere le cantine o i locali accessori, se non agli stessi partecipanti al Condominio.

Inoltre il Regolamento proposto in Assemblea vietava l’apposizione di targhe, insegne e simili senza il preventivo assenso dell’Assemblea.

I CONTRASTI E  LE RAGIONI DI CIASCUNO

Mentre alcuni condomini erano favorevoli ad una simile limitazione vicendevole nell’utilizzo dei propri beni, altri erano decisamente contrari, in quanto limitazioni di questo genere avrebbero compromesso gli interessi  di eventuali acquirenti futuri o degli eredi dei condomini.
Facevano infatti notare costoro (la minoranza) che uno dei motivi dell’acquisto dell’immobile, con un investimento economico particolarmente rilevante, così come era avvenuto per l’ultimo acquirente, era basato proprio sul fatto che mancasse un Regolamento condominiale e quindi fossero inesistenti specifiche limitazioni all’esercizio del diritto di proprietà di ciascuno.

L’ OBBLIGO DI ADOTTARE UN REGOLAMENTO

Peraltro essendo i condomini soltanto  10, il Regolamento condominiale non era obbligatorio ex art. 1138 c.c. il quale appunto prevede l’obbligatorietà della redazione del Regolamento solo in Condomini con un numero di proprietari superiore a 10.  
Inoltre, al di là di tale argomentazione, rilevavano i condomini in minoranza, come porre limiti così rilevanti in danno del diritto dominicale di ciascuno, avrebbe ridotto la commerciabilità del bene e, se da un lato avrebbe certamente favorito la tranquillità condominiale con il divieto di introdurre attività ad uso diverso, tuttavia avrebbe reso meno appetibile sul mercato il bene e comunque avrebbe leso sicuramente i diritti dei successori nella proprietà dell’immobile.
Avendo raggiunto i voti favorevoli della maggioranza degli intervenuti e la metà del valore dell’edificio, ma non l’unanimità, ne derivavano contrasti sulla validità o meno di una simile delibera, non assunta appunto da tutti indistintamente i condomini.

REGOLAMENTO CONTRATTUALE ED ASSEMBLEARE

La questione trova chiarezza nella normativa vigente e nella giurisprudenza ampiamente consolidatasi nel tempo.
Come è noto la Cassazione, ormai in modo univoco e costante, ha denominato quale “Regolamento condominiale di natura contrattuale” quello redatto dall’originario costruttore del fabbricato ed accettato da tutti i singoli condomini nell’atto di acquisto (situazione equiparabile al Regolamento approvato dall’assemblea, ma sempre all’unanimità dei voti), con il quale è attualmente possibile introdurre limitazioni anche ai diritti personali di proprietà di ciascun condomino.
Viceversa per “Regolamento assembleare” si intende il Regolamento approvato ex art. 1138 c.c. con la maggioranza di cui al 2° comma dell’art. 1136 c.c., (maggioranza degli interventi ed almeno i 500/1000), Regolamento contenente le norme circa l’uso dei beni comuni, i criteri di ripartizione della spesa, i diritti e gli obblighi spettati a ciascun Condomino, nonché le norme a tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione.
Con il “Regolamento assembleare” tuttavia non possono essere poste limitazioni ai diritti personali di ciascuno sulle proprietà esclusive.
Entrambi i Regolamenti comunque devono essere allegati al Registro dei verbali delle assemblee tenuto dall’amministratore   ai sensi dell’art. 1130 c.c.

LE RAGIONI DELLA MINORANZA

Inoltre va ricordato che l’attuale disciplina, anche dopo la riforma del Condominio di cui alla legge 11/12/2012 n° 220, statuisce all’art. 1138 c.c. espressamente che il Regolamento condominiale non possa in alcun modo menomare i diritti di ciascun Condomino, come risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni.
In sostanza l’Assemblea pur a maggioranza non può limitare il diritto di proprietà o l’utilizzo del bene al di sotto dei più ampi termini risultanti dall’atto di acquisto.
Diversamente sarebbe come voler ammettere che la maggioranza del Condominio , solo perché tale, potrebbe menomare i diritti acquistati (e pagati) da ciascuno sull’appartamento.
Sul punto è tornata anche di recente la Corte di Cassazione, (sezione VI° civile sentenza 13/02/2013 n° 3586), rilevando che, una simile delibera sarebbe affetta da nullità assoluta in quanto inciderebbe su una norma inderogabile, tesa proprio a vietare le statuizioni in tema di proprietà riduttive dei diritti personali di ciascuno.
In conclusione non vi è dubbio che mentre la delibera assunta all’unanimità ben possa approvare  un Regolamento di Condominio, contenente oltre tutte le regole previste dalla normativa vigente, anche delle limitazioni sulle proprietà esclusive, non altrettanto avviene con un Regolamento assembleare approvato solo a maggioranza.
Conseguenza ulteriore di tale principio, è che,  in ipotesi di limitazioni dal diritto di proprietà non approvate all’unanimità, trattandosi di delibera radicalmente nulla, essa può essere impugnata, in qualunque tempo, senza neanche il rispetto del termine di trenta giorni previsti dalla normativa del Codice Civile.

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