Lo spirito della città antica nello stile di Dino Buzzati, riposto nelle viuzze, negli anditi, nei sottopassaggi, nelle scale e scalette dove si annida ancora una densa vita, lo rivivo oggi con gli odori della nebbia di quasi venti anni fa.

Milano, viale Montello, rigata dal percorso d’argento dei tram. Una volta al mese andavo alla redazione di «Schema» con la consapevolezza di amare la scrittura che nasceva dalle lunghe discussioni in casa Manzoni. Un confronto schietto, di voci concordi o divergenti e una presenza incredibile di giovani, appartenenti a quell’ultima generazione dopo gli anni di piombo che aveva superato le forche caudine del ritorno alla meritocrazia. In poche parole l’antitesi dei figli di papà.

Non più esami facili nel clima del Sessantotto ebbro, ma prove quasi sadiche e sfibranti per poi arrivare ad approdi precari e mortificazioni nel clima festaiolo della Milano da bere. In quegli anni facevo il pendolare da Pavia e una sera ho preferito perdere il treno per ascoltare in piedi al loggione della Scala, Pollini e Abbado, nel concerto Imperatore di Beethoven. Il tema del primo movimento, allora, mi accompagnava ossessivamente, come una musica interna in questo attraversare la città, carica di tensioni e di storia. Quasi un fluire sotterraneo, uno scrosciare dei navigli sigillati che dopo lunghi nubifragi cercavano la via della superficie.

Il fortissimo dell’orchestra prendeva le mie gambe quando attraversavo piazza Lega Lombarda, quasi come un monito eroico di partecipazione ad un simposio. Il primo numero di «Schema», rivista di poesia e cultura, è uscito venti anni fa in un clima di dibattito culturale molto elevato. In quegli anni a Milano dominava «Alfabeta», la rivista di Porta, Balestrini, Spinella, Eco, Rovatti, Corti, Leonetti e Volponi. «Schema» era una sorta di scialuppa di fronte a tanti yacht e panfili. Eppure la piccola rivista letteraria affascinava i nomi dei famosi i quali pubblicavano clandestini in mezzo agli anonimi esordienti, sortendo l’effetto di una mescolanza plebea, per tornare a Buzzati, che sprigionava «animo genuino del popolo».

La rivista nasce con un progetto culturale, cosa rara anche per riviste blasonate, fatta per chi legge, con una forte coerenza culturale e una precisa funzione informativa e critica. «Schema», che ha contaminato il territorio come il Living Theatre di Julian Beck, ha occupato luoghi inconsueti come l’Acquario Civico, le stazione della Ferrovia Nord e le piazze di Milano. Inoltre sia giovani, che affermati poeti stranieri, tradotti con serio intento filologico, sono stati pubblicati da Schema con il testo a fronte.

Ho conosciuto Franco Manzoni nel 1987, quando già Schema era avviata e nota al mondo letterario. Non mi soffermo su un’amicizia autentica per non tediare il lettore. Pur avendo partecipato dopo Castelporziano alla replica di Piazza di Siena a Roma, avevo solo qualche poesia nel cassetto. Entrai dilettante e meravigliato della generosità e di essere accolto in così poco tempo in una redazione, dove ho conosciuto la meglio gioventù milanese in un clima di serio impegno culturale, oserei dire esemplare, come se si fossi entrato in un’accademia.
«Coloro che ragionando andaro al fondo,
s’accorsero d’esta innata libertate».

S’imparava, si approfondiva per non fare brutte figure, ma soprattutto si ascoltavano gli altri. Un lungo tirocinio che mi ha permesso senza fatica l’approdo al Portnoy, che per anni è stato un punto di riferimento per la poesia milanese come caffè letterario con letture di liriche e presentazioni di libri quotidiane, di cui fui direttore artistico per un certo periodo.

Oggi la rivista letteraria in una veste non più di mensile, ma di strenna annuale, mantiene l’antica copertina dai colori mutabili dell’arcobaleno alla Warhol, edita con pazienza certosina da Marina Manzoni. Schema ha resistito e resiste a tanti eventi e imbocca oggi il fiore dalla giovinezza dei venti anni. Alcune riviste blasonate hanno chiuso i battenti, altre navigano a vista nel mare procelloso della poesia con un seguito effimero di pubblico. Schema possiede il fascino della leggerezza e della caparbietà volitiva dei milanesi che non mollano. Schema è il manifesto di coloro che Mario Spinella definiva «il caffè della penombra, dei fuoriusciti, degli esiliati, dei fuggitivi, non paghi delle certezze transeunti, delle idee che rifuggono i salotti televisivi».
Parafrasando ancora Dante è il manifesto di «quei che va di notte, / che porta il lume dietro e sé non giova, / ma dopo sé fa le persone dotte, / quando dicea: ‘Secol si rinova; / torna giustizia e primo tempo uman, /e progenie scende da ciel nova…»

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