“No, non ne prendo più. Dopo la morte di Bella, ho giurato che non ne avrei avuti più. Ho sofferto troppo.” 

Frasi come queste tutti noi le hanno sentite, molte volte nella vita. Tutti vogliamo sfuggire al dolore, è umano. È fisiologico anche vivere il periodo del lutto più o meno lungo, in ogni sua fase, quando si perde la creatura che condivideva la vita con noi. I cani hanno un difetto: vivono troppo poco. Tutto vero. Io, tuttavia, ho letto una frase attribuita a Jim Morrison e credo che al mondo esistano pochi assiomi altrettanto saggi riguardo alla vita e all’amore: Evitare di amare per paura di soffrire è come evitare di vivere per paura di morire.

Il mio primo Cane d’Assistenza era un Labrador femmina. Si chiamava Caramella. In questi giorni avrebbe compiuto gli anni, così penso a lei più spesso. In realtà, non passa giorno che il mio pensiero non corra a lei. Sul mio desktop, nell’immagine di copertina di Facebook, sul mio profilo, nella home del mio sito, sul monitor del mio telefonino, eccola che mi rivolge ancora il suo dolce sorriso di cane. Lei, la mia  preziosa anima gemella.

Caramella era figlia d’arte: sua madre Alba era un Cane Guida per ciechi. Lei, la mia grande amica, aveva ereditato tutto il meglio di quel corredo genetico d’intelligenza e di bontà. Il suo lavoro di Cane da Terapia consisteva nel migliorare con la sua presenza il benessere di persone disabili o comunque in situazioni di disagio. Poteva trattarsi di farsi spazzolare pazientemente, per migliorare la coordinazione oculo-manuale di “Luca”, un bambino cerebroleso, oppure di camminare lentamente accanto a “Antonella”, una disabile motoria, per favorire il movimento, o di andare a riprendere la pallina, lanciata da “Simone”, un adolescente con scarsa autostima. Ecco: Luca, il bimbo cerebroleso, un po’ per volta, apprende come spazzolare il cane, perché Caramella gli piace e la sua motivazione è alta, e così impara a spazzolarsi i capelli e a prendersi cura di sé, compiendo un passo avanti sulla difficile strada dell’autonomia. Antonella, la ragazza disabile motoria, prova dolore a mettersi in piedi e camminare, per lei, ogni passo è una fatica, ma Caramella le si fa incontro, col suo bel mantello dorato, e le porge il guinzaglio con la bocca: Antonella ride, le mette il collare, la porta a passeggio, sono solo dieci passi, ma per la prima volta è lei, la persona disabile, che conduce  e non che viene condotta. Così Antonella cammina, ogni giorno un passo in più. Questo può significare non rassegnarsi alla sedia a rotelle.

Se si è nati nella famiglia difficile che non ti voleva, è raro pensare di valere qualcosa, ma Caramella prende la pallina per Simone, e poi ubbidisce, se lui le chiede di stare seduta, lei mostra rispetto, lo aspetta se cammina, e vuole giocare proprio con lui. Così Simone comincia a pensare di non essere un totale disastro, diventa grande, ce la fa e raccoglie un cane dalla strada, in un giorno di pioggia, salvandole la vita. Da fallito a eroe. Questo fanno i Cani da Terapia. Questi sono soltanto tre esempi, tre, in una carriera fatta di successi e anche di fallimenti e qualche volta di miracoli. Perché un cane come lei sapeva compierne. Aveva una marcia in più. Cuccioli o bambini, adulti o anziani, non faceva differenza per il suo grande cuore. Era una capobranco saggia, impareggiabile. A lei è stato dedicato un Centro Socio Educativo, a Taranto. Merita questo onore.

Non ero pronta a dirle arrivederci, non lo sarei stata mai. Si era allontanata solo da qualche minuto. L’ho trovata addormentata sotto un albero, in un giorno di maggio. Il dolore per non averla più è forte, è ancora acuto, dopo anni. Ho sei cani che mi parlano di lei, ogni giorno. Io ho imparato da lei: nel nostro cuore, se solo lo vogliamo, c’è sempre un sacco di posto. Avrò sempre cani e continuerò a soffrire e ad amare, per onorare il suo nome.

www.canidigioia.it

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