Ancora una volta il Forum ha dimostrato l’esistenza di anime diverse all’interno del vecchio continente ma nessuno sembra avere la ricetta definitiva che possa rimettere in forze il debole PIL europeo e il dibattito rimane aperto. Intanto Olli Rehn lancia il monito: “Alla luce di ciò che sta succedendo e con l’attuale struttura, l’ Eurozona corre il rischio concreto di disintegrarsi”

La fine di maggio rappresenta un momento fondamentale per l’attività economica dell’Unione Europea. Mercoledì il Consiglio ha approvato le raccomandazioni specifiche per ogni Stato Membro, dopo aver analizzato i Programmi di Stabilità ed i Piani Nazionali di Riforma trasmessi a fine aprile (in Italia con il DEF). Giovedì invece è stata la volta del Brussels Economic Forum, consueto appuntamento durante il quale i massimi esponenti delle istituzioni discutono i temi chiave di politica economica. Il titolo di quest’anno, “Sources of Economic Growth – Revisiting Growth Model in the EU”, richiama il dibattito attuale sulla crescita, la cui ripresa è ritenuta una conditio sine qua non necessaria per ottenere l’ambita stabilità all’interno dell’area.

Tra gli invitati al Forum spiccava il nome di Mario Monti, chiamato a tenere un intervento nell’ambito delle lezioni dedicate al ricordo di Tommaso Padoa-Schioppa. Trattenuto in Italia dai drammatici sviluppi del terremoto in Emilia-Romagna, il premier è intervenuto in collegamento video: dopo un primo pensiero dedicato al collega ed amico, Monti ha affrontato diversi aspetti delle politiche comunitarie. Un primo commento ha riguardato le Raccomandazioni sull’Italia, dalle quali il nostro paese “esce in modo positivo, non tanto sul fronte degli squilibri economici, che rimangono seri, quanto in merito alle politiche adottate”.

In effetti il documento non contiene prescrizioni eccessive, limitandosi a sottolineare la necessità di proseguire sulla strada delle riforme già avviate. Sul fronte del deficit, infatti, l’UE raccomanda “di attuare la strategia di bilancio come previsto e garantire che la situazione di disavanzo eccessivo sia corretta nel 2012”, mentre ricorda l’obiettivo del pareggio per il 2013. A tal proposito si richiede un chiarimento sulla norma costituzionale appena introdotta, specie per quanto riguarda i meccanismi di implementazione a livello regionale e locale. I punti più critici, peraltro con toni sufficientemente lievi, riguardano invece la disoccupazione giovanile ed la lotta all’evasione. Sotto il primo aspetto l’UE rimarca la necessità di migliorare “la pertinenza del percorso formativo rispetto al mercato del lavoro facilitando il passaggio al mondo del lavoro, anche attraverso incentivi per l’avvio di nuove imprese e per le assunzioni di dipendenti”. Sul fronte dell’evasione, invece, si era creato un piccolo giallo nei giorni scorsi, quando alcuni giornali avevano riportato la presenza nelle bozze preparatorie di una critica al governo, giustificata da uno scarso impegno nella lotta al sommerso. Il testo definitivo è in realtà molto più morbido, in quanto invita l’esecutivo ad un generico perseguimento “dell’economia sommersa e il lavoro non dichiarato, ad esempio intensificando verifiche e controlli”.

Decisamente più incisive le indicazioni rivolte ad alcuni Stati Membri. Il documento relativo alla Grecia si riduce ad una sola lapidaria raccomandazione: rispettare le decisioni del Consiglio prese nell’ultimo anno, in particolare per quanto riguarda l’accordo di marzo dal quale dipende la concessione dei prestiti della Troika. La forma ed il contenuto esprimono in modo inequivocabile la volontà delle istituzioni europee, che non intendono in alcun modo rivedere i piani di austerity per Atene. Il segnale è rivolto in primis ai leader greci, indipendentemente dall’esito delle elezioni di metà giugno, ma anche ad alcuni esponenti di una determinata corrente, tra le cui fila c’è Hollande, pronta a dare più ossigeno alla Grecia. Su un piano diverso si pone la Spagna, anche se l’instabilità sia dei conti pubblici che del sistema bancario inizia a preoccupare non poco i tecnocrati di Bruxelles. La dovizia di particolari numerici contenuta nelle raccomandazioni rivolte al governo di Madrid dimostra che l’UE vuole prendere in mano la situazione prima che sia troppo tardi: è richiesto “uno sforzo fiscale pari in media all’1,5% del PIL per anno”, mentre si richiede “l’adozione delle nuove misure previste per il bilancio 2012 e del documento programmatico 2013-2014 entro la fine di giugno”. Alla Spagna vengono inoltre richiesti l’allungamento dell’età pensionabile, l’aumento delle tasse al consumo, riforme nel mercato del lavoro, liberalizzazioni nelle libere professioni e la sistemazione del settore finanziario. La ricetta sembra dunque la stessa applicata al caso italiano, dove però il ruolo di esecutore è stato affidato ad un governo “particolare”, come evidenziato dalla stesso Monti nel corso dell’intervento, privo di responsabilità elettorale.

A giudicare dai documenti della Commissione, sembra chiaro che l’establishment europea non ha alcuna intenzione di modificare la propria filosofia: il contenimento dei conti pubblici è la base della stabilità economica e deve essere garantito ad ogni costo, anche se costringe molti Stati Membri ad applicare politiche pro-cicliche che deprimono crescita ed occupazione. Eppure gli interventi ascoltati al Forum di giovedì hanno evidenziato una certa varietà di pensiero, proveniente sia da responsabili di governo che da eminenti accademici, imperniata sulla necessità di ottenere in tempi ragionevoli la ripresa della crescita. Sotto questo aspetto Monti ha sottolineato come quella attuale sia una “crisi di domanda”, per cui è importante che tutte le istituzioni si impegnino, attraverso interventi legislativi e economici, a stimolare consumi ed investimenti. “Se il consiglio di fine giugno riesce a promuovere un pacchetto credibile per la crescita”, a continuato il premier, “i mercati reagiranno positivamente e lo spread si abbasserà”. Una stoccata alla Germania, che dovrebbe “riflettere a fondo e velocemente sulle politiche da sostenere”, in quanto “c’è bisogno di mettere a punto gli strumenti necessari per tornare alla stabilità”: chiaro il riferimento ai Project Bond ed alla ricapitalizzazione diretta delle banche. Inoltre Monti, al pari di Draghi la settimana scorsa in Sapienza, ha elogiato il modello europeo di economia sociale di mercato: “Bisogna che i paesi più favorevoli alle liberalizzazioni del mercato (quali Regno Unito e paesi del nord) trovino un nuovo compromesso con i paesi maggiormente orientai verso un’economia sociale”.

La tesi di Monti è stata supportata (ed in un certo senso scavalcata) da Philippe Aghion, Professore di Economia ad Harvard, che ha parlato di un “triangolo vincolante” composto da “disciplina fiscale, crescita e giustizia sociale”: secondo il docente, infatti, la mancanza di uno solo di questi elementi porta all’insostenibilità del sistema. Ad esempio in Grecia le fortissime tensioni sociali stanno determinando un vuoto di potere per cui sarà difficile approvare leggi sul controllo fiscale, mentre il paese naviga in pesante recessione. Sulla sponda opposta si pone invece Thomas Steffen, Segretario di Stato del Ministero delle Finanze tedesco, secondo cui “non c’è alcuno spazio fiscale per finanziare la crescita”, in quanto questa dipende esclusivamente da fattori quali produttività e competitività, per cui se mai ci fossero avanzi da spendere bisognerebbe investire in educazione ed innovazione. Al momento, gli stati in difficoltà dovrebbero dunque puntare all’adozione di regole fiscali stringenti, entrando nell’ottica imprescindibile del rimborso del debito nel lungo periodo.

Al di là delle considerazioni tecniche, il Forum ha dimostrato l’esistenza di diverse anime, ma nessuno sembra avere la ricetta definitiva che possa rimettere in forze il debole PIL europeo ed il dibattito rimane aperto. Resta da sottolineare il rispetto che l’Europa mostra nei confronti di Mario Monti, che ha catturato l’attenzione della platea per circa un’ora ed ha ricevuto un lungo applauso al termine dell’intervento: almeno sotto questo aspetto l’Italia sta certamente meglio rispetto ad un anno fa.

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