Con l’aumento in progressione geometrica degli iscritti all’Albo degli avvocati, senza la determinazione di un numero chiuso, e con l’iscrizione degli “abogados” che grazie ad uno stratagemma giuridico evitano di sottoporsi al concorso di Stato, l’avvocatura, un tempo attività di grande prestigio a tutela del cittadino, sta decadendo e perdendo i propri valori in modo rapidissimo, non garantendo più talvolta neanche al cliente la professionalità alla quale avrebbe diritto.

In Italia vi sono quasi 234.000 avvocati, su una popolazione di poco meno di 60 milioni di persone, una media superiore a qualsiasi paese europeo.
Il perché si sia arrivati a questa situazione è spiegabile con vari motivi.
Da un lato la situazione della crisi lavorativa in Italia, (oltre il 40% dei giovani non riesce a trovare lavoro, il 60% nel meridione) sicché molti continuano a studiare e dopo essere stati respinti a tutti i vari concorsi per i laureati in giurisprudenza (banche, settore assicurativo, aziende, vari corpi di Polizia, notariato, magistratura, etc.) tentano il concorso finalizzato all’abilitazione nazionale, un concorso che seppur estremamente duro (ne passa una media dal 20% al 40%) tuttavia attribuisce un titolo in più.
Tra l’altro il fatto che, a differenza di quanto era stabilito in origine, per molti anni sono stati ammessi all’esame i codici con il commento della giurisprudenza, cioè con tutta la casistica risolta dalle sentenze di legittimità e di  merito, ha messo sullo stesso piano sia colui che aveva svolto una pratica proficua, sia colui che non l’aveva svolta affatto, proprio perché il caso giuridico  prospettato all’esame trovava soluzione nel codice autorizzato al concorso.
Da quest’anno la legislazione è cambiata e si è tornati all’origine con l’ammissione dei soli codici senza alcun commento, favorendosi ovviamente coloro che effettivamente in Tribunale ci sono stati.

AVVOCATI CONTRO ABOGADOS

L’altro motivo della proliferazione degli albi, è la facilità con cui approfittando di un buco della legislazione, molti ragazzi appena laureati, utilizzano lo stratagemma di cui alla Direttiva 98/5/CE recepita in Italia dal D.Lgs. 2/02/2001 n. 96 sulla equiparazione dei titoli professionali e sul diritto di trasferimento di un avvocato iscritto all’albo spagnolo (che va per la maggiore) all’albo italiano.
Il meccanismo è piuttosto semplice, ed ha fatto la fortuna dei vari istituti professionali e scolastici che si sono gettati a capofitto nell’affare.
In pratica è sufficiente versare una cifra variabile tra 4mila e 8mila euro alle aziende specializzate sul tema, frequentare un rapido corso sommario in lingua spagnola, far omologare la laurea italiana in Spagna, frequentare un master on line, sostenere una blanda prova di abilitazione in Spagna come “abogado” e una volta iscritti nell’albo spagnolo, semplicemente richiedere l’iscrizione come “abogado trasferito in Italia”.
Dopo tre anni ci si può iscrivere all’Albo degli avvocati, trasformando il dubbio titolo di “abogado” in quello di “avvocato”, a differenza di tutti gli altri senza aver superato alcun concorso.

UN ARTIFIZIO CHE DANNEGGIA INNANZI TUTTO IL CITTADINO

A tale pratica si sono ovviamente opposti i vari Ordini professionali,  ma non è intervenuto lo Stato con una legge organica, tanto più che il trucco ha ricevuto l’imprimatur di legittimità, prima dalla Corte di Cassazione poi dalla Corte di Giustizia Europea il 17/07/2014, con la decisione n. 6058/13. La Cassazione a Sezioni unite, con la sentenza n. 28340/11, accogliendo il ricorso di un “abogado”, al quale avevano rifiutato l’iscrizione all’Ordine, ha ritenuto illegittimo il rifiuto precisando che l’abogado (e cioè l’avvocato che non ha passato il concorso di Stato) provenendo da una iscrizione in un altro Stato europeo ha due strade: la prima finalizzata ad ottenere il riconoscimento immediato del titolo, avvalendosi della normativa sui titoli professionali, recepita in Italia dal D.Lgs 206/07 e cioè sostenendo delle prove di esame bandite dal Consiglio Nazionale Forense, l’altra (che ovviamente seguono tutti quanti) quella semplicemente di utilizzare il meccanismo dello stabilimento-integrazione, previsto dal D.Lgs 2/02/2001 n. 96, dovendo solo dimostrare di essere stato iscritto in un altro Stato membro. Poi esercitando la professione (con la firma compiacente di un collega abilitato), per tre anni, egli potrà automaticamente iscriversi all’Albo ordinario.
Da qualche tempo oltre la Spagna viene percorsa anche la strada della Romania, Stato nel quale (così come avveniva in Spagna) ci si può iscrivere all’Albo professionale degli Avvocati semplicemente con la laurea.

QUALE GARANZIA PER IL CITTADINO

Le conseguenze di tale situazione, della mancanza di una legge professionale organica, ha fatto sì che, in questi ultimi anni gli Albi si riempissero di “abogados”, trasformati in tre anni in “avvocati”, ma senza alcuna garanzia per l’utente circa l’effettiva professionalità che per tutti gli altri viene  accertata con l’esame di Stato, invero particolarmente duro, ma d’altra parte proprio perché tale,  meccanismo di garanzia per il cliente.
In questo modo, viceversa, nel mercato vengono immessi migliaia di giovani senza aver compiuto la prescritta pratica ed i necessari studi e soprattutto senza alcun controllo da parte dello Stato.
Non infondatamente alcuni hanno paragonato la situazione a quella di un geometra che si riesce ad iscrivere all’Albo degli Ingegneri.
Sottaciamo sull’ingiustizia sostanziale rispetto chi ha studiato per anni per superare il concorso di abilitazione.

LA CONSEGUENZA DI UN NUMERO ELEVATISSIMO  DI AVVOCATI

Un numero così elevato di avvocati, (in realtà molto più elevato in meridione che nel centro nord), ha creato un meccanismo di concorrenza spietata, non tanto tra gli studi legali già affermati, quanto tra i giovani stessi.

POCHI CLIENTI E TANTI AVVOCATI

Se il mercato è saturo, per poter sopravvivere, il giovane avvocato pur dopo anni di studi e di pratica forense, deve ricorrere ad una riduzione drastica delle parcelle e dei costi, schiacciati dalla concorrenza anche degli abogados, che spesso non lascia utili sufficienti neanche per far fronte al pagamento degli oneri previdenziali della Cassa Forense.
E’ sempre più frequente, telefonando a studi legali di giovani colleghi, rilevare l’inesistenza di qualsiasi struttura logistica.
La segretaria non c’è, sostituita dal trasferimento di chiamata, lo studio consiste frequentemente in una camera all’interno di altri studi legali, o della propria abitazione.
Insomma le conseguenze di un numero così elevato di avvocati danneggia tutti, ma in primis i clienti, i quali seppure possono ottenere da un giovane collega iscritto all’Albo senza aver superato il concorso tariffe più vantaggiose, tuttavia difficilmente usufruiscono della stessa professionalità che esisteva in precedenza.
I legali più anziani risentono meno del sovraffollamento, in quanto per i problemi seri o per le cause più rilevanti nessuno corre il rischio di affidarsi ad un giovane legale (così come per i medici, chi è affetto da malattie gravi non va dall’assistente, ma dal primario).

IL PROLIFERARE DI CAUSE CHE SI SAREBBERO DOVUTE EVITARE

Pochi mesi or sono, in un procedimento giudiziario nel quale sostenevamo la difesa di un Condominio, ci eravamo trovati di fronte a quattro o cinque cause poste in essere da un giovane collega, sostanzialmente sulla base della stessa delibera condominiale.
Il magistrato aveva minacciato il legale che un simile modo di comportarsi, e  cioè la proliferazione artata dei procedimenti giudiziari, avrebbe comportato la condanna d’ufficio del suo cliente ex art. 96 c.p.c. per aver agito in giudizio con colpa grave.
Tra l’altro sotto questo profilo va ricordato che l’art. 94 c.p.c. prevede ora la condanna non solo dei clienti, ma anche dei tutori, curatori ed in genere di coloro che rappresentano ed assistono la parte in giudizio e cioè anche dell’avvocato, per “i motivi gravi che il giudice deve specificare nella sentenza”.
Terminata la causa, il magistrato con il quale eravamo rimasti a chiacchierare, sosteneva, sia pure esagerando, che uno dei mali della giustizia era proprio il proliferare di cause, necessarie solo per far sopravvivere tutta la massa di avvocati che ora sono presenti sul mercato.
A parte l’astio del giudice, per rendersi conto della situazione basta farsi un giro su internet per comprendere la situazione di degrado della categoria sulla base delle offerte di cause a tariffe stracciate (e non siamo ancora arrivati al 2×3), anche se gli Ordini stanno intervenendo per evitare pubblicità troppo commerciali, in contrasto con la normativa deontologica o addirittura ingannevoli.

LA SOLUZIONE DEI MEDICI

Lo stesso problema, si prospettò negli anni ’80 per i  medici, laddove vi era stata una proliferazione  di lauree in medicina e chirurgia, con la conseguenza che per i  10-20 anni successivi, la professione di medico, nonostante studi lunghi e difficili, si era svalutata totalmente.
La soluzione venne trovata semplicemente agendo sull’Università, e cioè con una normativa organica, limitando l’accesso alla professione non dopo la laurea (il che sembra ingiusto) bensì a valle, limitando gli iscritti con un concorso di base.
La medesima soluzione dovrà sicuramente essere assunta dal Parlamento anche per ciò che riguarda la professione forense, con la particolarità tuttavia che, non tutti i laureati in giurisprudenza si indirizzano verso la professione, ma solo una parte ridotta.
Dunque sarà sufficiente prevedere dei percorsi di specializzazione o di indirizzo forense e/o notarile a numero chiuso, eliminando sia  la delusione di chi continua per anni a presentarsi al concorso sia il raggiro di permettere al semplice laureato l’iscrizione all’Albo, senza alcuna pratica e senza aver sostenuto un esame selettivo che prevede anni di studio e di pratica sul campo.

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