Per il Cnf la riforma dell’ordinamento forense, che entrerà in vigore il 2 febbraio prossimo, “si intreccia con il sistema di amministrazione della giustizia estendendo le competenze dell’Avvocatura in materia, soprattutto favorendone la collaborazione con la Magistratura, con il Ministero della Giustizia e con le altre Istituzioni che cooperano al funzionamento della complessa macchina processuale”.

Così ha esordito infatti oggi il presidente del Consiglio nazionale forense, Guido Alpa, intervenendo alle cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario in Corte di cassazione.
“In materia di amministrazione della giustizia, oltre alla cooperazione svolta dagli Ordini distrettuali nei consigli giudiziari e dal CNF nel Consiglio direttivo della Corte di Cassazione, il nuovo ordinamento forense istituisce presso il CNF l’Osservatorio sulla giustizia, prevede la istituzione presso gli Ordini dello Sportello del cittadino che faccia orientamento a titolo gratuito, conferisce delega al Governo per disciplinare più compiutamente la difesa d’ufficio, e offre agli Ordini forensi la possibilità di istituire camere arbitrali e di conciliazione per risolvere il contenzioso mediante procedure più snelle, che potrebbero consentire non solo un miglior accesso alla giustizia da parte degli abitanti del distretto ma anche una consistente riduzione del carico di lavoro dei giudici ordinari. A questo proposito, tra le molteplici iniziative che si potrebbero assumere per ridurre questo grave fardello che rallenta e ostacola l’assolvimento efficiente della funzione giurisdizionale, val la pena di riprendere la proposte di affidare da parte del giudice ordinario ad arbitri o a conciliatori la causa ormai matura, per poter liberare gli uffici da vicende facilmente risolubili senza detrimento per l’interesse pubblico e con vantaggio per le parti”.
Riforme giustizia. Per il presidente del CNF, tuttavia, rispetto alla situazione attuale, e alle riforme in parte avviate, molte altre sono le iniziative da assumere, “purtroppo ignorate dai programmi dei partiti presentati per la prossima competizione elettorale”:
istituzione dell’ ufficio del giudice, processo telematico, riduzione dei costi di accesso alla giustizia (contributo unificato), diventati davvero preoccupanti e onerosi soprattutto per le categorie più deboli, eliminazione di barriere all’accesso, come la conciliazione obbligatoria (dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 272/2012) “che ci si augura non sia più riproposta neppure con temperamenti e semplificazioni”, la codificazione delle best practices.
Discorso a sé per quanto riguarda la riorganizzazione della geografia giudiziaria che “ottenuta con calcoli astratti, non potrà assicurare i benèfici effetti che si auspicano e al contempo implicherà costi di riorganizzazione e assestamento di sedi, di uffici, di personale che già ora gravano sul bilancio del Ministero, con anticipazione della dislocazione di giudici, procedimenti, e pratiche che alcuni provvedimenti d’urgenza hanno già bloccato perché assunti senza le dovute garanzie”.
“Auspichiamo che i ricavi dalle spese di giustizia siano destinati alla realizzazione di questo ampio progetto di riorganizzazione e ammodernamento dell’intero sistema, al quale l’Avvocatura è pronta a collaborare con abnegazione e spirito di servizio, perché la giustizia non sia solo retta da regole formali, ma possa soddisfare le esigenze di natura sociale ed economica postulate dalla attuale difficile congiuntura. Auspichiamo che, oltre al Tribunale delle imprese, Governo e Parlamento si occupino degli interessi deboli, del Tribunale della famiglia, dei diritti fondamentali ancora negati nei rapporti interpersonali e nei progetti di vita, perché il nostro ordinamento sia al passo con l’ Europa dei diritti”.
Richiamando le parole del presidente Napolitano – “un Paese solidale che sappia aver cura dei soggetti più deboli”- Alpa ha sottolineato l’inadeguatezza del nostro sistema penitenziario, sollecitando l’attenzione del Governo e del Parlamento, affinché siano assicurati i diritti di tutti i detenuti, in attesa di giudizio o in esecuzione della pena. Vi è una vera emergenza su questo fronte, sottolineata anche dalla pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo dei giorni scorsi, che richiede di porre mano urgentemente alle riforme penitenziarie insieme con le modificazioni più appropriate del codice penale e del codice di procedura penale.
Oltre che per una migliore efficienza del sistema giustizia, il presidente del Cnf ha evidenziato come l’Avvocatura agevoli il sistema economico, anche con l’adesione alle iniziative promosse dall’Unione europea nella cooperazione giudiziaria e nella realizzazione di un mercato unico retto da regole armonizzate. Il CNF ha appena presentato, insieme con il CCBE, la rappresentanza europea dell’ Avvocatura, alla Commissione europea, le sue osservazioni propositive per favorire la realizzazione di un codice civile europeo, a cominciare dal Regolamento comunitario sui contratti di vendita, che agevola sia le imprese che operano sul mercato transfrontaliero sia i consumatori dell’intera Unione”.

Per l’Organismo Unitario dell’Avvocatura, invece, ancora una volta si registra un nulla di fatto per risolvere l’emergenza giustizia. Per il presidente Nicola Marino, presente alla cerimonia in Cassazione, si è cambiato molto in modo confuso per non cambiare nulla. 
«In Italia – continua – purtroppo, assistiamo alla logica del “cambiare tutto per non cambiare nulla”. Infatti, non è un caso che si sia ricorso all’introduzione di un sistema fallimentare e incostituzionale come la mediazione obbligatoria, testardamente sostenuto da diversi ministri di diversi Governi e, quindi, bloccato dalla Consulta. Poi il ricorso al filtro in appello e all’aumento del contributo unificato, infine la decapitazione della giustizia di prossimità con il taglio di circa 1000 uffici giudiziari. Tutti interventi senza un progetto chiaro, se non quello di una strisciante privatizzazione della giustizia e di una evidente compressione del diritto di accesso alla giustizia per i cittadini».
«Oggi – conclude Marino – dovrebbe essere un giorno in cui la consapevolezza dei problemi dovrebbe condurci a un nuovo e più efficace approccio ai gravi problemi che portano, tutti gli anni, l’Italia sul “banco degli imputati” dell’Unione Europea. È giunto il momento di ripensare profondamente la giustizia civile e penale. Domani i rappresentanti dell’Oua interverranno presso le Corti di Appello e indicheranno con chiarezza diversi punti per riformare davvero la macchina giudiziaria. Oggi, però, vogliamo mandare un messaggio alla Politica, in queste settimane impegnata nella tornata elettorale: basta con gli interventi spot, serve l’apporto di tutti gli operatori del sistema per avviare una modernizzazione che può rilanciare lo stesso sviluppo economico del Paese. Si punti sull’innovazione tecnologica, sul processo telematico, sulla riorganizzazione degli uffici, sull’autogestione delle risorse per ridurre gli sprechi, sulla riforma della magistratura onoraria, sull’implementazione delle camere arbitrali, della mediazione facoltativa e si avvii un piano straordinario di smaltimento dell’arretrato. E nel penale, per rompere il meccanismo riempi-carceri fino al sovraffollamento, si estenda il ricorso a misure alternative alla detenzione. Si imponga, pur nel rispetto delle esigenze di sicurezza del cittadino, la modifica della normativa sulla custodia cautelare. Speriamo che le parole di chi opera nelle trincee dei tribunali non caschino ancora una volta nel vuoto per poi finire l’anno successivo nelle drammatiche cifre delle cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario».

L’Associazione nazionale avvocati italiani (Anai) interviene sulle spese del “sistema giustizia” rispondendo al ministro Severino che nella sua relazione per l’inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2013 ha parlato di un risparmio derivante dalla chiusura degli uffici giudiziari di 55 milioni.
Manca trasparenza – denuncia il presidente ANAI Maurizio De Tilla – su investimenti, introiti, spese, somme e beni gestiti, risorse impiegate, obiettivi perseguiti e raggiunti.
Si sa solo che si sono spesi malamente 84 milioni per inutili braccialetti elettronici e che per l’esternalizzazione dei servizi si spendono all’incirca 700 milioni all’anno”.
“Abbiamo già visto per la mediaconciliazione che i nostri dubbi circa l’incostituzionalità erano fondati – ha detto De Tilla – e per il taglio degli uffici giudiziari probabilmente succederà la stessa cosa, viste le numerose rimessioni alla Consulta”.
Per l’Anai, bisognerebbe invece rendere obbligatorio il processo civile telematico, mentre via Arenula dovrebbe rispondere a molte domande a proposito della gestione delle risorse.
“La prima domanda alla quale il ministro dovrebbe rispondere è questa: dove finiscono ogni anno i fondi dell’Amministrazione della giustizia che ammontano a più di sette miliardi di euro all’anno? – si chiede il presidente De Tilla – Cittadini, avvocati, giudici, dirigenti, dipendenti, operatori della giustizia hanno il diritto sacrosanto di sapere nel dettaglio come vengono gestiti i fondi della giustizia (che sono stati incrementati sensibilmente con i notevoli aumenti dei contributi a carico degli utenti)”.

Le altre domande dell’Associazione nazionale avvocati italiani sono:

-Quanto si è speso fino ad oggi per il processo telematico?- Sono state utilizzate bene le risorse impiegate?- Si possono razionalizzare le risorse?- Quanti sono gli sprechi?

Ma soprattutto, conclude il presidente De Tilla: “È necessario affidare ad una commissione paritetica, formata da cittadini, avvocati, giudici, personale, il controllo delle ingenti spese”.

«Nel 2012 è stata dichiarata l’incostituzionalità della mediazione obbligatoria nel processo civile, provvedimento sbagliato e frutto di grandi iniquità, è stata rivoluzionata la geografia giudiziaria del Paese ed è stata approvata la riforma dell’ordinamento professionale forense. Una legge, quest’ultima, che pur aggiornando una normativa vecchia di 79 anni, non ridisegna la figura dell’avvocato nella società informatica, né gli consente di ricercare nuovi spazi di mercato che permettano, soprattutto ai giovani, di affrontare nuove sfide fuori dal ristretto recinto dei Palazzi di Giustizia. Chiediamo, pertanto, che nella prossima legislatura il testo venga rivisto, innanzitutto perché il sistema di governo dell’Avvocatura non è democratico e vogliamo scegliere i nostri rappresentanti nazionali senza sbarramenti anagrafici, ma anche per rendere davvero valide le specializzazioni forensi, che non posso essere attribuite soltanto frequentando uno sterile corso universitario, o per mera anzianità». È quanto dichiara il presidente dell’Aiga, l’Associazione italiana dei giovani avvocati, Dario Greco, intervenendo ad esito della cerimonia d’inaugurazione dell’anno giudiziario. Il leader dei legali under45 aggiunge che «usando le parole del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, c’è la necessità di affrontare con «senso di responsabilità, di umanità e di civiltà costituzionale» la «vergognosa realtà carceraria che marchia l’Italia». Bisogna prendere atto – continua il numero uno dell’Aiga – dell’estrema urgenza del sovraffollamento negli istituti di pena, e spiace constatare come, nell’attuale campagna elettorale, il tema venga ignorato dalle principali forze politiche in competizione». Greco, infine, si augura che «il 2013 possa essere finalmente l’anno della svolta, in cui i cittadini possano ricominciare a guardare con fiducia i Palazzi di Giustizia, nel quale  l’Italia si riaffermi con orgoglio in qualità di culla del diritto ed il nostro Paese finalmente si rialzi, reagendo ad una pesantissima crisi economica e sociale».

Per le Camere penali non si può che plaudire al richiamo fatto dal Primo Presidente della Corte di Cassazione al rigore che dovrebbe contraddistinguere l’utilizzo della custodia cautelare in carcere, alla necessità di una revisione delle norme che permettono la privazione della libertà prima della condanna, ed al bisogno di misure alternative alla detenzione, e nonostante il pur coraggioso monito alla responsabilità dei magistrati, è evidente che la relazione del Presidente Lupo rimuove e lascia irrisolto il problema che sta alla base degli eccessi: la contiguità ordinamentale tra giudici e pubblici ministeri che bisogna eliminare con la separazione delle carriere. Del resto sono tutti d’accordo sull’abuso della custodia cautelare, anche il Procuratore Generale, che reclama la depenalizzazione e la modifica in senso restrittivo del sistema per evitare che esso continui a essere “carcerocentrico”. E tuttavia resta l’interrogativo: se tutti vogliono meno custodia cautelare perché il 41 per cento dei detenuti è ancora composto da presunti non colpevoli? La verità è che occorre più coraggio e assunzione di responsabilità, anche perché in prigione gli imputati non ci finiscono certo per opera dello spirito santo.

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