C’era una volta una rete, una rete che aveva portato in tv l’alternativa alla rigida offerta istituzionale del “primo canale”, la rete che mi ha fatto urlare a squarciagola “Uforobot Uforobot” (da pronunciare tutto attaccato per la foga) e ridere davanti a Benigni e Andy Luotto a “L’altra Domenica” e cantare le canzoni/tormentone di Arbore quando ero adolescente.

L’invenzione della cronaca come prodotto di intrattenimento nasce su Raidue negli anni 90 (Detto fra noi, Cronaca in diretta, L’Italia in diretta, La vita in diretta) e fu un successo tale da far venire l’acquolina in bocca alla rete ammiraglia che accolse tra le sue braccia l’intero pacchetto nel 2000.
Rai2 è stata la rete dei reality da “La talpa” a “L’isola dei famosi” e qualcuno potrà anche storcere il naso ma resta il fatto che si continuava a perseguire un obiettivo: quello di fornire un’alternativa al pubblico più anzianotto e istituzionale della rete ammiraglia. Stiamo parlando di una rete coi controc@..i insomma e vederla ridotta al lumicino mi procura un dolore forte anche perché non capisco il senso del processo di smantellamento della sua identità.

Anno dopo anno le hanno tolto i pezzi più importanti che altrove fanno grandi ascolti (senza entrare nell’affaire dell’editto bulgaro Santoro regala che mediamente 11 punti di share a La 7 ogni volta che va in onda). L’unico terreno sul quale Rai2 ancora resiste è quello della lunga serialità, i telefilm come qualcuno li chiama ancora: Castle, Ncis, The good wife, Hawaii five-O, Senza traccia, Cold Case sono stati degli ottimi acquisti che portano ascolti discreti seppur imparagonabili a quelli di qualche anno fa. Perché tutto questo ampio prologo? Perché con lunedì 18 marzo si è toccato il punto più basso di una parabola discendente che andava riassunta almeno a grandi linee. E “the winner is”…. “Detto fatto” il programma che segna il ritorno in tv di Caterina Balivo ma soprattutto l’ennesimo programma “factual”.

Devo essere sincero, dopo le torte di Renato cominciavo a preoccuparmi, temevo che i programmi inutili e irritanti di cui parlare stessero finendo… e invece meno male che qualcuno ha avuto la brillante idea di prenderli un po’ tutti e comprimerli in un solo contenitore. E allora ecco a voi: wedding planner, cake designer, flower power (questa è ironica), dimagrire in un anno, cambio look, ma come ti vesti… ma come gli è venuto in mente dico io…
Perché anche quando ci si “ispira” a qualcosa bisogna farlo con serietà; bisogna emulare (cito: la definizione della Treccani: “Cercare di eguagliare o superare altri in opere meritevoli di apprezzamento”) perché se ci si limita ad assemblare si può anche riuscire nell’impresa di rendere la copia peggiore dell’originale… ed è proprio questo il caso perché si è riusciti nell’impresa di togliere una parte dell’insopportabile patina radical chic dei programmi di Real Time per dargli una bella “mano di pittura” generalista. Peccato che la vernice fosse scaduta perché è solo il formato dell’immagine in 16:9 che ci da la prova certa di non assistere a delle repliche di Uno mattina di 10 anni fa quando “Michelle lo psico-coiffeur” prendeva delle malcapitate casalinghe e le trasformava a suon di bava di lumaca in improponibili tigri di Saxa-Rubra.

Beh! Deve essere successo qualcosa allora perché almeno sulla carta il mandato del nuovo direttore era un altro: differenziare l’offerta della rete attraverso la sperimentazione di linguaggi e formati giovani e freschi. Ci sono delle parole che proprio non coincidono con questo programma come ad esempio “sperimentazione” (che esperimento è se si copia il palinsesto di Real Time?) e “linguaggi giovani e freschi” (non è che se conduce una ragazza di 33 anni automaticamente si ottiene un linguaggio giovane e fresco).

Ma la cosa che più mi fa saltare la mosca al naso non è tanto la miopia nel voler investire in un tipo di tv, la factual, che nel mondo ha già finito il suo ciclo ma che può dare ancora dei buoni risultati in termini economici sul satellite o sul canale dedicato del digitale terrestre (che ha obiettivi di share dell’un per cento a dire tanto), no, la cosa che mi fa veramente stranire è che la RAI per fare questo si affidi ad una società in appalto, la Endemol. Questo è insopportabile. Significa non voler valorizzare le risorse interne e, a mio modesto parere, aumentare inutilmente i costi. A meno che il fallimento in termini di ascolti non sia pagato dalla società appena citata con una penale.
Eh sì, perché “Detto fatto” partito lunedì 18 marzo, nelle prime tre puntate in appalto (quanto vorrei conoscere il costo per puntata, ah, quanto vorrei conoscerlo) ha totalizzato i seguenti risultati:
lunedì 18, per il debutto 5,76% 963 mila spettatori, martedì 19: 4,05% con 602 mila spettatori mercoledì 19: 3,94 % di share per 630 mila spettatori: un trend piuttosto chiaro che spero venga arrestato e porti a riconsiderare qualcosa nella formula o nella realizzazione.

Quando si realizza un pezzo di autostrada o il tunnel di una metropolitana si appalta la sua costruzione ad una società X e c’è un termine temporale da rispettare (termine che può essere identificato quindi come un obiettivo): quando la scadenza non viene rispettata la società appaltatrice paga una penale. Ecco: bisognerebbe introdurre questa regola anche per i programmi televisivi appaltati a società esterne quando non si raggiungono gli obiettivi minimi fissati dalla rete. Almeno con i soldi della penale si potrebbero comprare i diritti di messa in onda di qualche serie tv anche a basso costo dal linguaggio sperimentale, giovane e fresco e allora sì che Rai2 tornerebbe ad essere un’alternativa.
E con questo Andalù vi saluta canticchiando “Uforobot uforobot”.

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