Procuratevi 600 gr. di farina, 5 uova ( di una utilizzerete solo il tuorlo), 2 cucchiai di zucchero, 80 gr. di burro o, se volete veramente rimanere nella tradizione, 25 gr. di strutto, un bicchierino di limoncello, la scorza di mezzo limone grattugiata, un pizzico di sale, 400 gr. di miele, 100gr. di arancia candita, 100 gr. di cedro candito e, se siete a Napoli, perché non credo che lo troverete altrove, 50 gr. di zucca candita ( la cosiddetta cucuzzata), una abbondante manciata di confettini colorati ( i diavulilli ), un’altrettanto abbondante manciata di confettini bianchi alla cannella (i cannellini).

Niente lievito, se volete gli struffoli un pochino più gonfi potete aggiungere un pizzico di ammoniaca per dolci.
Ed ora al lavoro….
Impastate tutti gli ingredienti elencati fino al miele escluso. Date all’impasto ottenuto la forma di una palla e fatelo riposare mezz’ora. Poi lavoratelo ancora un poco, dividetelo in tante “pallottole” di dimensioni pari ad un’arancia e rullatele su un piano infarinato fino a ricavare tanti bastoncini dello spessore di un dito. Tagliate i bastoncini in tocchettini. Prima di friggerli in abbondante olio, scuoteteli per eliminare la farina in eccesso.
Attenzione !! Solleva teli dall’olio appena dorati, altrimenti, come diciamo a Napoli diventeranno palle ‘e schiuppette ( palle di fucile).
Fate sciogliere il miele a bagnomaria in un capiente tegame e, tolto questo dal fuoco, unitevi gli struffoli rimescolando fin quando non saranno completamente avvolti nel miele e, sempre rimescolando, la metà dei diavulilli, dei cannellini e della frutta candita.
Disponete sul piatto di portata, al centro, un bicchiere capovolto ed adagiatevi tutt’intorno, pressando un poco gli struffoli. Spargete i rimanenti confettini e la frutta candita. Togliete il bicchiere e…buon Natale.

La storia
Struffoli, Sfogliatella e Pastiera sono i dolci più napoletani che ci siano, certo più del Babà, di origine polacca. Chi ha inventato gli struffoli? Non i napoletani, nonostante la loro proverbiale creatività. Pare che nel Golfo di Napoli ce li abbiano portati i Greci, al tempo di Partenope. E dal greco deriverebbe il nome “struffolo”: precisamente dalla parola “strongoulos”, arrotondato. Sempre in greco, la parola “pristòs” significa tagliato. Per assonanza, uno “strongoulos pristòs”, cioè una pallina rotonda tagliata: vale a dire lo struffolo, nella Magna Grecia è diventata “strangolapre(ve)te”: il nome che si dà a degli gnocchetti supercompatti, in grado di “strozzare” gli avidi membri del clero.
Due famosi trattati di cucina del 1600, il Latini e il Nascia, citano come “strufoli – o anche struffoli – alla romana” dei dolci preparati alla stessa maniera degli struffoli napoletani.
Gli abitanti della Tuscia, regione intorno a Viterbo, chiamano ancora oggi struffoli quelle frittelle di pasta soffice e leggera che altrove vengono definite “castagnole”, e si mangiano a Carnevale.
Gli struffoli si trovano pure a Palermo, con qualche piccola ma non sostanziale variante, una delle quali consiste nella perdita di una f (“strufoli”): le Sicilie erano due, ma lo struffolo rimaneva unico.

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